The Haunting of Hill House

The Haunting of Hill House: la dolcezza di una paura senza fine | Serie Tv

Di Luca Baldacci

La prima vera serie tv horror targata Netflix, scritta e prodotta da Mike Flanagan – che si è liberamente ispirato al libro ‘Hill House’ di Shirley Jackson – arriva sottotraccia, ma forse è uno dei prodotti meglio riusciti della società statunitense.

Una miniserie di 10 episodi da vedere tutto d’un fiato, perché l’horror non è mai stato così spaventoso. Flanagan ci aveva già dato un assaggio della sua regia con il ben riuscito ‘Il gioco di Gerald’: il film tratto dallo splendido libro di Stephen King.

Il re dell’horror si era congratulato personalmente con il regista americano per l’adattamento, e forse proprio da quelle congratulazioni Flanagan aveva trovato l’ispirazione per continuare nel suo lavoro. In ‘Hill House’ ci ha messo tutto se stesso, dimostrando ancora una volta tutte le sue qualità da regista.

Perché ‘The Haunting of Hill House’ è terrificante, ma non per il solito mostro che sbuca dall’armadio. È terrificante perché chi davvero ha studiato il genere horror sa che non bisogna disturbarsi a cercare i mostri tra le macerie di un palazzo abbandonato. Non ci sono oggetti maledetti e non ci sono demoni sputati fuori dalla bocca dell’Inferno.

I mostri, i veri mostri sono dentro di noi. E i fantasmi che vediamo sono i nostri fantasmi, le nostre proiezioni nel mondo di qualcosa che per anni abbiamo covato, nutrito – a volte coccolato – sotto la nostra stessa pelle.

La meraviglia del sovrannaturale: la trama

The Haunting of Hill House’ è liberamente ispirata al libro di Shirley Jackson: Flanagan aveva un’idea precisa in mente: romanzo e serie tv avanzano a braccetto, e allo stesso tempo prendono strade opposte.

Se la scrittrice stava sistemando una pietra miliare del nuovo orrore, ponendo le basi a cui si sono appoggiati tanti altri suo colleghi – Ray Bradbury e lo stesso Stephen King hanno detto più e più volte quanto i romanzi della Jackson li hanno ispirati – Flanagan sta cercando di tornare alle radici dell’horror, per un genere che negli ultimi 20 anni ha continuato a “auto-disinnescarsi”.

Se la Jackson guardava avanti, al futuro, Flanagan si volta indietro, a un passato che inizia a perdersi. Perché l’horror vero è un horror intimo, introspettivo: sono le lettere del Dr Jekyll e di Mr Hide, sono le sofferenze del mostro di Frankenstein, che mostro non voleva essere. Sono i tormenti nel palazzo di Rosemary’s Baby.

E dentro Hill House per Flanagan non devono passare semplici visitatori. Ci deve essere una famiglia, che quella casa la riempie con sogni, desideri, fantasie. E paure.

Una famiglia che dalla casa esce distrutta. La serie infatti è una pallina impazzita che rimbalza tra un presente in cui i bambini sono cresciuti, ma mai guariti dalle cose che hanno visto dentro Hill House, e un passato in cui i fantasmi cominciano a manifestarsi.

Chi ha rimosso i propri traumi, chi li ha annegati nella droga e nell’alcol, chi ha provato a dargli un senso e ha scelto di diventare psicologa. Ma nessuno di loro ha spezzato il filo che li lega a Hill House.

Perché dal passato non si scappa. Mai. E Flanagan questo l’ha capito. Per questo ha deciso di guardare indietro, al vecchio ‘gothic horror’, per fare qualcosa di totalmente nuovo.

The Haunting of Hill House

La sospensione del tempo nella scelta di un cast meraviglioso

Questo rimbalzare continuamente tra passato e presente, tra bambini spaventati che crescono e adulti che ogni giorno lottano per convincersi di averle scampate, quelle paure, Flanagan ha fatto un lavoro eccezionale.

Perché Henry Thomas a parte – ricorderete sicuramente il bambino di E.T. – tutti gli altri attori sono praticamente esordienti. I più giovani in particolar modo mettono nelle loro interpretazioni tutto quello che hanno, e il risultato è stupefacente: la paura è più vera, perché è la prima volta in cui hanno veramente paura. Tra gli adulti invece spiccano:

  • Michiel Huisman del Trono di Spade;
  • Elizabeth Reaser di Grey’s Anatomy;
  • Kate Siegel, moglie del regista già protagonista – e co-sceneggiatrice – in Hush.

Rappresentano i sensi di colpa e di terrore che vengono seppelliti sotto anni e anni di presunta normalità, in un equilibrio che è destinato a incrinarsi. E il peso degli sforzi fatti per mantenere una facciata rispettabile si abbatterà su di loro con tutta la furia rimasta sepolta dentro a Hill House.

Una regia che fotografa il lato più tenero dell’orrore

The Haunting of Hill House’ è costruita per restare. Un prodotto curato, con storie memorabili e personaggi tridimensionali che vanno avanti e non si guardano mai indietro.

E in questa serie, proprio come la scelta delle parole determina la qualità di un libro, le decisioni registiche di Flanagan hanno fatto la differenza. Un piano sequenza di 50 minuti, i colori saturi di un’atmosfera luminosa e claustrofobica allo stesso tempo, e riprese strette. Sempre più strette mentre la storia va avanti.

I primi cinque episodi raccontano la storia dei fratelli che hanno passato la loro infanzia a Hill House. Da adulti li ritroviamo tesi tra la voglia di rimanere vicino a chi può davvero capirli e la paura di realizzare che solo tra di loro possono comprendersi. Il resto del mondo non ci riesce.

Fino all’episodio in cui si ritrovano tutti nella più triste delle circostanze. E realizzano che la casa – e quindi i loro traumi, le loro paure – li riporteranno sempre lì. Di fronte alla tomba di una persona cara. Da quel momento parte una corsa verso la verità. Una verità che avevano deciso di dimenticare tutti, ma che riemerge ogni volta, come un cadavere che galleggia tra le acque morte di una palude.

The Haunting of Hill House’ lascia il tempo a questa verità di tornare a galla, ogni volta. E di fronte alla verità scava dentro ai personaggi: scava tra i loro affetti, tra i loro tormenti e i loro amori con una delicatezza impressionante. Ma rimane fedele alla sua natura, e Flanagan confeziona un prodotto dolcemente terrificante.

Perché ogni carezza, a Hill House, è una carezza nel buio.