Riccardo Inge: “La musica è la mia altra identità” | Intervista

Chiunque veda l’ingegneria solo come una disciplina tecnico-scientifica e la musica solo come una forma d’arte, cambierà idea dopo questa intervista.

Riccardo Inge è la prova vivente che queste due “forme di artigianato” siano strettamente connesse, tanto da scegliere come nome d’arte una “mezza parola” che rappresenti la sua parte razionale. Il suo ultimo album “Bathala” è un gigante “grazie” a chi c’è e a chi lo ha accompagnato nel lungo viaggio che ha come protagonista la musica.

Un salto nel vuoto per chi ha scelto i numeri come facoltà universitaria, ma meno pericoloso se a stimolarti è tuo padre. “Bathala”, però, non è solo riconoscenza, ma anche critica ed osservazione di una società sempre più presa a mostrare piuttosto che godere.

Unicità, trasparenza e profondità sono gli attributi giusti per definire non solo la musica, ma anche la personalità di questo “ingegner-musicante”.

INTERVISTANDO RICCARDO INGE

Ciao! Esiste, secondo te, una connessione tra musica ed ingegneria?

Scelsi di chiamarmi “Inge” invece che usare il mio vero cognome non per chissà quali velleità artistiche, ma proprio per richiamare la mia vita quotidiana da Ingegnere (per davvero) rispetto alla mia parte più artistica e fantasiosa. “Inge” mi permette di assumere un’altra identità pur rimanendo a contatto con la mia parte più razionale. Inoltre, fin dal Medioevo, il termine “ingegnere” ha avuto il significato di congegno, creatore e capacità mentale. I cosiddetti artigiani dotati in buona misura di capacità per fare cose e risolvere problemi. Ecco, questa è la connessione tra musica e ingegneria. E sono le canzoni a risolvere i miei problemi (o almeno ci provano).

Da cosa viene il nome “Bathala”?

Si tratta di un’isola dell’Oceano Indiano che mio padre ha tanto sognato di raggiungere. Un viaggio lungo una vita che ha trovato il suo coronamento su quest’isola tanto piccola e sperduta quanto paradisiaca. Ho scelto questo nome per dedicare l’album proprio a mio padre, la persona che mi ha fatto scoprire per primo cosa volesse dire suonare insieme ad altre persone.

“Bathala è un disco di ringraziamento. A chi dici “grazie”, oltre a tuo padre?

Oltre a lui, devo dire un grande grazie a tutte le persone che mi sono state vicine e che mi hanno supportato (o come mi piace dire sempre… “sopportato”). Un viaggio è fatto di tante cose e sicuramente la mia famiglia e la mia band sono state le componenti fondamentali per arrivare a questo piccolo grande traguardo.

“Sarebbe bello se tornassimo a fare foto solo se ci piace” non solo ringraziamento, ma anche critica sociale, se così si può dire. Qual è la più grande piaga del nostro tempo, secondo te?

C’è una grande difficoltà nel fare le cose per il solo gusto di farle invece che pensare subito a come mostrarle agli altri. Si tratta di un problema che colpisce tutti, compreso me che ne parlo. I social non sono il male assoluto, anzi. Sono uno strumento incredibile con un potenziale eccezionale se usati in un certo modo, senza abusarne. Purtroppo da risorsa sono diventati un elemento imprescindibile per la vita. Del tipo che se non sei sui social e se “non sei social” a sufficienza, non esisti.

Nel 2019 eri sul palco dell’Auditorium Radio italia insieme a Willie Peyote, Selton ed Eugenio in Via di Gioia. Cosa ti ha lasciato quell’esperienza?

Una delle esperienze live più belle perché l’Auditorium Radio Italia è un sogno per ogni musicista italiano. Su quel palco si è esibito chiunque (ricordo che due giorni dopo aveva le registrazioni Eros Ramazzotti). Oltre all’esibizione, è stato bello il clima che si è creato nel backstage, dove artisti conosciuti e non si sono ritrovati a chiacchierare e a bere qualcosa assieme come se ci si conoscesse da sempre. Una grande festa realizzata grazie ad Officine Buone, un’associazione con cui collaboro che svolge diverse attività di volontariato tra cui portare la musica negli ospedali.

Come descriveresti il panorama musicale italiano di adesso?

Onestamente sento tanti progetti molto simili fra loro e pochi veri talenti. Tutti che cantano o di fanno suonare la propria canzone seguendo la moda del momento. Un po’ triste. L’altro tema è che molti artisti sconosciuti scrivono e producono meglio dei cosiddetti ‘big’, ma non vengono neanche calcolati solo perchè non hanno ancora un nome (e probabilmente non lo avranno mai). Mancano i talent scout di una volta, capaci di trovare dei cantautori nei posti più impensabili e di riuscire a far conoscere al grande pubblico dei personaggi improbabili, ma con un vero talento.

Potresti prendere in considerazione l’idea di un feat? Se sì, con chi?

Sono super aperto ai featuring. Non sono presenti nell’album, ma nel corso delle settimane di promozione ho chiesto ad amici e amiche artisti di cantare degli spezzoni dei miei brani, creando spesso delle versioni alternative davvero belle. Quindi è sicuramente un sì per i prossimi lavori. Sono in promessa con Diego Esposito, cantautore toscano che stimo molto, di scrivere un pezzo assieme. Non vedo l’ora di poter mettere in pista questi nuovi progetti.

ASCOLTA RICCARDO INGE NELLE PLAYLIST DI INDIE ITALIA MAGAZINE