PH: Chiara Mirelli

Liede: “Trasformare in arte ogni esperienza” | Indie Talks

Articolo in collaborazione con Filippo Micalizzi

Quello di vivere le proprie esperienze a pieno, nel bene e nel male, rappresenta per un artista un passaggio necessario per poter creare dell’arte. La pandemia, oltre che fermare l’intero mondo, ci ha precluso il vivere un diverso punto di vista, impedendoci di assorbire quel che accadeva intorno abbandonandoci in un limbo senza fine.

Adesso che tutto si può, sfruttare ciò che ci circonda è un dovere morale. Liede ne ha fatto un imperativo, convogliando tutto sé stesso, tra passato e futuro, in Testacoda. Un disco in cui rifugiarsi, che racconta il cuore pulsante di una Torino di notte, specchio della propria anima e capace di ingurgitarti se non sei pronto a venire a patti con te stesso.

LIEDE X  INDIE TALKS

Parlando di passato e futuro, Testacoda è un disco che unisce musicalmente le sonorità e l’approccio della musica italiana ad un’elettronica più moderna. Cosa ti ha influenzato musicalmente per la stesura di questo disco?

L’influenza maggiore è derivata, prima ancora che dalla ricerca di references artistiche, dalla necessità di voler dare un volto nuovo e più attualmente coerente al nuovo me che si apprestava a scrivere un disco dopo molti, per la discografia moderna, anni dal primo.

Non mi riconoscevo più in un certo immaginario che apparteneva a un periodo sicuramente più felice e spensierato della mia vita, per quanto tanto felice e spensierato io non lo sia mai stato. Questo il punto di partenza, che musicalmente si è evoluto nell’anima particolarmente notturna e clubbing di Testacoda. Risulta un disco molto torinese, mi è stato detto più volte, e ne sono felice. Sono contento che traspaia tutta, o almeno in parte, l’energia elettronica di questa città, che è la città dei Murazzi e di Club to Club, per citare due istituzioni. Ma soprattutto di un’infinità di realtà underground che si occupano di club culture.

Il mio tentativo artistico è sposare la canzone italiana, fatta di strofe e ritornelli, con l’anima elettronica di cui sopra. Con Testacoda, e grazie al lavoro fatto insieme al mio producer Ale Bavo, ci siamo in parte riusciti, credo. Comunque siamo sempre più vicini alla meta!

Per citarti almeno un artista che ho seguito molto ultimamente, e che mi ha ispirato nella scelta di alcune metriche e atmosfere ti dico i Bicep.

Quanto un artista in quest’epoca musicale deve guardare al passato e quanto invece deve puntare a creare qualcosa di avanguardistico?

Credo che l’accento in termini di importanza sia da mettere non tanto sulla “cronologia” artistica, quanto sulla necessità, appunto, artistica, comunicativa. Sulla famosa “urgenza creativa” di cui tutti prima o poi finiscono a parlare.

Credo che non ci siano regole, l’avanguardia è intrinsecamente attraente perché è un territorio inesplorato, ma non potrebbe esistere senza passato.

Andrea Laszlo De Simone ha fatto un disco degli anni 60 ed è un masterpiece di un’attualità disarmante. Io cerco di mettere insieme canzone e musica elettronica post 2020, come molti hanno già fatto, ma con una parte testuale che dovrebbe predominare e fare emergere il tutto. Perché è così che ho immaginato il “prodotto” che ho l’urgenza di comunicar ora, nel 2023. Ma di certo non è avanguardia.

Per rispondere in parte alla tua domanda, credo che l’artista debba guardarsi molto attorno e capire che apporto può dare alla creatività che già lo circonda.

Nel disco, la notte gioca un ruolo fondamentale per “scappare” dai problemi, la consideri una tua comfort zone?

Testacoda è un disco notturno, e la notte è il mio habitat naturale. Seguo molto la club culture torinese pur non essendone il massimo esperto, però ci sguazzo a meraviglia, cerco di andare a più serate possibili. Dopo il lockdown è diventato quasi un imperativo. E la musica elettronica, techno, house, organic house, goa, psytrance, la musica fatta principalmente di suono a scapito delle parole, è, paradossalmente, per me che do grande importanza all’elemento testuale, quella che ultimamente ascolto di più.

C’è anche ovviamente una notte fatta non di club, ma di banconi di bar, enoteche, panchine e piazzette, e case e studi musicali di amici. È sicuramente la notte che vivo di più e quella in cui mi rifugio, sì, ma è una medaglia a due facce. Un animo irrequieto di notte può quasi solo fare disastri, la notte in alcuni casi può trasformarsi in una bestia feroce e sbranarti con risvegli che lasciano il segno per giorni. La notte dev’essere rispettata, chi la sottovaluta finisce per non riuscire poi a trovare l’uscita.

È bello credere che dopo l’ultima chance in realtà ce ne sono ancora altre?

Si, è vitale! È anche importante però credere all’idea di “ultima” chance, perché aiuta a raggiungere il giusto mindset nell’affrontare le cose importanti. Se vivessimo tutto come la “brutta” di un tema, che tanto puoi sbagliare cancellare buttare per poi riscrivere la “bella”, non ci godremmo nulla. L’idea di ultimo, di fine, di now or never è importante. Stressante ma importante.

Le promesse ti spaventano?

Si, da morire. Perché se le faccio voglio mantenerle, e a volte si rivela impossibile. Per questo prometto poco.

PH:Chiara Mirelli

In “Brutta storia” ho avvertito la sensazione di essere all’interno di un limbo tra il passato e il futuro, incastrati nella monotonia delle giornate che non cambiano. Credi sia un problema di pigrizia nella nostra generazione o qualcosa che non possiamo controllare?

Brutta Storia in realtà è una canzone che parla di un amore finito, e dei suoi strascichi. La sensazione che hai percepito tu deriva, secondo me, dal fatto che l’ho ambientata, guarda a caso, nella notte dei vizi e degli stravizi, che la mia generazione (come credo tutte le altre) utilizza come sedativo per non pensare alle cose che sta rovinando o forse perdendo per sempre.

È più facile dire “fanculo, basta, ognuno per la sua strada” se sai che tanto per lavoro o anche solo indole passerai i mesi successivi ad annebbiarti nei bar, sentendo solo una vaga simulazione del vero dolore che la fine di un amore, un amore vero, causa.

Siamo (o perlomeno io sono stato a lungo e inizio adesso a vedere una sorta di fiochissima luce in tal senso ma è rara e debolissima) una generazione che è più portata e fregarsene e mandare tutto in vacca perché non c’è nessuna prospettiva reale per un futuro migliore. E quindi si fa fatica a costruire, a immaginare qualcosa di bello che meriti la nostra attenzione. Se accendi il telegiornale e non ti butti dalla finestra per me sei già un eroe.

In “Non morire domani” dici: “Nelle tue scarpe consumate più belle di quando le hai comprate”, parlando al passato come qualcosa che può migliorare il presente e accendere una speranza sul futuro. Quanto valore ha per te il passato in quel che stai costruendo adesso?

Ha moltissima importanza, ma ho imparato, anzi sto imparando, che è da dosare molto attentamente. Io sono uno che guarda sempre indietro prima di andare avanti, ma mi sto sforzando di farlo un po’ meno, perché sto imparando i danni mortali che causa la nostalgia patologica.

Il passato, bello o brutto che sia, è sicuro, è una calda coperta nella quale avvolgersi e deprimersi dolcemente.

E poi muori. Nel senso che il tempo finisce, e tu sei rimasto lì nel tuo giardinetto dei ricordi.

Avere fiducia nel futuro in qualche maniera aiuta a renderlo migliore?

Può darsi, ma chi ha fiducia nel futuro? Globalmente dico.

Come comunità, come esseri umani non idioti che invece che spararsi contro l’un l’altro dialogano, certamente avere fiducia nel futuro aiuterebbe a renderlo migliore.

Al momento, pur essendo in uno dei periodi sicuramente più positivi della mia vita, professionale e non, non riesco ad avere molta fiducia nel futuro.

Ci provo, e ci riesco a tratti, quando guardo quello che sto costruendo con e grazie alle persone che mi stanno attorno.

Quali sono i tuoi sogni randagi per un futuro a lungo termine?

Sogno egoisticamente grandi canzoni, grandi dischi e grandi concerti. E di avere il tempo e la forza per crescere intellettualmente, e trasformare in arte quello che imparo.

Sogno la riapertura dei Murazzi degli anni 90, perché è una grave ingiustizia che io non li abbia vissuti.

Sogno musica ad alto volume dalle case, in questa primavera che sta per sbocciare, e fiumi di gente colorata per strada che balla, si vuole bene, scopa e sorride.

Sogno quello che sognavamo tutti durante il primo lockdown, e che poi ci siamo meschinamente rimangiati.

PH: Chiara Mirelli