EMMANUEL DE LA PAIX

Emmanuel de la Paix: “Metto il cuore tra mondi diversi” | Intervista

Emmanuel de la Paix ha da pochi giorni pubblicato il suo album “Rescue Pack” come new entry nel roster di Broque e introduce una prospettiva completamente nuova sull’interazione tra musica, natura e tecnologia. Il suo album di debutto “Rescue Pack” è un grandioso mix di postrock, shoegaze, ambient ed elettronica sperimentale che ricordano artisti del calibro di Sigur Ros, Ben Frost, De La Mancha e, in alcuni momenti speciali, i Radiohead.

Ispirato dai paesaggi aspri e dalle forze sfrenate della natura che si trovano in entrambi Svizzera e Islanda, i canti epici raccontano il potere curativo della natura come così come la musica, caratteristica che unisce i due in modo unico. Dopo aver detto tutto ciò, potrebbe non sorprendere che l’album sia stato masterizzato dagli islandesi il più raffinato, Birgir Jón Birgirsson, che è stato la mente dietro l’ingegnere del suono praticamente tutta la musica islandese e non solo, con artisti come Sóley, Sigur Rós o Samaris, ma anche artisti del calibro di Julianna Barwick o Efterklang. Le dieci canzoni di “Rescue Pack” raccontano una storia che è allo stesso tempo emotivamente coinvolgente, piena di passione e sempre sorprendente nel modo in cui trasmette

INTERVISTANDO EMMANUEL DE LA PAIX

Come riesci a vincere il dualismo tra elettronica e natura?

Il dualismo tecnologia e natura è racchiuso nell’utilizzo e bilanciamento tra strumenti acustici vintage e software digitali. Mi piace esplorare questi due mondi, e mi piace pensare che tutto si risolva mettendo il cuore in mezzo a queste due dimensioni. Qualsiasi sia il nostro ambiente naturale o tecnologico di riferimento, abbiamo un bussola in mezzo al petto che ci permette di ritrovare la strada di casa. Li’ dove risiede la nostra innata sensibilità musicale (e spirituale).

Cosa ti ispira di esso e cosa invece pensi crei ancora una barriera inesorabile?

La conflittualità che la modernità e la tecnologia comporta mi terrorizza e mi commuove allo stesso tempo.
Oggi non prendiamo più’ solo una chitarra in mano e registriamo su un “due tracce” una canzone. E’ incredibile la quantità di software (anche piuttosto piccoli) che sono lo standard in uno studio di registrazione.
La nostra natura umana in realtà sta cambiando perché il nostro modo di esprimerci influenza il nostro modo di pensare e, conseguentemente, di sentire.
Abbiamo sicuramente dei limiti di fronte a tutte queste opzioni tra cui scegliere come muoverci in fase creativa.

Sei cresciuto musicalmente con riferimenti importanti, che vanno nettamente in contrapposizione con la “musica moderna”: come collochi la tua musica?

La mia musica è esplorativa e cerca di combinare elettronica e strumenti acustici. Il mio album Rescue Pack è un percorso sonoro, a volte un po’ tetro e malinconico, a volte raggiante e pacifico. Mi piace vestire il silenzio con i diversi colori del suono. Lo spettro è ampio, e io cerco di non farmi mancare niente.

Cosa ti lascia la collaborazione con Birgir Jón Birgirsson?

Birgir è stato capace di ampliare certe atmosfere, di riprodurre certe profondità oscure nel suono che ricercavo. Inoltre le sue idee in fase di mix sono state decisamente grandiose. Qualsiasi cosa lui suggerisce gentilmente, funziona sempre alla grande. E’ capace di valorizzare le idee e di farle sbocciare. Ha un bagaglio professionale eccezionale ma rimane una persona discreta e umile. Per me una collaborazione perfetta.

C’è un brano del tuo disco a cui sei più legato? Raccontaci qualche aneddoto di scrittura.

“Go to beep” è una canzone che ho scritto dopo una giornata spesa in montagna in un lago di montagna delle Alpi. Il tipico lago verde-acqua incastonato nei monti. Stavo finalizzando l’album e avevamo spazio per un’altra canzone. Mi ricordo che non ce la facevo piu’ a furia di lavorare da casa e non vedere nessuno per le restrizioni Covid. Sono andato in montagna e ho passato una giornata in silenzio. Niente musica, senza parole, dopo tanta tv, tante news, tante polemiche. Volevo solo respirare. La canzone non ha parole. E non a caso.

Sono tornato a casa, era tardi e mi sono messo al piano. Ho iniziato a suonare e a scrivo tutto quello che la giornata mi aveva saputo dare. Una pace immensa. Quando ho finito di stendere le note e l’idea, sentivo un “beep”, un allarme, un suono provenire dalla finestra aperta. Ed era in tono con la nota finale che avevo appena eseguito.
Ho salvato il pezzo sull’ipad come “go to beep”. E non l’ho piu’ cambiato.
Non ha voce, perchè il pezzo dice già tutto. Quando Birgir l’ha sentita, gli è subito piaciuta e ha suggerito un paio di idee che hanno reso per me questa una canzone stupenda.

Qual è il tuo rapporto con la musica italiana?

La lingua italiana ha la potenza di una lingua straordinaria, capace di dipingere e colorare la mente di chi ascolta.
Quando ho bisogno di riconnettermi con la lingua italiana e ri-elaborare pensieri e situazioni mi affido al mio background.
Io sono cresciuto con Verdena, Afterhours, Marlene Kuntz, Bluevertigo, i Tre Allegri Ragazzi morti ma adoro anche Management di Luca Romagnoli e Marco Di Nardo, Edda e apprezzo molto il rap di Salmo, Fibra, Nerone, Miss Keta.
Tutti questi artisti hanno una capacità interpretativa ed espositiva che mi ispira nella composizione.

C’è qualche artista o periodo storico che fa in qualche modo parte del tuo bagaglio musicale?

Penso che la poesia che ritrovo nei suoni e nei testi di Verdena, Afterhours, Management sia una forte spinta di ispirazione.
E’ la poesia che vi ritrovo a ispirarmi nelle composizioni. E’ il miglior esempio di ispirazione perché i nostri stili sono distanti ma l’ispirazione nella ricerca di nuove vie e stile come hanno fatto loro per me è la chiave di interpretazione.

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