Lavare la ferita con l’acqua del mare | Indie Tales

La macchina si ferma sugli stessi sassi che il copertone conosce bene. Sono dieci le estati che Sara ha passato su quella strada di Puglia. Il rumore del mare le dà il benvenuto, il sole le accarezza il viso olivastro e i capelli scuri.

Riconosce la casa, la sedia bianca di plastica davanti alla porta, sempre la stessa. Supera l’ingresso. Si sentono le pale del ventilatore che girano e i fornelli accesi. Sua nonna Pina, canuta, col grembiule verde, le corre incontro e la stringe in un abbraccio. Sempre lo stesso.

Nella stanza è tutto al suo posto, tutto è uguale e familiare. Tranne una cosa. C’è qualcosa di rotto, qualcosa di sbagliato. Ma non è fuori, non è in quella casa, è dentro Sara stessa.

Si dice che il primo amore non si scorda mai, no? Beh, lei era convinta anche che Tommaso sarebbe anche stato l’ultimo.

Sara e Tommaso si sono conosciuti un’estate d’agosto, avevano diciassette anni e l’illusione che tutte le cose belle, se ci si impegna, dureranno in eterno. E per un po’ è stato anche vero. La vita però è complessa, lo sappiamo: la distanza, la crescita, tutta quella serie di cose che gli adulti ti ripetono che arriveranno ma pensi che di certo non cambieranno te e che invece lo fanno.

Alla fine, anche il loro, come tutti i primi grandi amori, è finito. E per Tommaso è stato l’inizio di un secondo.

Di tutte le cose che non si spiegava Sara, la peggiore era che, nonostante Tommaso le avesse spezzato il cuore – proprio su quelle strade, sotto il sole, davanti al mare -, nonostante la rabbia e la delusione, nonostante la fiducia persa e il dolore, l’amore non passasse. Come fai ad amare qualcuno che ti ha fatto così male?

Per tre giorni Sara legge il suo libro sulla sedia bianca, taglia le zucchine con la nonna, fa lunghe passeggiate sugli scogli, verso il tramonto, quando sa di non poter incontrare nessuno.

Le lacrime è sempre stata brava a nasconderle a tutti, Sara. O, meglio, a tutti tranne che al nonno Gianni, per cui quella bambina dagli occhi chiari è stato il grande amore di una vita dal primo secondo.

Alle quattro del mattino del quarto giorno, Sara si sveglia di soprassalto, qualcuno la chiama. Il nonno Gianni davanti a lei, due canne da pesca in mano e il cappello da pescatore. “Andiamo”, le dice. Lei non si fa troppe domande, si mette una felpa, le scarpe da ginnastica ed esce di casa.

I due vanno al molo, prendono la barchetta bianca del nonno, la barchetta Sandra, nome scritto in blu sul lato della piccola imbarcazione, e vanno.

“La pesca è un mestiere per le persone pazienti” esordisce nonno Gianni. “Perché non dipende da te quando o cosa arriverà. Da te dipende solo la capacità di tirare forte, quando e se qualcosa arriva”.

Gli occhi di Sara si riempiono di lacrime. “Beccata”, pensa lei.

“Pensavi davvero di riuscire a nascondermi qualcosa, ragazzina?”.

“Forse non sarei dovuta venire affatto”, risponde Sara, quasi parlasse tra sé e sé.

“Sara, i cuori si spezzano in continuazione, in ogni punto del mondo. Anzi, forse è un bene che tu sia qua, perché puoi lavare la ferita con l’acqua del mare”, dice nonno Gianni toccando con la mano la superficie dell’acqua.

“Lavare la ferita con l’acqua del mare” ripete Sara che imita il gesto.

Si fissano negli occhi, azzurri entrambi nello stesso modo.

“Una cicatrice ti rende una te un po’ più consapevole, non sei d’accordo? E allora lascia che si rimargini e lascia che ti cambi, anche se fa paura. Solo così, al momento opportuno, sarai in grado di tirare forte”.

Per la prima volta da quando è arrivata Sara sorride.

Da quella notte, ogni giorno, alle quattro, Sara e Gianni si svegliano e, con pazienza, aspettano i pesci. Aspettano che le ferite si rimarginino.

Da quella notte, tutti i giorni, Sara in mezzo al mare tocca la superficie dell’acqua e il cuore le fa ogni volta meno male.

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