Il sogno americano dei Coma_Cose | Indie Talks
Da commessi ad artisti internazionali, apprezzati non solo più dal piccolo pubblico alternativo che affollava locali di provincia, ma anche da chi guarda Sanremo o ascolta la radio.
Ecco quella dei Coma_Cose potremmo definirla come una storia da film o ancora meglio un american dream dato che il duo si è esibito nelle ultime due date a Mi Ami e Los Angeles.
Il made in Italy che sfonda all’estero ed ecco che il duo milanese può mettere nel curriculum anche questa esperienza: “Abbiamo lavorato tanto per questo, con l’obiettivo di poter esportare la nostra musica con sempre più continuità, incrociando un’ estetica e un sound che potessero essere facilmente compresi e apprezzati in tutto il mondo.”
COMA_COSE X INDIE TALKS
Il 12 ottobre 1942 Cristoforo Colombo è arrivato nel nuovo mondo, adesso ci siete andati voi a suonare. Che esperienza è stata?
Molto stimolante, sia a Miami che a L.A. abbiamo usato tutto il tempo libero per visitare zone molto “local” così da avere una fotografia realistica di com’è oggi vivere in USA.
Da inverno ticinese fino a Agosto morsica, dal Mi Ami a Miami: com’è cambiata la vostra stagione?
Fin dall’inizio abbiamo sempre preso la musica come uno sfogo, ma anche come la possibilità di viaggiare, è anche un aspetto fondamentale del nostro equilibrio di coppia. Oggi inevitabilmente un po’ la pressione si sente, trovare quel giusto balance tra necessità impulsiva e “mestiere” non è per niente facile, ma ci supportiamo a vicenda e questo conta già molto.
Il pubblico americano ha l’anima lattina?
Hehe, a noi è parso di sì, gli show sono andati bene, complici anche le location si è creata sempre una bella situazione di risposta.
Come si fa a proteggere l’amore se c’è un oceano in mezzo?
Bisogna fare provviste di viveri e stare attenti agli squali…ma dato che “in fondo siamo pescecani” (autocit.) dobbiamo stare attenti maggiormente a noi stessi, i nostri più voraci predatori.
Avete mai cercato di disegnare una mappa geografica dei vostri sentimenti?
No, però nelle note del telefono ci sono moltissimi sentimenti inespressi in attesa della giusta musica.
Quanto siamo dipendenti dalla tecnologia?
Beh lo siamo tutti, noi guardiamo con ammirazione alla creatività delle nuove generazioni, i cosiddetti “nativi digitali”. Loro hanno in mano grandissime opportunità mentre noi, probabilmente per l’età che abbiamo, viviamo la tecnologia spesso come un limite, come qualcosa di noioso, il che è paradossale visto che stiamo andando verso un mondo dalle infinite possibilità, forse servirebbe una “modernità 3.0″…più sostenibile, più libera, più empatica.
Un vostro brano parla di fare la spesa al supermercato: avete provato l’esperienza di entrare in un grande magazzino statunitense?
Grande Magazzino no…però abbiamo fatto spesso la spesa nei piccoli market di quartiere, di notte sulla Hollywood Boulevard si incontrano persone davvero interessanti.
L’indie made in Italy può funzionare ovunque?
Se parliamo di America forse sì, loro sono i capi dell’entertainment ma la capacità di curare i dettagli che abbiamo noi Italiani è merce rara, la musica sta cambiando velocemente e forse si stanno abbattendo un po’ di preconcetti monolitici. Noi negli ultimi mesi abbiamo suonato a Londra e Parigi, in passato a Budapest, ora a Miami e Los Angeles…la nostra sensazione è che ovunque c’è un pubblico potenziale che apprezzerebbe molto…servono più tour fuori dall’Italia, un plauso a quelle realtà che già stanno lavorando su questo fronte.
Ci regalate uno dei vostri giochi di parole per descrivere l’America?
Se lo avessimo volentieri… anzi no: ce lo terremmo per il prossimo pezzo che stiamo scrivendo 😉
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