PH: Chiara Borredon

Ciulla: “L’arte di stare bene” | Indie Talks

Come si fa a dare una definizione all’arte di stare bene? Ogni persona ha certe regole per trovare il proprio equilibrio emotivo e sentimentale, sarebbe quindi impossibile stilare una formula che va bene a tutti.

Ciulla ha deciso di esplorare se stesso in questo disco molto personale, ma allo stesso tempo universale, rimestando dentro i meandri della sua anima, mescolato passato presente e futuro.

In alcuni momenti si sente il peso del cielo sulle spalle, si ha la sensazione che l’amore è inutile o di avere le sembianze di un fantasma, consideriamoli come un intermezzo necessario per trovare la felicità.

Per raggiungere la cosiddetta felicità bisogna rispettare un insieme di regole non scritte invisibili e mutevoli, un mix di sentimenti talvolta contrastanti, ma soprattutto un percorso per conoscersi e trovare il coraggio di stabilire delle priorità compiendo ogni giorno, piccoli gesti finalizzati al raggiungimento di un scopo.

Stare fermi non è la soluzione, e anzi quando si supera un traguardo bisogna spostare l’arrivo qualche metro più avanti andando avanti all’infinito in questo loop. Non bisogna vergognarsi se si sbaglia strada, se capita d’inciamparsi o di venire superati dagli altri, si deve sempre andare avanti con la convinzione di riuscire a diventare una persona migliore, in primis per noi stessi.

Nel mondo di oggi esporre la tristezza dovrebbe considerare un gesto naturale, purtroppo però chi affronta dei momenti complicati ha paura di chiedere aiuto, preferendo soffrire in silenzio piuttosto che venir sottoposto al giudizio del mondo esterno.

CIULLA X INDIE TALKS

Quanto ti senti fragile?

Ultimamente non più tanto. Ho passato una vita intera a giudicarmi e a non essere mai sicuro di me stesso ma l’età adulta, l’uscita del mio nuovo disco e altri grandi cambiamenti che negli ultimi tempi hanno un po’ stravolto la mia vita privata mi hanno prima scombussolato e poi fortificato. In passato trascorrevo molto tempo a guardarmi intorno; oggi tendo molto di più a lavorare e concentrarmi sulle mie passioni.

Questo non solo ha portato ad amarmi di più e a rendermi più sicuro di mea stesso, ma ha fatto sì che scrivessi un disco di cui sono molto fiero. Le fragilità non sono scomparse, è ovvio: tendo però ad esserne meno schiavo cercando di analizzarle per farle magari fruttare per la scrittura di nuova musica o per darmi una mossa a fare sempre di più in tutti i campi.

È stato doloroso scrivere “L’arte di star bene”?

È stato un percorso di autoanalisi durato anni che ha toccato momenti diversi di vita. In alcune fasi questi momenti sono stati anche molto complicati ma lo scrivere non è stato doloroso, anzi, è stato un mezzo per analizzare ancora di più me stesso e i sentimenti che provavo a seguito di quei momenti. Non è un disco sul dolore, ma un viaggio tra le varie fasi di vita di una persona che ricerca se stessa. Proprio per questo è stato un disco sincero, che non risente di influenze esterne e che non ha voluto ammiccare a nessuno.

PH: Chiara Borredon

Perché i viaggi permettono di conoscere noi stessi?

Penso che la vita stessa sia di per sé un viaggio e, come dico in “Viaggi in Sud America”, non serve andare chissà dove se in primis non sei tu stesso a capire, cambiare a rivoluzionare quello che di negativo ti porti dentro. Se per viaggiare si intende conoscere nuovi luoghi, nuove tradizioni, nuove persone e nuovi sguardi sul mondo vuol dire che ogni singola vita è un grande viaggio e il fatto che sia illuminante, bello, noioso, brutto o educativo dipende prima di tutto da noi.

Che sensazione è quella di portare “Il cielo sulle spalle?”

Qualcuno potrebbe dire che è condizione di ogni persona del mondo che si definisce fragile, io penso che sia una sensazione che in un modo o in un altro appartiene ad ogni essere umani. Siamo nati senza che nessuno ce lo chiedesse e questo comporta, per forza di cose, una certa fatica di vivere che ci accomuna tutti in quanto cittadini di questa terra.

Come si superano le sfide che ci offre la vita?

Non so per chi mi hai preso ma purtroppo non sono ne un oracolo, ne un guru. Se lo sapessi sarei ricco, famoso e probabilmente a capo di una nuova religione o filosofia di vita. Io ti posso parlare solo per me stesso: da mesi vivo in una sorta di senso di gratitudine nei confronti della vita e delle energie che la smuovono.
Sono grato di essere qui, di quello che faccio, dell’impegno che metto nell’inseguire le mie passioni, dell’aver conosciuto persone che tengono a me e dell’aver vissuto momenti di vita talvolta belli, altri brutti e complicati che però hanno contribuito e contribuiscono ogni giorno a formare quella che è la mia persona. Questo senso di gratitudine mi aiuta a superare i momenti più difficili e vivere con meno ansia l’idea che niente è eterno, che tutto passa e che il tempo scorre inesorabile. Non ho una risposta, ti dico solo che io mi sento in continua formazione e voglio continuare ad esserlo.

La ricerca di un po’ di follia è una medicina?

Può darsi, anche se non so cosa tu intenda per follia. Qualcuno potrebbe pensare che scrivere canzoni e pubblicarle sia una cosa un po’ “folle” e fuori dalle righe. Per me è assolutamente normale, il gesto più umano e normale che potrei fare. Come dico nella title track del mio disco, scrivere musica è la mia sola forma di “sconclusionato amore”. È l’insieme della mia vita che ogni tanto mi sembra un po’ folle visto che la mattina insegno storia e lettere alle scuole medie e la sera o faccio le prove, o sono in giro per l’Italia a fare concerti e a mettere musica nei locali.

Che distanza bisogna tenere con i sentimenti per trovare il proprio equilibrio?

Ti rispondo ribaltando la domanda: personalmente, basandomi su quella che è stata la mia vita fino ad adesso, penso che il proprio equilibrio si trovi andando incontro ai nostri sentimenti e non reprimendoli.
PH: Chiara Borredon