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Clickbait: la serie “nomen omen” per eccellenza | Serie Tv

Miniserie targata Netflix di 8 episodi, rilasciata da poco – 25 Agosto – Clickbait è un crime-drama girato a Melbourne, ma ambientato negli USA.

Tony Ayres, produttore e sceneggiatore australiano che si è dedicato alla realizzazione del progetto, ha deciso di puntare decisamente in alto: il regista Brad Anderson ha diretto la serie The Sinner, e ad affiancarli c’è il produttore di Harry Potter e Gravity David Heyman. La serie è ambiziosa, la regia attenta, con qualche finezza che non siamo abituati a vedere nel mondo delle televisione. Della quality television Tony Ayres, in collaborazione con lo sceneggiatore australiano Christian White, ha preso la caratteristica più importante: la pazienza.

Ma andiamo con ordine.

                  

La spina dorsale: la trama

Una famiglia a tavola per il compleanno della nonna, e il litigio tra due fratelli: un uomo e una ragazza La ragazza scappa e si rifugia in una discoteca, dove beve tutto quello che può bere e fa cadere il telefono nel WC.

Lo lascia la notte in una ciotola di riso – rimedio infallibile – e quando la mattina dopo lo riaccende trova qualcosa di inaspettato su YouTube.

Un video.

Una tenda sullo sfondo, un uomo con una ferita sul viso e lo sguardo basso. Atmosfera cupa. E dei cartelli che l’uomo prende in mano, uno alla volta.

L’uomo è suo fratello.

Sull’ultimo cartello, una scritta:

“Io abuso delle donne. A 5 milioni di visual morirò”

Da qui comincia una vera e propria corsa contro il tempo, insieme alla moglie, alla polizia, alle persone che hanno visto quel video, per ritrovare il fratello, interpretato da Adrian Grenier, vera e propria punta di diamante di Clickbait.

Ma questa corsa contro il tempo porta a qualcosa che i protagonisti non si aspettano: col passare delle ore scoprono nuovi particolari dell’uomo che è stato imprigionato. Particolari che nessuno si aspettava.

Le ispirazioni: le spalle

Clickbait porta con sè una serie infinita di rimandi e di citazioni che da anni caratterizzano il panorama delle serie tv.

Alle spalle di questa storia c’è un intero scaffale di prodotti che hanno influenzato le scelte degli sceneggiatori e dei produttori. Ma in pochi hanno avuto un ruolo decisivo nell’organizzazione della trama e dei personaggi.

Già dall’idea di partenza si capisce subito la direzione della narrazione: vi ricorda qualcosa un video di un uomo che morirà quando le visual arriveranno a cinque milioni?

I numeri delle visualizzazioni che scattano in sovrimpressione, i commenti – in gergo la ‘shitstorm’ – che si scatena quando si tocca un argomento delicato come quello dell’abuso sulle donne.

La realtà virtuale che irrompe nella vita materiale: lo stile è senza ombra di dubbio quello di Black Mirror.
Un espediente che ancora non si è verificato, ma che sembra spaventosamente vicino al nostro mondo. Il messaggio è chiaro: manca poco, e tutto quello che state vedendo in questa serie può diventare la realtà.

Ma Clickbait non si ferma qui: c’è un rapimento. Le indagini che iniziano. Segreti sul passato della vittima che emergono a poco a poco.
È una struttura che ha fatto la fortuna – e la sfortuna – di tante serie televisive da decenni ormai. Basta pensare a “I segreti di Twin Peaks”, “13 reasons why”, dove il canovaccio è sempre lo stesso.

Una persona comune che viene rapita, o uccisa. La polizia che comincia a indagare, spesso aiutata da qualche figura borderline – nel caso di Clickbait la sorella – e segreti sempre più inquietanti che vengono fuori pian piano, in una escalation di suspense che arriva fino al plotwist finale.

Qualcosa di già visto, forse, con ogni puntata che segue il punto di vista di un personaggio diverso, in un continuo passaggio di testimone che aiuta la narrazione e aumenta la suspense.

Sulla carta è tutto perfetto.

Volto: il cast

Come abbiamo detto prima, Tony Ayres ha deciso di creare un prodotto che fosse in grado di stare tranquillamente nel grande insieme di serie appartenenti alla quality television.

Ed è partito da uno dei punti fondamentali: il cast. Un gruppo di attori fantastici, che tutti ricordiamo – addirittura Grenier, fermo da 10 anni, si è convinto a tornare proprio per Clickbait – in cui spiccano:

  • Betty Gabriel, la moglie – “Scappa, Get out”;
  • Zoe Kazan, la sorella – “Ruby Sparks”;
  • Adrian Grenier, protagonista/vittima – “Entourage”;
  • Abraham Lim, produttore di programmi televisivi – “The Boys”;

Grazie alla recitazione di altissimo livello dei protagonisti la regia ha potuto prendersi il suo tempo, indugiare sui primi piani e sulle espressioni dei personaggi. Espressioni che vengono esaltate da un’atmosfera cupa e introspettiva (in pieno contrasto con la vita sui social chiassosa e colorata) e da una fotografia che predilige colori saturi.

Una regia attenta, insomma, quella di Brad Anderson, che già in The Sinner ci aveva dato una dimostrazione di tutto quello che è in grado di fare con una macchina da presa in mano.

Ma a volte una regia perfetta non basta.

Sceneggiatura: la pelle

Perché i primi problemi emergono quando si presta attenzione alla scrittura.

Gli elementi per un ottimo prodotto c’erano tutti. Un ottimo prodotto come The Sinner, appunto.

Ma con Clickbait la produzione è caduta in tentazione.

Poteva distinguersi, sfruttare il cast di altissimo livello, la regia di valore assoluto. Prendere il meglio che poteva dalle serie precedenti.

Ma il problema è proprio questo: l’ultimo passo.

La serie si perde cercando di inseguire il colpo di scena memorabile, lo stesso che per anni ha accompagnato le produzioni di Shyamalan, ma non ci riesce. Aggiunge materiale, si perde tra le psicologie di 8 personaggi diversi, toccando tutti ma non approfondendo nessuno.

Tassello dopo tassello, minuto dopo minuto, dopo una prima puntata molto promettente, le aspettative crescono, ma la serie comincia a perdere potenziale.

“Nomen omen” è il riassunto perfetto della serie: Clickbait significa letteralmente “esca da click”, e la serie è un’esca perfetta. La vedi, la serata scivola via, e con questa scivolano via anche i tuoi ricordi su quello che hai appena visto.
Nessun personaggio memorabile. Nessun plotwist sensazionale.

Rimane una serie che ha tutto per essere qualcosa di più, ma rimarrà “solo” un prodotto che resterà in top 10 tra le tendenze di Netflix per un po’, prima di finire nel dimenticatoio.
Nonostante tutto l’impegno che Anderson ci ha messo.