PH: Alberto Polcini

Akila_itn: “Bisogna ascoltare, accettare e fare proprio il dolore per affrontarlo” | Indie Talks

Affrontare i cambiamenti è sempre un terno al lotto. Che siano positivi o negativi, si sa sempre quello che si abbandona ma non si hanno risposte su ciò che sarà in futuro.
Quello che è chiaro è che ognuno reagisce in modo diverso e che affrontare le delusioni richiede un percorso più o meno lungo. La musica è sicuramente una compagnia importante, che può offrire un abbraccio di conforto o uno schiaffo al momento giusto per iniziare a reagire.

Di questo abbiamo parlato con Davide Cammarata, in arte Akila,che con il suo primo singolo “Perfetti (e) sconosciuti”, ci racconta di quel cambiamento alla fine di una relazione, quando si passa dall’essere tutto all’indifferenza e al dover far finta di nulla.

PH: Alberto Polcini

AKILA_ITN X INDIE TALKS

Ciao Akila, benvenuto su Indie Mag!
Spesso le cose finiscono e a volte non per nostra volontà. Secondo te, quale è il percorso di accettazione di un cambiamento?

Ciao Sarè! Credo che se con “cambiamento” intendiamo qualcosa di inaspettato e soprattutto non cercato, una formula magica per uscirne illesi non ci sia, o almeno io ancora non l’ho trovata. Il percorso al quale tu fai riferimento posso immaginarlo come qualcosa caratterizzato da fasi differenti ma non indipendenti tra di loro. Mi spiego meglio.
Ci sono momenti in cui vorresti fare, ma non puoi o semplicemente non riesci perché ti senti paralizzato, e momenti in cui vorresti solo stare fermo, ascoltarti, cercare un equilibrio, ma il mondo va avanti al suo ritmo e senti di doverlo rincorrere quasi obbligato ad uno sforzo per inseguire qualcosa che nemmeno senti tuo.
Se però provi per un attimo a rallentare, il che vuol dire alle volte anche lasciar scappare qualcosa senza inseguire sempre tutto, ti rendi conto che poche sono le cose (e forse anche le persone?) che restano lì e che ti aspettano o addirittura ti cercano. Rallentare talvolta ci permette di notare e dare valore a tante piccole cose alle quali magari fino a prima faticavamo a dare attenzione o addirittura non notavamo. Quindi, per rispondere alla tua domanda, direi: prendere atto della fase in cui siamo, accettarla e provare a vivere le cose con questa consapevolezza. Forse questi sono gli spunti dai quali ripartire, come solide basi per ricercare noi stessi.

Credi che scrivere possa aiutare nel processo?

Per quanto mi riguarda non solo credo possa aiutare ma penso sia essenziale. Non sono mai riuscito a scrivere tanto per scrivere. Forse non ci ho nemmeno mai provato, la vivrei come una perdita di tempo. Gioco con le parole da quando ho preso in mano la chitarra, intorno ai nove anni, forse prima con qualche prototipo di poesia.
Scrivo per egoismo, scrivo perché serve a me, per mettere sulla carta pensieri che altrimenti si aggrovigliano e fanno caos. Cerco di sciogliere i fili per fare ordine. Così facendo alle volte tiro il filo sbagliato e un altro nodo si fa più stretto, ma fa parte del gioco e quindi continuo sperando che ad un certo punto la matassa si sbrogli. Alle volte mi capita di non scrivere per mesi, fino a che non succede qualcosa che mi incasina la testa ed allora è lì che “mi chiudo in casa e scrivo” (piccolo spoiler del prossimo pezzo), come se questo mi permettesse di ricongiungermi e dialogare con la parte più intima di me. Quindi si, scrivere è per me decisamente di aiuto in questo processo.

Come affronti le delusioni? Chiudendoti in te stesso o cercando qualsiasi modo per distrarti?

A fasi direi. Nella prima sicuramente chiudermi in me stesso è quasi automatico, sono molto bravo in questo! Più la cosa è grande e più questa è ampia e profonda. In questi momenti la montagna è il mio luogo sicuro, nei momenti più difficili sento il desiderio di prendere e partire, e talvolta lo faccio. Passare qualche giorno in solitaria in mezzo ai boschi per bivacchi o rifugi tra lunghe camminate, sudore e fatica, magari raggiungendo una cima scelta a caso, mi aiuta a esternare quello che ho dentro, pensare meno ed essere più obiettivo. Un altro modo che ho per non pensare o pensare meno in questi casi è uscire con gli amici e fare festa, ma quando il motore che ti spinge a farlo è una delusione e dunque un malessere di fondo il rischio di esagerare è dietro l’angolo. Non sono mai stato per le vie di mezzo e non a caso mi piace dire che “a volte esagero sempre”, da un estremo all’altro insomma. Non per scelta sia chiaro, ma sono fatto così.

Meglio cercare di scappare dal dolore o andargli incontro per affrontarlo?

Sicuramente ascoltarlo, accettarlo e farlo tuo. Non sono bravo ad ignorare il dolore, di solito tendo a prenderlo come un treno di petto con la convinzione che sia necessario imparare a soffrire. Ho sempre avuto questa convinzione che il dolore aiuti a crescere, ma mi sto anche rendendo conto che forse non può essere l’unica prospettiva. Questa visione può valere per alcuni momenti, o fasi come dicevamo, ma alla lunga rischia di sfinirti e quindi sto imparando anche a godermi le cose belle senza cercare di mettermi per forza sempre alla prova e in difficoltà. Sono sempre stato il miglior nemico di me stesso in questo senso.

A proposito di “Perfetti (e) sconosciuti” (titolo del tuo primo singolo), fa più male il momento immediato della rottura o il momento in cui ci si rende conto di essere quasi diventati sconosciuti?


Dipende da cosa stai prendendo le distanze. Ma se quel qualcosa è l’amore credo che quello della rottura, momento che per inciso può durare mesi o anni, sia il più difficile in assoluto. Come se ti mancasse l’aria. E’ come trovarsi su una spiaggia piena di sassi, sapere che lì c’è una perla stupenda ed essere costretto a metterci sopra il cappello, fare finta di non vederla e passare oltre. La cosa che fa più male è che sai che è lì e quanto sia preziosa per te, ma devi “fare finta di niente” consapevole di proseguire alla ricerca di niente con intorno a te solo “facce spente”.
Difficile è anche accettare di trattarsi come sconosciuti, perché l’intimità e l’affetto sono cose che gli occhi, forse per fortuna, non sono in grado di nascondere. Così le strade prendono direzioni diverse e tutto questo ti confonde, fino a non capire se ciò alla quale ti senti visceralmente legato sia la persona o l’idea, meravigliosa, di ciò che siete stati e avete condiviso.

Abbiamo parlato di passato, ma nel futuro di Akila cosa c’è?

Per quanto riguarda i miei pezzi ne abbiamo uno quasi pronto che vorrei far uscire a breve, brevissimo direi. Questo pezzo come il primo, “perfetti e sconosciuti”, fa parte di una serie di canzoni nate a seguito della fine di una storia meravigliosa. Potrebbero essere racchiuse in una sorta di concept album in quanto sono state scritte nell’arco di due anni circa e molte di queste contengono riferimenti temporali e concetti chiaramente appartenenti a diverse fasi di elaborazione della cosa. Sarebbe curioso lasciare indovinare a chi le ascolta il possibile ordine in cui sono nate!

Se ho fatto questo primo piccolo grande passo per far conoscere a tutti i miei pensieri e la mia musica devo assolutamente ringraziare i miei amici/produttori/musicisti/compagni di vita e da una vita, Cristian Alghisi, in arte LOKAP, Sebastiano Danelli e Alberto Polcini, in arte PERIPEZIE.
È con loro che qualche anno fa è nato il progetto “Il Tuo Nome”, da cui ITN, con l’idea di suonare in giro pezzi nostri per poi fare festa con gli amici di sempre. Essendo un progetto per suonare dal vivo è stato messo in stand by causa covid, ma stiamo per ripartire, stay tuned.

E per allungare le playlist dei nostri lettori, 3 canzoni che ti hanno aiutato a superare momenti difficili?

Sceglierne tre è veramente difficile. Ci sono pezzi che ascolti in loop per giorni perché in quel particolare momento riescono a toccare la corda giusta dentro di te e poi ci sono quelli che ritornano periodicamente, come colonne portanti a supportarti, i tuoi evergreen diciamo. Per i primi ne ricordo alcuni veramente imbarazzanti che in quel momento sentivo ma poi non ho più ascoltato magari, mi soffermerò sui secondi…
Direi: “Punk” di Gazzelle, “La Cura” di Franco Battiato e “Ogni maledetto giorno” di Mostro.
Si, vengo dal cantautorato e ascolto anche molto rap.