PH: Giovanni Peluso

Dario Cuomo: “Il mio cuore canta in dialetto” | Intervista

Per affrontare la realtà bisogna essere pronti a tutto, anche alle brutte sorprese. Dario Cuomo cerca di esorcizzare le illusioni con un nuovo brano in dialetto napoletano dal titolo “Vlen”.

Questa canzone con il sottotitolo (Vita – Luce e Notte), vuole essere un atto di ribellione alla disillusione, o meglio ancora, un atto di coscienza in amore. Una canzone che urla la voglia di non svilire ogni momento d’amore passato, bello o brutto che sia, ma, allo stesso tempo, canta la voglia di non abbattersi, di non cedere al ricatto della disperazione.

Ogni esperienza ci permette di essere quello che siamo e Dario Cuomo con questo brano apre il suo cuore al mondo esterno.

INTERVISTANDO DARIO CUOMO

Perché questa canzone è un atto di ribellione contro le illusioni?

Sono partito da questo concetto quando ho posato per la prima volta la penna sul foglio. Mi accorgo, giorno dopo giorno, di quanto sia illusorio quasi tutto il mondo che ci circonda: i rapporti sociali, gli amori, gli ideali, le canzoni… tutto mi riporta spesso e volentieri a questa drammatica parola “illusione”. Volevo scrivere qualcosa di diametralmente opposto a ciò che vivo, e quindi qualcosa di più vero possibile. E credo non ci sia sentimento più vero del rinnegare addirittura se stessi o le proprie relazioni, scrutare dentro e far uscire fuori tutto il marcio che si nasconde dietro la flebile corazza dell’illusione. Credo che, assieme a Vence sempe ‘a sera,  sia il testo più coerente che abbia scritto sin ora. Scrivere la verità che si nasconde dietro il falso perbenismo, dietro la risposta “niente” alla domanda “Cos’hai?”, dietro le ingiustizie della vita, quello è da sempre il mio obiettivo di artista. 

Dalla confusione si può riemergere con le idee più chiare?

Certo, di questo ne sono assolutamente sicuro. Credo ci sia bisogno, però, di “distaccarsi dal sè”. A primo impatto, quando si è nella massima confusione non si riesce mai ad arrivare al nocciolo della questione, ci si sente persi, ma è solo una sensazione. A volte è la mia stessa mente a darmi l’illuminazione: spesso sogno vie di fuga, nei momenti peggiori, come se inconsciamente (o meglio subconsciamente) sappia già dove andare a virare per uscire dall’ingorgo. Ma il più delle volte, bisogna razionalizzare il tutto, creare una scappatoia vera, senza fuggire però. Bisogna avere il controllo delle proprie emozioni, sedersi e concentrarsi sulla respirazione come parte non più involontaria della nostra vita. Non sempre riesco eh, non sono un robot, ma sapere di poter vincere la confusione attraverso solo le mie forze è comunque un qualcosa di profondamente rassicurante da cui poter partire.

L’amore può essere un veleno?

Parlando di esperienze personali, non posso che rispondere con un’affermazione. Nel tempo molte persone, amici, amori, familiari hanno tentato di “avvelenarmi”, a volte anche senza capirne bene il motivo. Forse ho amato troppo, o troppo poco per loro, non lo so. So solo che a furia di ingerire piccole quantità di veleno, sono diventato come il Conte di Montecristo: una dose di veleno che potrebbe uccidere chiunque, a me fa venire al massimo un po’ di nausea. Sono lentamente diventato immune.

Certe notti sembrano durare troppo a lungo?

Ho sempre pensato che il tempo sia un qualcosa di molto relativo e a se stante, e che ogni emozione, sensazione, alla fin fine ha il suo ciclo di nascita, crescita e morte, così come ci insegna la stessa vita. Non mi preoccupa la lunghezza della notte, perché vivo sempre con l’occhio proiettato alla fine del tunnel. Mi fa più paura raggiungere “il giorno”, avere tra le mani la luce e non sapere che farmene, come fare per godermela appieno, senza strizzare l’occhio ad un nuovo buio. Diciamo che sono una persona molto ottimista quando mi capita qualcosa di brutto, ma anche molto pessimista quando le cose vanno per il verso giusto. Ho bisogno di limare questo mio “difetto”. 

C’è differenza tra scrivere una canzone in italiano e una in dialetto?

Beh, sono due lingue molto diverse, quindi è abbastanza chiaro che ci siano molte differenze e diverse complessità. L’italiano resta la lingua predominante nei miei testi, perché attingo molto dal cinema, dalla musica e dalla letteratura italiana, poi io sono fissatissimo con la grammatica italiana (genitori insegnanti) e con la poesia che alla lingua italiana ha dato il la. Diciamo che l’italiano è la lingua della mia mente, ma quella del mio cuore è il dialetto. La musicalità, le parole troncate, la possibilità di creare mille altre assonanze e consonanze rispetto all’italiano, fanno della lingua napoletana un lusso che non posso tenere da parte, chiuso in un cassetto. Non credo che smetterò mai di scrivere in entrambe le lingue, perché sono entrambe parte della mia essenza e della mia personalità.

Che rapporto hai con la tua terra e le tue origini?

Come in ogni storia di puro amore, a volte, si hanno dei grandi litigi o comunque delle incomprensioni, e ad esempio io, a 18 anni, ho avuto la possibilità di andare via e non me lo son fatto dire due volte. A Roma abito ormai da 12 anni, ma spessissimo ho quella “appucundria” tutta nostra, di noi campani, e devo assolutamente tornare a casa, dove mi sento più coccolato, sia dalla famiglia che dalle persone che vivo. Lo stesso vale per la scrittura dei miei testi. Scrivo prevalentemente in italiano, ma il mio cuore  pensa e penserà sempre in napoletano, e di tanto in tanto, sul foglio, mi scappa la parola partenopea, ed, ogni volta, è l’inizio di una nuova storia d’amore fatta di “‘ngopp”, “arrevuoto” e altre splendide sonorità che solo nella mia terra possiamo ritrovare.

Quali emozioni hai provato vedendo i Coldplay fare un tributo a Pino Daniela durante il concerto di Napoli?

Beh, credo che per noi figli di Mamma Campania assistere a un tributo del genere possa essere solo motivo di orgoglio. Chiaramente oltre ai brividi provati, mi è venuta una gran curiosità di sapere come ha fatto Chris Martin ad imparare così velocemente e così bene gli accenti e le cadenze di una lingua così particolare come quella partenopea. Un mito assoluto, come, del resto, il grande Pino.

PH: Giovanni Peluso