Ibisco scrive canzoni d’ascoltare di notte mentre si attraversano quelle strade provinciali, tutte uguali, che costeggiano una pianura infinita. Bisogna perdersi dentro le sue canzoni, accettando di abbandonare quella ricerca incondizionata di sicurezza e fiducia, che anche senza ammetterlo, cerchiamo dentro gli altri.
Il mondo esterno è crudele e insensibile, non ha tempo per la misericordia, ma soprattutto non è interessato a cercare di capire e consolare l’essere umano, dilaniato da tutti i suoi sogni offuscati dalle fragilità della realtà.
Ibisco è uno di quegli artisti che utilizza la musica per raccontare e raccontarsi, motivo per cui definisce il suo album “NOWHERE EMILIA” come: “Un disco che non vuole essere al passo coi tempi, piuttosto con gli spazi vibranti dei trascorsi emotivi. Racconta una Emilia dark, post-industriale, rarefatta nei suoi angoli neri, simbolo di una regione della mente in cui si comunica attraverso i silenzi e le urla. Paesaggi come vuoti da fecondare con il proprio senso di inadeguatezza nei confronti del mondo.”
La città ha bisogno della provincia. Se la divorasse non potrebbe più contare sulla quella logistica dei sogni che, facendo dentro e fuori dalle sue mura, crea il moto perpetuo delle grandi idee. Il desiderio di riscatto, l’inquietudine, la desolazione si misurano nel potenziale esistenziale che in esse risiede. Al netto di fisiologiche espansioni il rispetto reciproco tra queste due realtà è una chiave per fluidificare le identità geografiche e trarne beneficio quali moventi del successo degli individui.
Posso dire che sia sempre più difficile capire dove inizi una e finisca l’altra.
Quello selvaggio delle luci artificiali che cercano impavide di trattenere una parte del giorno, affinché si possa avere una visibile continuazione di sé nel mondo. È romanticamente qualcosa che distende e annega, un agente capace di potenziare la pace esteriore e incendiare quella benzina che risale da dentro ogni volta che vengono silenziati quegli efficaci strumenti di distrazione che sono i doveri.
Il pensiero dell’amore illumina le notti, il suo essere colto in potenza, prima del principio, ancora incontaminato dalla stabilità.
Il grigio rinuncia al colore per elevare il soggetto che investe, delega a lui la responsabilità di comunicarsi, è generoso, umile, reticente abbastanza da alimentare l’immaginazione. Ogni grigio è da intendersi diverso dagli altri nella misura in cui narcotizza l’artificio della realtà.
L’ho immaginato in auto e l’ho scritto prevalentemente nei ritagli di tempo a lavoro.
Vivo in provincia, dalla mia finestra vedo un albero secolare che mi ricorda una pagoda cinese. Mi ricorda il primato della natura, la resistenza, la saggezza.
Quello che pensano gli essere umani dei loro più profondi rapporti di complementarietà.
È un’illusione. Mi rendo conto che la vita acquisisce senso quando anche solo per un breve istante ci rende capaci di condividere un posto del mondo – fisico o ideologico – con altri.
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