Angelo Iannelli: “Il lieto fine non va più di moda?” | Intervista
Dimmi ancora che c’ho gli occhi belli, come a Hollywood,
Che poi domani è ieri e ieri è ieri
Ma oggi che giorno è?
Non mi resta più niente
Quando finisce una storia d’amore si casca dentro un limbo fatto di noia e malinconia, situazione che può dare vita a canzoni tipo “Come a Hollywood”, brano di Angelo Iannelli.
Quando si vive una relazione e si provano sentimenti veri, capita di perdere completamente la concezione del tempo, fino al momento in cui, tutto anche d’un tratto, può finire.
Se non si riesce più a trovare il giusto modo di comunicare, anche l’emozioni si svalutano, diventando qualcosa di stantio, fino a far sparire ogni magia.
Angelo Iannelli ci lascia con la malinconia di un sognatore che inizia ad aver paura del futuro, soprattutto perché crescendo è più facile dover fare i conti con la realtà, e le cose non vanno sempre come si vorrebbe.
INTERVISTANDO ANGELO IANNELLI
“Come a Hollywood” è un film a lieto fine?
Gli happy end a Hollywood sono un po’ passati di moda negli ultimi anni, per cui…
La percezione del tempo dipende da umore e sentimenti?
Credo di sì, c’è un tempo interno ed interiore che spesso si scontra con quello esterno ed esteriore.
La bellezza è un’accezione personale?
Se pensiamo all’arte, la bellezza è tutto: è ordine, caos, poesia, razionalità, genio, schiettezza, istinto. “Dimmi ancora che c’ho gli occhi belli” è stato il mio personale modo di riassumere e semplificare tutto questo.
I social hanno reso il mondo un po’ più finto?
Mi sembra proprio di sì, ma è un bene che esistano, soprattutto per le persone che sono sole o che interiormente si sentono tali. Chi ne fa un utilizzo finto è perché, probabilmente, finge anche nella vita reale, quindi non vedo neanche una componente “creativa” in questa finzione. Se ci fosse questa creatività nell’interpretare una sorta di personaggio di fantasia, stare sui social sarebbe emozionante come andare al cinema o a teatro, ma purtroppo non è così. Per quanto mi riguarda, utilizzo i social quasi esclusivamente per aggiornare chi mi segue sulle mie attività artistiche.
Quanto sono importanti le parole mentre scrivi una canzone?
Le parole sono tutto. Quando scrivo un testo cerco sempre di far viaggiare le parole su due piani narrativi paralleli: uno semplice ed immediato, l’altro ermetico e filosofico. Non mi interessa molto la musicalità, ma certamente sarebbe gradita se si verificasse per caso: penso alla frase “Che poi domani è ieri/mentre ieri è ieri”, che sicuramente suona bene, per carità, ma che, soprattutto, pone una riflessione sulla fugacità del tempo che scorre via velocissimo, così tanto veloce da farci apparire in ritardo non soltanto il passato ma, addirittura, anche il futuro, come se questo fosse già trascorso (dimmelo ora che i miei occhi sono belli, proprio ora, perché è talmente tardi che anche il domani è andato, mentre il passato resta passato e sepolto). Tutto ciò ci sentire sempre inopportuni, inadeguati, pieni di rimorsi e di rimpianti anche su un futuro che non conosciamo e che dovrà ancora apparirci davanti. Ci fa sentire sempre fuori tempo massimo.
Da dove nasce il casino dentro ognuno di noi?
Non so se è una fortuna, ho molti dubbi in merito, ma io mi nutro del mio casino e della mia sofferenza: è un modo per sentirmi vivo e non abbandonato alla sola possibilità di una degradante aridità interiore. Forse penso questo soltanto perché scrivo: se non mi occupassi di arte, probabilmente, preferirei abbandonarmi alla tranquillità emotiva di una sonnolenta atarassia.
Hai mai nascosto ricordi dentro gli oggetti?
Tante volte, ma più spesso ho nascosto oggetti e persone nei ricordi. Ho nascosto innanzitutto me stesso.
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