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Leggerezza | Indie Tales

Ieri sera è stato diverso per Marta e io lo so bene perché non c’è nessuno che la conosca meglio di me, sua fedele compagna di vita da otto lunghi anni.

Lo penso mentre la lascio dormire in quel letto troppo piccolo per due e mi alzo di sottecchi, stropicciandomi gli occhi e l’anima dalla sera prima.

Sapete, quando sei amica di una persona fino a questo punto, riesci a riconoscere ogni minima espressione del suo viso, ogni emozione. Ed erano mesi che non vedevo più qualcosa che assomigliasse alla gioia. Non che non ci avessi provato a fare del mio meglio, è chiaro. È solo che a volte serve tempo, oltre che amore e pazienza, per curare certe ferite.

Così investita Marta nello stare male, che a volte sospetto quasi che le piaccia. È sempre stata fatta così, da quando la conosco: si mette addosso il dolore come fosse un vestito di scena e diventa un personaggio di uno dei suoi libri. Ed è anche il bello di lei, non fraintendetemi.

L’ultima volta però era diverso. Non c’era un sipario in cui lei e i suoi lunghi capelli rossi potessero riproporci una rivisitazione contemporanea di un romanzo di Emily Brontë. C’erano solo un paio di occhi spenti e nessuna voglia di parlare.

Ieri qualcosa è cambiato.

È entrata spavalda con i suoi stivali neri e la pelle così chiara che a volte sembra fatta di gesso, quasi fosse una statua, merce fragile. Per me è sempre stato così, sento il forte bisogno di proteggerla perché ho paura che si rompa e mi sorprendo ogni volta quando mi sorride, mi frega, e non si rompe mai.

“Lascio il telefono a casa”, mi ha detto, brandendo un bicchiere di vino rosso.

“Sei sicura?”, le faccio io.

Mi fissa, si avvicina quasi minacciosa, poi mi stringe in un abbraccio e mi dice “Sì. Basta. Voglio stare bene”.

“Sei tu la tua prima nemica, lo sai, vero?”

“Sì. Ma stiamo cercando di fare pace”. Mi fa l’occhiolino, mi prende la mano e usciamo.

Le strade di Torino ci inghiottono. Fa freddo ma non è importante. Marta parla al bancone di un bar e ride, la guardo furtivamente e rivedo qualcosa, per un attimo. Una scintilla. Torniamo che è mattino presto, cantando una canzone di Rino Gaetano, con la convinzione di avere tutto il mondo ai nostri piedi.

Torno al presente. Sono in cucina e Marta mi saltella incontro con una maglia più grande di lei e un paio di calzettoni.

“Caffè?”, dice sorridendo. Quella piccola scintilla che vedevo nei suoi occhi la sera prima non è svanita nella notte e nel fumo delle sigarette.

“Caffè”, rispondo.

Serve sempre molto tempo, oltre che amore e pazienza, in questi casi. Per fortuna io non ho fretta.

RACCONTO ISPIRATO DAL BRANO “LEGGEREZZA” DI GHEST