“Saracena” è una dedica al mare della Sicilia e a tutte quelle persone che arrivano o partono, cercando tra le onde una via per il proprio destino. Claudio Saitta è il pirata degli amori estivi, attaccando i nostri cuori per lasciarsi in balia di emozioni che durano meno di tre minuti.
Quante volte abbiamo lasciato il nostro cuore in giro, dimenticandoci poi che era il tempo di salutare, prepararsi a ritornare dentro la monotonia del quotidiano.
Forse abbiamo sfiorato la felicità tra le dita senza avere la possibilità di stringere forte, in questo modo possiamo rimanere aggrappati solo a fragili ricordi.
Siamo uguali io e te, ma a un passo dalla fine io mi sveglio, Claudio Saitta ci riporta alla realtà, come se l’estate fosse solamente un viaggio onirico dentro sogni inesplorati.
La Sicilia è un luogo di contaminazione, di diversità non in contrasto tra loro che generano bellezza, odio e al contempo di amore.
In Saracena ho cercato di restituire questa commistione unendo il calore della mia anima latina, attraverso le melodie espressive della voce e delle chitarre acustiche, alla freddezza timbrica tipica dei sintetizzatori e della batteria elettronica.
Nella mia scrittura il tempo è un elemento costante, rielaboro il mio vissuto ed inevitabilmente fuoriesce una profonda malinconia.
Saracena è dedicata proprio a coloro che, vivendo nei luoghi di mare, sono costretti a convivere guardando le navi salpare. Al loro interno si trovano gli amori, le amicizie o la famiglia. In particolare, l’amore estivo è un pirata che approda e ruba un pezzo di cuore, pronto a salpare via a fine stagione. Il destino di chi rimane è fondato sul ricordo e sull’attesa. Personalmente, sono molto più attratto dalla malinconia di settembre che dall’euforia di agosto.
È sempre stato molto semplice riconoscere ciò che realmente desideravo, è stato piuttosto difficile invece imparare a rinunciare. Come recita un famoso aforisma: “Fai attenzione a ciò che desideri perché potresti ottenerlo”.
Uno degli aspetti fondamentali dell’arte è proprio sublimare il desiderio, dandogli una linfa vitale più pura e senza tempo.
No, assolutamente. Se io fossi un marinaio passerei la vita affacciato dalla mia nave, cercando di scorgere qualcosa.
Nel brano Nelle tue mani canto: “Se sarai vento, io sarò una vela sempre tesa di una piccola barca fatta di speranza; trasportami dove puoi o affondami se lo vuoi”.
Amo l’idea che possa esistere qualcosa che mi trascini con violenta passione.
Senza pensarci troppo le prime che mi vengono in mente sono Summer on a solitary beach di Franco Battiato (che ripropongo spesso nei miei live), Seemann dei Rammstein, Tanca di Iosonouncane, Talassa di Colapesce e, se le onde mi cullano, la Barcarolle di Emilio Pujol per chitarra classica.
Vorrei saperlo pure io! È il tema del brano Faccio fuori. Credo che un ottimo punto di partenza sia, per quanto possibile, quello di fare sempre ciò che sentiamo di voler fare. Purtroppo, non sempre è una scelta e chi ha la fortuna di poterlo fare deve averne consapevolezza, sfruttando al massimo ogni istante. Ne Lo stesso errore canto: “Il tempo è sabbia nella mia mano, come scorre in fretta”.
Dobbiamo sbrigarci se non vogliamo avere rimpianti.
Per me il sopravvivere è inteso come il vivere per inerzia, simili a degli automi che fanno parte della catena di montaggio.
Vivere, invece, significa essere curiosi, non perdere mai la capacità di stupirsi, sviluppare la propria voce e non aver paura di condividere con il mondo le proprie debolezze: buttare giù la maschera e smettere definitivamente di voler piacere a tutti.
Probabilmente per comodità. Il cambiamento significa distruzione e ricostruzione ed è un processo troppo rischioso per chi non ha il coraggio di uscire dalla propria comfort zone.
Credo, paradossalmente, che non ci sia nulla di più coerente del cambiamento. Questo non significa non accettare niente di se stessi: i cambiamenti ci caratterizzano e bisogna anche sapersi amare.
Se reiteriamo sempre gli stessi errori, evidentemente ci sta bene così.
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