I Ministri: “L’importanza di essere liberi” | Intervista

Di Filippo Micalizzi

Scrutare i meandri della realtà e affrontare tematiche sociali è sempre stato un marchio di fabbrica dei Ministri. Ne è un esempio l’EP “Cronaca nera e musica leggera”, uscito la scorsa primavera, e incentrato su tematiche legate all’incertezza e alle instabilità sociali di questi ultimi due anni; o più recentemente con “Numeri”, ultimo singolo della band, che apre una finestra sul futuro.

Un futuro che in cui l’umanità e la collettività assumono un ruolo fondamentale per contrastare la “matematica quotidianità”.

Di questo e di altro, ne abbiamo parlato con Federico Dragogna, chitarrista e autore della maggior parte dei testi de I Ministri

Parliamo di “Numeri”. Nel brano c’è un invito da parte vostra a scendere in strada, al rincontrarsi faccia a faccia. Come possono concetti in teoria scontati, come il contatto umano e l’empatia, essere ancora oggetti di discussione. Credi che le persone preferiscano ormai conversare più di fronte ad uno schermo che davanti una birra?

Al di là del fatto che appunto, la tua domanda sarebbe stata una domanda retorica qualche anno fa e adesso non lo è più, noi non vediamo questo cambiamento in atto come un piano segreto, un complotto ordito da qualcuno o cose del genere.

Non credo ci sia niente di questo, anche perché diciamo che i complottisti, in generale nel senso più ampio, hanno comunque una fede in una qualche figura che da ordine a tutto. Cosa che invece noi non abbiamo, nel bene e nel male, che sia un dio o un dio malvagio, non credo che ci sia qualcuno che davvero decide quest’ordine da sopra.

La verità è che, al di là di quel che è successo in questi due anni, siamo una società che ha accumulato una serie di paure e accumulato anche un senso di controllo su tutto quello che succede, un senso di controllo sulla natura che comincia ad avere i suoi effetti collaterali. Questo è uno degli effetti collaterali. La crescente diffidenza dell’altro, della vita normale. Credo che in Italia, il processo per cui si arrivi davvero ad una disumanizzazione alla Black Mirror definitiva, sia un processo ancora molto lungo.

Perché la gente ancora per fortuna sente che la grande differenza è l’incontrarsi. Noi in quanto artisti, preferiamo più fare canzoni che post sui social su queste questioni. Numeri è una canzone dedicata agli altri ma anche dedicata a noi stessi in quelle giornate in cui perdiamo ogni fiducia nel mondo. È una canzone che quando l’ho scritta, stavo parlando prima di tutto con me stesso, tutto qui.

Viviamo in un momento storico in cui le regole della musica sono dettate dagli stream e dalle classifiche. In che modo riuscite a far convivere il lavoro artistico e l’esigenza di un mercato che cambia praticamente ogni giorno?

Noi siamo cresciuti in un periodo in cui non c’erano ancora gli stream. C’erano già le classifiche, c’era Mtv. Mtv aveva lo spazio di una tv, quindi le cose che ci finivano sopra erano poche e scelte da loro. Un po’ come oggi funziona per le grandi playlist su Spotify. Quindi secondo me, la cosa è cambiata fino ad un certo punto. Ovviamente prima c’era una piccola economia che poteva derivarti dai guadagni dei dischi venduti che adesso non c’è più, o almeno, è sparita quasi del tutto.

Quindi questo è stato un grande cambiamento. Dall’altra parte, il punto credo che sia che quello che vuoi dire con una certa libertà, con una certa autonomia. Che sia una cosa forte, sia che sia una cosa semplice o anche quotidiana, è una missione che tu ti dai al di là di quelle che sono le limitazioni. È un qualcosa che tu, comunque, ti senti di dover fare. Poi che l’avversario sia Spotify, Mtv o quant’altro, non lo trovo così importante.

L’importante è continuare a fare ciò che si ha voglia di fare insomma…

Si. L’importante è continuare a farlo con il massimo livello di cura. Spesso di parla di qualità, che è un po’ deviante rispetto a questo. Perché parlare di qualità rispetto a quello che si fa è come farsi la recensione da soli. E lo trovo davvero inadatto e anche poco elegante. Credo che invece la cura sia un concetto importante.

Si vede se tu hai fatto un qualcosa con grande cura. Poi quel qualcosa può essere anche un brano super Pop. E anche lì, il Pop bello dal Pop brutto lo distingui da quanta cura ci è stata messa nel farlo. La gente sente la cura, l’avverte. Magari non tutti, magari solo gente più sensibile, però è già molto insomma. Io sono cresciuto ascoltando anche un sacco di band molto piccole, band che hanno meno ascolti di noi su Spotify, eppure per me sono state fondamentali. Quindi cerco di pensare anche alla stessa cosa per I Ministri.

Ci sono anche parecchi gruppi che nel loro piccolo funzionano meglio anche nel modo in cui lavorano con del “materiale grezzo” senza grandi studi, senza particolari qualità audio…

Si, assolutamente. Perché appunto il concetto di qualità audio è assolutamente illusorio. Anche perché ci sono cose di inizio 2000 riprese con mixer incredibili e microfoni incredibili, che sono meno musicali di una cosa ripresa con un singolo microfono negli anni 50’ a cuba. Però appunto, credo che l’importante sia ricordarsi che la musica può cambiare singolarmente la vita delle persone e a volte non è importante “scalfire appena” la vita di milioni di persone, quanto più dare un apporto importantissimo a poche migliaia. Esattamente come tanti gruppi nella mia vita hanno fatto, gruppi non grandi che però sono stati fondamentali. E senza di loro sarei stato un po’ diverso.

A marzo inizierà un nuovo tour dei Ministri, questa volta tutto ci fa pensare che sia in piedi, come ogni concerto dovrebbe essere. Ecco, nello scorso tour invece suonavate davanti un pubblico seduto, che effetto vi ha fatto suonare davanti ad un pubblico che non può pogare e non può stringersi?

Abbiamo deciso di fare quell’esperienza pur sapendo che sarebbe stata difficile. Quel che interessa a noi, non è tanto che il pubblico “poghi”, quanto più che il pubblico si senta libero. Anche in passato ci è capitato di suonare per gente seduta. La differenza non è tanto tra l’essere seduti o l’essere in piedi a spingersi. Anzi, il pogo in automatico fatto come abitudine, non è neanche quello molto interessante. Il punto è che ci piace vedere che la gente davanti si senta in un momento di libertà e anche di rispetto per chi è di fianco. Tra l’altro anche su questo, molti pensano che il pogo sia una specie di violenza simulata. In realtà chi è cresciuto anche nel pogo sa che è una pratica molto solidale. È una pratica dove si fa il modo che chi cade venga tirato su, in modo che si continui a correre e spingersi.

La trovo una cosa bella. Però appunto, la musica va bene ascoltarla anche da seduti se ti puoi alzare. Quello che è successo quest’estate, in tanti posti è successo in una maniera sensata. Nel senso che c’erano delle limitazioni che però venivano fatte rispettare con ragionevolezza. Quindi con un rispetto per quello che era successo nell’anno e mezzo prima, però senza il gusto di fare i poliziotti e senza paranoia. In tanti altri posti invece, c’è stato il peggio. C’è stata la paranoia, ci sono stati davvero i poliziotti per un giorno. Ed è stato parecchio brutto. Meglio farlo, e piano piano parlare, litigando se necessario con certe organizzazioni per far sì che la gente riprendesse una certa sicurezza e dignità, piuttosto che non farlo. Perché tanta gente era ormai spaventata, spaventata proprio dalla vita. Ed è uscita sempre dai concerti di quest’estate con più fiducia in sé stessa, mai meno.

A proposito del nuovo Tour, in un recente post su Instagram hai descritto i club in cui andrete a suonare come delle “vere oasi felici per la musica in Italia”. Rispetto a questo pensiero, cosa ne pensi del fatto che ad oggi, i nuovi artisti emergano affrontando più una gavetta fondata sui social rispetto ad una che passa da palco in palco?

Uno fa quello che può. Mi viene da dire che ci sono un sacco di artisti che si stanno facendo strada in un mondo privo di materia e comunque stanno facendo il loro. Quindi comunque è bene così. Dall’altra parte quella strada lì è una strada molto fragile, perché comunque finche tu non lasci un seme della tua musica con delle emozioni, anche vive e vissute, è più difficile farsi ricordare e far il modo che gli altri si affezionino. È più difficile in definitiva anche da un punto di vista meramente di sostenibilità del tuo progetto farlo durare nel tempo. Quindi l’importanza dei live club, come oasi e quant’altro, è proprio questa. Ed è anche il fatto di tenere in vita la musica secondo dei principi e delle dimensioni sensate a misura d’uomo.

Nel senso, va bene i mega concertoni negli stadi, nei palazzetti, i mega festival, però attenzione, è proprio una dimensione diversa che perde tanti dettagli della musica, che perde tante vicinanze. E poi si finisce un po’ come in quei festival dove mentre sta suonando il tuo artista davanti, tu lo stai guardando sul maxischermo di fianco. Non stai nemmeno più guardando il palco. È sempre un filtro, e quello allontana una parte di emozione.

Venite da un backgroud in cui la musica indipendente si contrapponeva ai grandi colossi Major. Ad oggi sembra che le due realtà abbiano trovato un punto d’incontro, per te questo può considerarsi un bene o un male?

Allora, bella domanda. C’è una situazione di collo di bottiglia in questo momento, rispetto effettivamente ai canali da cui uno può fare uscire la musica e riuscire a farla vedere e farla ascoltare, che è un po’ un problema. Diciamo che quindi questa “temporanea alleanza” sia in parte dovuta a questo. E quest’alleanza ha delle cose buone, nel senso che gli artisti anche giovani di oggi vengono accompagnati e consigliati su quello che stanno facendo rispetto a una volta.

Una volta poteva esserci, che ne so, un ventenne che andava avanti in un mondo underground dove ci si dava tutti la pacca sulle spalle per paura di criticarsi l’un l’altro, e quindi magari qualcuno portava avanti un progetto da dieci anni che era un progetto che non stava in piedi e nessuno aveva il coraggio di dirtelo. Oggi il rapporto tra music industries e scena underground diciamo aiuta a crescere prima, su questo non c’è dubbio. Dall’altra parte, sarebbe bello ritrovare nella scena Underground una dignità e dei riconoscimenti e anche dei propri percorsi che siano fuori da quelli delle grandi major.

Se uno pensa alla carriera di un Nick Cave, lui non è mai passato dai vari Sanremo del caso, non è mai passato dagli award del caso o chissà quale videoclip. Ricordiamoci che c’è possibilità, non solo di fare un’altra strada, ma proprio di costruirsela da solo un’altra strada. Di immaginarsela da soli e non è che i riconoscimenti ce li devono per forza dare le grandi strutture. Ci sono quante strade riusciamo ad immaginare semplicemente.

E questo rende la musica comunque libera da qualsiasi mercato.

Ti dirò di più. Come forse avrai capito io sono insieme molto idealista e molto cinico anche su certe cose, nel senso che facendo anche il produttore, poi non è che se uno arriva “mega lì, mega qui, mega su, mega giù” però il suo pezzo non sta in piedi… non sta in piedi. Però il punto che davvero danneggia, cioè l’uniformare la filiera produttiva, è che semplicemente la musica che ne viene fuori è meno interessante.

Dopo un po’ è noiosa, ed è quello che si genera quando parte un certo filone che viene preso da una qualche major, ne fanno 800 cloni diversi, ad un certo punto uno per un anno si ritrova in classifica 800 cloni della stessa cosa e dopo semplicemente da ascoltatore ti rompi le palle. Cioè che palle! È proprio la mancanza di una biodiversità, come quella che c’è nelle foreste. Quindi questo è secondo me quello che si va veramente a perdere al di là di una serie di valori. Il fatto che poi la musica diventi noiosa, che diventi come una serie di dentifrici sugli scaffali che ad un certo punto vai a prendere solo quello con la confezione più brillante, tutto qua.

 

LE DATE DEL TOUR DEI MINISTRI:

31/3/2022 Roncade (TV), New Age

4/4/2022 Torino, Hiroshima Mon Amour

7/4/2022 Roma, Orion

8/4/2022 Santa Maria a Vico (CE), Smav

15/4/2022 Perugia, After Life

16/4/2022 Pinarella di Cervia (RA), Rock Planet

23/4/2022 Firenze, Viper

24/4/2022 Bologna, Estragon

29/4/2022 Trezzo sull’Adda (MI), Live Club