Best Indie Italia Album 2023: I Migliori Dischi Dell’Anno
Felicità, disperazione, speranza, disillusione, rabbia, equilibrio: immergersi nelle acque alimentate dal flusso creativo del movimento Indie Italiano, rappresenta un’avventura che va intrapresa con la giusta dose di coraggio ma anche con una sana attitudine al rischio e al pericolo. Analizzare e riascoltare i dischi di questo anno che volge al termine ci ha messo davanti a tutti i momenti più importanti di questi ultimi 12 mesi e ognuno di essi, porta con sè un suono, un verso, una melodia.
Il suono del 2023: una moltitudine di generi diversi e di visioni artistiche uniche che rendono tangibili gli highlights, le scene dell’emotività di ciascuno.
È giunto il momento di celebrare i migliori album Indie Italia del 2023
Buon anno e buona musica dalla redaz di Indie Italia Magazine!
PS: Questa non è una classifica!
Relax – Calcutta
“Relax” è il Cavallo di Troia della musica italiana del 2023. L’album che non sapevi sarebbe uscito, ma del quale avevi bisogno. Relax è tutto Calcutta, non solo perché lo ha interamente scritto e prodotto da solo, accompagnato da alcuni amici di sempre, tra cui Giorgio Poi e Andrea Suriani, ma perché mette insieme generi e intenzioni diverse. Ma è anche il Calcutta che ti aspetti e non ti aspetti, perché lo volevi più alternativo, ma poi ti chiedi: perché mai lo avresti voluto?
“Coro” è la prima traccia ed è già un primo step di un percorso sfaccettato, eppure continuativo. Un coro popolare che si tinge di Sanremo. Ma Relax non è la classica canzone calcuttiana, è un bel pop, finalmente scritto bene, è elettronica, non solo nell’”Intermezzo3″. È funk per “Controtempo”, è l’”Allegria” di un cantautorato un po’ jazz, ma che spinge tanto sulla produzione vocale e che si fonde con un po’di elettronica e sintetizzatori. Per chi vuole qualcosa di più cantato, ballato, allora il singolo “2minuti”, che presenta l’album è il suo. E tra mini-dissing a Jovanotti, a letto con la prima donna di destra, forse quest’anno fa un po’ meno schifo, anche se “crolla [ancora] un po’”.
(Lorenzo Ottanelli)
Infinito + 1 – Fulminacci
Fulminacci torna con “Infinito +1”.
All’interno dell’artista ci sono sempre state due anime: una eccezionalmente sensibile e un’altra impareggiabilmente ironica.
Negli anni non ha mai smesso di stupire, le sue canzoni sono passate da ballad senza tempo a brani dissacranti che raccontano la società che ci circonda con uno stile unico: il suo.
Tutto questo trova in “Infinito +1” la sua massima espressione. “Tutto inutile”, “Ragù”, “Simile” e “Filippo Leroy”, i singoli che hanno anticipato l’uscita del disco, hanno mostrato la capacità di Fulminacci di giocare con i generi, offrendo però sempre un punto di vista coerente, in un approccio autentico al racconto della vita.
L’attenzione ai testi che riserva l’artista romano è scrupolosa e attenta, la scelta delle parole non è mai casuale. In questo squisitamente pop ha voluto alzare ancora di più l’asticella e si è divertito nello sperimentare anche a livello sonoro, accompagnato alla produzione da okgiorgio.
LANGUORE – IBISCO
LANGUORE ci mostra un IBISCO più maturo, capace di sintetizzare la sua forza espressiva, già presente nei lavori precedenti, con maggiore lucidità. Nasce così un album diretto e senza compromessi, immerso in una pasta sonora scura e anti-digitale, dove dimensione elettronica e acustica convivono esaltandosi per antitesi. La narrazione è il risultato parossistico di folgorazioni rivelatrici, momenti di depressione lucida, sincerità spasmodica e abbagliante.
Un arrangiamento analogico corposo che sorregge parole precise ed evocative. IBISCO modella la sua musica, in continua ricerca ed evoluzione, attorno a una sensazione, un sentimento, in modo che possa essere più forte e diretta possibile, scuotendo lo stato emotivo dell’ascoltare. Non vi è margine per compromessi o soluzioni volte a compiacere, LANGUORE è un disco 1:1, da persona a persona.
Il suo post cantautorato ibrido e meticcio nasce dalla necessità di essere quanto di più vero e identitario, per raccontate la condizione umana attraverso eccessi e contraddizioni, muovendosi tra chitarre post rock e incursioni elettroniche di matrice cold wave, senza perdere i riferimenti di un certo cantautorato italiano. Le strutture, spesso dilatate, sono portatrici di una sintesi comunicativa che, per reazione al dramma che la alimenta, vuole prendersi tutto il tempo di cui necessita.
La musica è finita – Motta
Rinascere per un cantautore rappresenta un punto fondamentale non soltanto per carriera, ma per la propria anima. Ed è questo il focus su cui Motta ha deciso di incentrare il suo nuovo album “La musica è finita”.
Un tipo di rinascita che il cantautore toscano abbraccia completamente, andando a scardinare le sicurezze di un tempo reinventandosi, con nuovi suoni, nuovi linguaggi e facendo anche affidamento su altri per raccontare pezzi della propria anima.
Partendo infatti da “Anime perse”, traccia d’apertura del disco, ci troviamo davanti al simbolo del cambiamento, dove i suoni classici di un piano e degli archi si uniscono a quelli dei synth. Proseguendo ci troviamo di fronte a brani in cui Motta trasforma la sua voce in quella degli altri, come “Titoli di coda” in cui Motta decide di ridicolizzare il mondo musicale, o almeno la sua parte più “burocratica”, chiamando in aiuto Willie Peyote e la sua voce tagliente. Poi ancora “Alice” con Giovanni Truppi, un brano altamente cantautorale sia nel testo che nelle musiche utilizzate, e “Maledetta voglia di felicità” con GINEVRA.
I featuring di questo nuovo album sono ben studiati, ma non da un punto di vista del marketing o chissà che cosa. Ogni voce inserita in questo disco è perfetta per raccontare l’urgenza di farsi sentire da parte del cantautore, riuscendo a dare anche un punto di vista diverso, fondamentale nella sua rinascita.
“La musica è finita” è quindi con un certo peso, che ci ricorda quanto straordinario sia Motta nel creare della musica e di quanto bisogno ci sia di avere artisti così pronti a mettere in discussione se stessi.
(Filippo Micalizzi)
Luce – Cous Cous A Colazione
Si intitola “Luce” ed è il nuovo EP di Cous Cous a Colazione, il progetto che unisce sapientemente il pop al jazz e R&B. Già dal titolo capiamo in che direzione stiamo andando, ci dirigiamo infatti verso la luce in fondo al tunnel, verso il bagliore che ci fa ancora camminare quando intorno a noi è tutto deserto. La “luce” inoltre viene narrata e descritta attraverso vari punti di vista: ora viene vissuta con un’accezione positiva, ora è sinonimo d’amore, ora è il caos e l’irrequietezza. Il tutto però reso, come sempre, con uno stile peculiare.
Lux Eterna Beach – Colapesce, Dimartino
Quando ascolti Colapesce e Dimartino capisci che non sei di fronte alla solita musica e che un po’ quel cantautorato ti manca, che qualcuno fortunatamente c’è ancora. Non c’è niente di banale in questo album che dentro ha tutto quello che (non) ti aspetti. E se qualcosa stride non riesci a fare a meno di sorridere e perdonare, perché sei sicuro che è voluto. C’è un po’ di Battiato, c’è un po’ di Battisti e di Dalla, ma anche di Tenco. Insomma, c’è molto cantautorato, nelle melodie, nel ritmo, nella scelta degli strumenti, ma anche nei cori e nelle controvoci di “Sesso e architettura”.
Sarà che sembra di essere riduttivo, ma ci vorrebbero pagine e ascolti continui per capire a fondo “Lux Eterna Beach”. Anche le tracce apparentemente più banali hanno il loro significato, come il vero cantautorato vuole. E se “Ragazzo di destra” e “Splash” ci divertono, “Forse domani” ha un sound più intenso e complesso, che si fa accompagnare dalla voce di Joan Thiele. All’interno dell’album anche “I marinai” di Ivan Graziani, impreziosito da un ritornello scritto proprio dal duo. In fondo, quello di Colapesce e Dimartino è un sound che alcuni definirebbero vecchio, ma in cui ritrovi tanto di quello che vorresti che molti altri facessero. “Lux Eterna Beach” è, in realtà, continua sperimentazione e musica e poesia. Musica poetica in un finale strumentale emozionante.
(Lorenzo Ottanelli)
Maledetta quella notte – Il mago del gelato
Afro beat e funk, jazz sensuale e percussioni, anni ’80 che entrano prepotenti dentro le nostre orecchie, ormai abbiamo imparato ad amare tutte queste sfumature, gusti se vogliamo, che compongono il Mago del Gelato.
Abbiamo bisogno di tutte le sei tracce di “Maledetta quella notte”, EP allo stesso tempo energico (“Zenzero”, “Saraceno”, “Stracciatella”) e introspettivo (“Maledetta quella notte”, “Elisir”, “Richiamami”) che ci porta all’interno di mondi fatti di zucchero e colori, montagne di panna con gli zuccherini ma anche gelato gusto menta e liquirizia.
Scambiamo i nostri flussi di coscienza con quelli della band, condividiamo esperienze e suoni, ci muoviamo a tempo di musica, sensuali, e, finalmente, ritroviamo il nostro io più profondo.
I botanici – I Botanici
Il sound preciso e pulito, con le chitarre come punto di riferimento, spazia dal post rock all’emo toccando addirittura il jazz e la forma più naturale di cantautorato.
11 tracce che abbiamo già imparato ad amare con i sei brani che hanno anticipato il disco, e abbiamo accolto come dei bambini a Natale i 5 singoli inediti che trattano di vita vissuta dei componenti della band all’interno della società odierna, sempre alla ricerca di un confronto con gli altri per definirci, senza capire che non è così che riusciremo a capire chi siamo.
Non crediamo neanche più a noi stessi, e ci chiediamo insieme alla band che senso ha partecipare a questa vita che spesso è solo un vortice di polvere (“Ciò che resta”). “Margherita” è un inno alla spensieratezza della gioventù, dove credevamo che le ingiustizie non esistessero, mentre ora ne siamo circondati. Ci sentiamo persi con “Distratto” e I Botanici ci cullano verso la fine del disco con una bella grandinata che spazza via tutto e ci permette di ricominciare (ad ascoltare il loro disco).
(Margherita Ciandrini)
Pezzi della sera – Marco Castello
‘Pezzi della Sera’ è un album che prende forma in un mondo notturno fatto di un crogiolo di sonorità tipiche del cantautorato italiano degli anni 60.70 e jazz .
‘Canzoni dolci e canzoni salate’: questa è la definizione data dal cantautore siciliano riguardo a ‘Pezzi della Sera’ . 10 brani dipinti dai tratti di una poetica quotidiana che descrive esperienze tangibili, emozioni e ricordi che si fondono con gli scenari suggestivi e unici evocati dalla musica di Marco Castello in cui la Sicilia, con i suoi profumi, con la sua natura vergine e aspra, e con i suoi colori, ne fa da protagonista.
L’album, registrato presso il Butterama Recording Center di Berlino , nello stesso studio del lavoro precedente nonostante il cambio di etichetta da Bubble Records di Erlend Øye all’etichetta indipendente Megghiu suli, vede la collaborazione di Lorenzo Pisoni al basso, Leonardo Barsalona alle tastiere e Stefano Ortisi al sax e tastiere. Oltre al canto, il cantautore siciliano ha registrato parti di chitarra, batteria e tromba, creando un lavoro sonoro coeso ma mai ripetitivo, che rivela dettagli e melodie sotterranee con ogni ascolto, testimoniando la cura nella produzione con il mixaggio di Marco Castello e il mastering di Giovanni Roma.
Atmosfere che spaziano dal jazz lounge al funk, ritmi di batteria serrati, influenze che abbracciano diversi generi, e brani dalla struttura spesso sorprendente e inusuale, come nel finale acustico di ‘Empireo Risolti’.
Con ‘Pezzi della Sera’, Marco Castello si conferma come una delle menti più originali della scena pop italiana, abile nel tessere sonorità che si sentono sia internazionali che fortemente legate alla Sicilia, attraverso uno stile sempre ironico, portando storie che oscillano tra racconti locali e mitologia a una dimensione carnale e tangibile, giocosa e romantica.
Palo – Brucherò nei pascoli
Un disco caustico, di quelli che scottano già al primo ascolto senza alcuna fase di pre-riscaldamento. La potenza sonora dei Brucherò nei Pascoli travolge l’ascoltatore. Come una vaso di pandora che viene privato del suo coperchio senza la concessione degli dei, le onde sonore di “Palo” fuoriescono con flussi inarrestabili e getti fluorescenti che illuminano la notte sporcando di sangue e lapilli tutto ciò che ci stia intorno.
Impossibile sfuggire alla carica di questo album, caratterizzato anche da liriche scomode e satiriche che bilanciano i toni diretti e schietti che predominano l’album.
Un disco rock su questo finire di 2023 che però risulta tra i migliori del genere di quest’anno.
Duale – De.Stradis
Duale è l’EP d’esordio di De.Stradis.
I brani nascono dall’esigenza di sviscerare un concetto, analizzarlo razionalmente per poi esorcizzarlo impulsivamente. È una musica ricca di elementi, di citazioni musicali e di linguaggio, di pause improvvise e cambi dinamici. Groove coinvolgenti e atmosfere oniriche guidano una scrittura ironica e nostalgica al contempo. La razionalità che si alterna all’istinto, la nostalgia del passato che cede alla preoccupazione per il futuro, il dolore fine a sé stesso che si trasforma in maestro di vita, confluiscono nel titolo “Duale”.
De.Stradis è il progetto solista di Vincenzo Destradis, cantante, autore e produttore bolognese di origini pugliesi, nato come frontman dei Mangroovia e attualmente frontman dei Westfalia (X Factor 2021). È anche il suo primo progetto in lingua italiana, in cui la matrice black R&B, jazz, hip hop rimane fulcro centrale, dando ancora più spazio alla ricerca sonora vocale. Anche la scelta del nome ha un forte legame con la sperimentazione vocale, De.Stradis è abbreviazione di Demetrio Stradis, crasi tra il suo cognome e quello di Demetrio Stratos degli Area, suo punto di riferimento fin dall’adolescenza.
SITCOM TRISTE – SAMI RIVER
SITCOM TRISTE è il debut album di SAMI RIVER, in uscita venerdì 20 ottobre in licenza Believe Digital. Nelle 12 tracce sono presenti i singoli precedenti e nuovi inediti, a formare un disco che rappresenta SAMI RIVER in tutte le sue parti e contraddizioni, dal suo Alt Pop che si sporca di punk rock, alla scrittura che nasconde sotto i ritornelli pop un’introspezione mai banale.
SITCOM TRISTE è un percorso di composizione durato un anno, diventando la sintesi dei dialoghi che l’artista ha con il suo psicoterapeuta. È un viaggio all’interno di un mondo personale, con la consapevolezza di andare incontro a paure e contrasti, dentro ci sono piccoli momenti quotidiani sussurrati e grida collettive, speranze e ricordi, una stanza dove si demolisce e si ricostruisce in un loop di soddisfazioni e delusioni. Sono 12 brani, uno per mese, come episodi di una serie tv.
Infinite possibilità per esseri finiti – Giovanni Truppi
Ogni volta che c’è da recensire Truppi è il caso di sedersi, allacciare la cintura e ascoltare cento volte prima di formulare qualsiasi frase.
Questo perché il caro Giovanni è una stella di neutroni super densa, nata dal collasso gravitazionale di un sacco di robe, più di quante potrei elencarne. Elementi acustici e sintetici, soundscape, Roma, Bologna, follia, serietà, malinconia, autoironia, Niccolò Contessa, cose piccole e grandi, personali e universali.
Queste diciotto tracce, ci ha rivelato Giovanni, compongono un’equazione la cui soluzione è la parola “vita”.
Dentro – Gazzelle
Già il titolo è un invito ad entrare, una porta che si apre, non c’è nemmeno bisogno di bussare. Una voragine in cui cadere per potersi però rialzare. Sul fondo sembra esserci una scala, appoggiata alla parete per risalire. I vestiti sgualciti, i “dolori giganti”, le cose che potevi fare di più, ma che alla fine sono stato quasi meglio io. Rivedere il passato, anche quella brutta primavera, con la certezza che però io ci sarò sempre.
Entrare “Dentro” è vedere i momenti migliori e i momenti peggiori, l’amore e il dolore. Tra una Roma che guardiamo dal Lungotevere con i suoi occhi, percepiamo, sentiamo la sua voglia di raccontarci cosa non c’è più e cosa c’è ancora, cosa c’è adesso. Non vogliamo, però, essere come Michelino, che piange sempre ed è triste “e dopo un po’ sparisce”. Oggi, che ci siamo calati dentro, in questo “Dentro”, più di quanto non avevamo fatto finora, abbiamo la conferma che questo è uno degli album più belli del 2023 e una delle più belle produzioni di Gazzelle.
La Tigre Assenza – Maria Antonietta
Maria Antonietta è pronta a conquistarci ad uno ad uno, anzi lo ha già fatto, dobbiamo solo abituarci a questa seducente idea. Un gioiello artistico che ci ammalia, sbattendoci in faccia verità crude e gioie malinconiche con eleganza e soavità. Ecco, Maria Antonietta, ancora una volta, con questo nuovo album ci dimostra la sua unicità e la sua autenticità: una rockstar vera che non ha bisogno alzare i volumi per mettere in atto la sua rivoluzione e per cantarne gli inni che la caratterizzano al mondo. Ci canta la realtà vista dai suoi occhi, raccontandola con storie e riferimenti visivi in cui immedesimarsi e immaginare.
“La Tigre Assenza” è un disco sinuoso che sorprende l’ascoltatore con improvvisi angoli acuti, che sanno di alert, messi lì appositamente per scuoterci. Una raccolta di brani felini che accarezzano e graffiano l’ascoltatore.
Siamo umani e abbiamo tutto il diritto di essere fragili: sarebbe questa la frase più adatta per me per riassumere il messaggio principali di questo album.
LA VITA È QUELLA COSA CHE SUCCEDE MENTRE – Ugo Crepa
Un progetto completo, che mostra la maturità artistica e personale di Ugo Crepa. Al suo interno troviamo le collaborazioni con GEMELLO sulle note di Circumvesuviana e DUTCH NAZARI in È stato bello; Empoli Samp è il brano che ha anticipato l’ep, una metafora per rappresentare contemporaneamente lo stallo di una partita di calcio priva di colpi di scena e il momento di incomprensione di una coppia di amanti; l’intro e title-track è La vita è quella cosa che succede mentre e l’outro è Dedico un ciao. I brani sono stati prodotti da Squarta, Foolviho, Alessandro Rase, Il Grosso e Gabbo.
Come suggerisce il titolo, Ugo Crepa pone l’attenzione sul processo di cambiamento che ci coinvolge durante tutti i momenti della nostra vita e su come questo sia ancora più importante del risultato finale. La vita è una continua trasformazione, un percorso prezioso, un insieme di esperienze che fanno da motore per la crescita dell’individuo.
“Le cinque tracce sono indipendenti tra loro, l’EP vuole infatti essere una raccolta di momenti, felici e non. Questa scelta è dovuta dal fatto che, all’interno delle canzoni, ho voluto comunicare la stessa imprevedibilità che caratterizza la vita. In particolare, Circumvesuviana è un ricordo d’infanzia, una descrizione di quanto sia stato frenetico il processo di cambiamento e di quanto poco ci siamo domandati se ciò che stava accadendo fosse la cosa giusta per noi. Un insieme di attimi del mio passato di cui il comune denominatore è il viaggio, interpretato, appunto, grazie all’immagine della Circumvesuviana. Abbiamo scelto Gemello come featuring perché come ‘fotografo d’istanti’ a nostro avviso è tra i migliori d’Italia” – UGO CREPA.
Romanzo Porno – Boetti
Boetti racconta l’umanità nella sua imperfezione nel suo secondo album, “Romanzo porno”. Il progetto, partendo dal vissuto personale dell’artista, silenzioso spettatore delle storie delle persone che lo circondano, mette in musica le colpe e le conseguenti emozioni che queste suscitano in modo trasparente e fragile.
Esplorando le contraddizioni di questa vita, “Romanzo porno” è osceno in quanto “ob-scaena”, cioè tematicamente fuori dalla scena, e mostra come gli opposti si possano compenetrare, partendo dallo stesso titolo dell’album: “Romanzo”, inglese romance, legato a ciò che è puro e romantico, e “Porno”, un termine che richiama invece il volgare e il licenzioso. Entrambi, coi loro significati, non si escludono a vicenda, ma convivono nell’immaginario di questo viaggio come due estremi legati tra loro.
Attraverso suoni sperimentali e dinamici, opposti ad uno stile prettamente pop e cantautorale, i sensi di colpa dell’artista sono messi sotto i riflettori, non più nascosti dietro artifici retorici o
immagini ermetiche, ma mostrati in testi impattanti, diretti e crudi come la vita stessa. Mettendo sul tavolo le emozioni e le sensazioni legate alla vita privata senza inquinamenti e censure del
messaggio, la vera essenza delle cose è svestita e disarmata come lo è stato il percorso estetico del progetto. Le foto scattate da Ornella Mercier, che fanno da copertine all’album e ai singoli
anticipatori “Colpa tua” e “Ragazzo mio”, nascono infatti per non essere conformi a canoni o cliché: vogliono dare un senso di voyeurismo, di intromissione in una scena privata, e contemporaneamente sortire repulsione dalla visione stessa.
Il filo conduttore dell’album sono le diverse sfaccettature dei sensi di colpa di Damiano. Ogni testo rappresenta un dramma privato legato ad una determinata tematica sociale, come è spiegato all’interno del . Boetti esprime la sua interiorità in modo tragico e condiviso da tutti, mettendo in versi lo stato più crudo della realtà, affrontando tematiche universali con un occhio semplice e attento alle singole fragilità dell’animo umano.
After Verecondia – Marta Tenaglia
C’è una Marta precedente, che ha pubblicato il suo album di esordio solamente pochi mesi fa, e una nuova, la cui essenza si manifesta in queste canzoni di graffiante purezza.
Marta, in realtà, è sempre la stessa, semplicemente ora è più libera. Si è guardata a fondo senza concedersi scorciatoie, strappando via gli strati superflui.
Ha scavato lungamente – un processo a tratti duro – e ha trovato questi dieci diamanti. Non li ha rimodellati per renderli meno spigolosi, non li ha lucidati perché fossero più accattivanti. La sua arte è quella di mostrarli per come sono: la sua ricerca è la purezza. Quella che non ha vergogna, quella che, come dicevamo, è prerogativa di una nuova nascita narrata dai brani del suo nuovo album dal titolo “After Verecondia”.
Il Segreto – Venerus
Che cos’è l’amore e come funziona?
Probabilmente è questo il segreto che Venerus si ricerca in questo disco, ma lo fa con naturalezza, senza l’ossessione di arrivare per forza ad una soluzione, analizzando tutto ciò che vede con curiosità e fascino. L’uomo non ha paura dei propri sentimenti, anzi ha voglia di sentirli direttamente sulla pelle e i suoni hanno un sapore di verità oltre che analogico. Si ha la sensazione di venire trasportati in un isola sicura, un luogo magico al di fuori del mondo caotico che ci circonda, porto sicuro dove parlare con la propria anima in maniera sincera.
Ogni traccia arriva direttamente al cuore, emoziona, e allo stesso tempo fa riflettere sulle mille combinazioni che la vita ci mette davanti. Passato, presente e futuro si mescolano in un tempo indefinito fatto di sostanza e sentimento. Ogni nostra scelta, anche la più piccola, può modificare le nostre prospettive e se ci riflettiamo un secondo, quando siamo innamorati, o pensiamo di esserlo, siamo nel momento massimo di vulnerabilità, nel quale tutto può succedere, specialmente se abbiamo il coraggio di perderci nell’attesa.
Non esistono istruzioni per capire gli altri dato che ognuno di noi è fatto a modo suo, con tutti i suoi difetti, e forse non impareremo mai a comportarci davvero e a capire cosa pretende il nostro cuore, ma la verità è che dobbiamo avere meno paura di tutto ciò che può essere, smettendo di mascherare con l’insicurezza ogni cosa che proviamo e non riusciamo a tenere sotto controllo.
Gli anni di Cristo – Album
33 anni sono un’età importante, sia per chi è credente sia per chi non lo è. Sembra quasi che questo leggendario numero si circondi di una strana sacralità per cui ci si aspetta di essere saggi e maturi. Mobrici, negli anni di Cristo ha scritto il suo nuovo disco, maturo sì, ma ben lontano dallo smettere di cercare le risposte alle domande esistenziali, come l’amore, il futuro, il passato e la vita stessa.
“Gli anni di Cristo” è un disco che unisce perfettamente il cantautorato più classico alla musica più moderna, dando vita ad una serie di canzoni generazionali in cui la voce disperatamente romantica di Matteo Mobrici ne è l’assoluta protagonista. Ogni brano si trascina dietro quel barlume di speranza nel futuro, che se anche le previsioni ci remano contro, non si smette di credere che tutto andrà per il meglio. Questi sono i 33 anni di Mobrici, pieni di domande le cui risposte ce le potrà dare solo il tempo. Ma adesso noi non ci pensiamo, “beviamoci e balliamo”.
Certo che sto bene – Bianco
l cantautore torinese firma il suo sesto album in studio e torna due anni dopo l’ultimo lavoro, a 12 anni di distanza da quel “Nostalgina” che fin dal suo esordio lo ha consacrato tra le migliori penne della musica indipendente. Nel mezzo, le collaborazioni con Giorgia, Max Gazzè, Levante (ha prodotto i suoi primi due dischi), l’attuale sodalizio con Niccolò Fabi (suona il basso con lui).
Registrato in una settimana a Formentera, in presa diretta, dell’isola spagnola il disco ha catturato il sole e il profumo del mare, respirato i sorrisi riuniti in una tavola di amici.
Prodotto da Taketo Gohara, partecipano al progetto Dente e Margherita Vicario, che canta Il tempo del mare, scritta a sei mani con Alberto Bianco; mentre Federico Dragogna è la voce che non ti aspetti in Fuochi d’Artificio, di cui firma il testo.
“Certo che sto bene” è forse il disco più autobiografico di Alberto Bianco e allo stesso tempo il più universale. È l’album dove lo riconosci e senti la differenza. È il disco di un uomo e di un artista adulto.
10 tracce, ognuna dal ritmo e dal cuore diverso, che si incastrano perfettamente l’una nell’altra e sussurrano con sempre maggiore convinzione che si può stare bene. Una dichiarazione coraggiosa, di questi tempi, che nasce dalla consapevolezza di dover accettare anche i cieli neri e le tempeste interiori. Perché quel “certo” che anticipa il titolo sottintende un’oscurità che non può essere negata. Uno stare bene che – come l’artista chiarisce fin da subito nella prima traccia che dà il titolo al disco – arriva dal fare quello che piace, nel non rinunciare ad essere sé stessi, nel sapersi fermare e dare il giusto tempo alle cose, come prendersi una settimana per registrare un disco a Formentera.
Elvis – Baustelle
Band come lo sono i Baustelle ne nascono una ogni mille anni. Dopo 5 anni di silenzio e progetti paralleli decidono di tornare nel modo più sincero possibile con un disco tipicamente Baustelliano, caratterizzato da quel glam rock a cui siamo abituati da sempre, ma allo stesso tempo portando innovazione nelle loro sonorità, con ballate romantiche, blues e boogie.
Nonostante l’altissima qualità, parlare dal punto di vista tecnico sciorinando una lista di influenze e suoni in questo caso è inutile, perché “Elvis” è un disco che predilige il sentimento. Lo possiamo trovare nella sua versione più pura, ma anche sguazzando in quel romantico marciume pienamente nel loro stile.
La visione cinica del mondo, che ritroviamo nei testi, si avvolge di una malinconia che guarda al passato ma che resta tremendamente attuale, simbolo di una società che resta ferma e unisce più generazioni nello stesso disagio.
I Baustelle sono tornati, e ancora una volta si fanno carico dei sentimenti di chi la musica l’ascolta per sentirsi a casa.
(Filippo Micalizzi)
Cigni – Angelo Sicurella
Cantautorato ed elettronica, amore e razionalità sono i binomi che compongono “Cigni”, il nuovo album di Angelo Sicurella: un disco che mette in opposizione la leggerezza del volo con la durezza e l’impermeabilità del cemento. In bilico tra la morte e la resurrezione, “Cigni” contempla la fine del mondo, scongiurandola. Ed è proprio tra le macerie di mille catastrofi che Angelo Sicurella cerca di far emergere, alla fine di tutto, l’amore.
(Ilaria Rapa)
Globo – Ele A
Questo Globo è la sfera di Ele A e delle sue conoscenze, dei suoi incontri, della sua realtà. Ed è la realtà che circonda un po’ tutta una generazione, piena di grandi sogni che spesso si trasformano in niente, dove il grande idolo è il denaro, che scorre dalle tasche bucate di jeans strappati e che scompare nelle slot machine. È una sfera che si riduce e si amplia, che spesso gli amici li perdi proprio a causa dei soldi. Tutti vogliono parlarne perché il gossip sembra rendere la vita piena, ma alla fine lascia solo vuoti.
Ele A non ha mezzi termini e sperimenta, cita, utilizza sound particolari, che fanno di lei una particolarità nel panorama. Accosta Jesus a Pingu, mette insieme sacro e profano, ci accenna a Bojack. Il suo immaginario è chiaro: parla di un passato, di memorie, del presente che rimane avvinghiato al Natel, a Nokia, alla cabina telefonica. Lo fa accostando i suoni jungle e drum&bass che arrivano diretti dagli anni Novanta, mixati con una linea jazz di sottofondo, che permette di vedere un continuum lungo tutto l’Ep.
È il Globo di Ele A, il suo mondo, la sua sfera sociale, a cui ci accostiamo, entriamo, ne usciamo, per accorgerci che al di fuori, forse, la nostra esperienza non è così distante.
(Lorenzo Ottanelli)
Musica dal morto – Vipra
Uomini e Topi non sono così diversi, in fondo. Strisciano, cercano di mangiare tutto ciò che gli capita sottomano, mordicchiano e si prostrano al più forte. Si deve essere così, oggi, un po’ come ieri, per diventare qualcuno nello show business e nella discografia. Non c’è modo migliore di parlare di questo momento che dedicando canzoni a chi non c’è più, tra cantautori e musicisti, tra autori e leggende.
“Musica dal morto” danza tra generi e questa volta si fa più rock rispetto a “Simpatico, solare, in cerca di amicizie”. Non cerca appoggi, featuring, presenze rilevanti. È la voglia di raccontare le cose come stanno, senza mezzi termini e lo fa con gli amici di sempre. Vipra è un autore che non ha niente da invidiare ad altri, i suoi testi non sono mai banali, mai retorici. Ti arrivano dentro, li apprezzi, a volte per qualche accostamento sorridi, perché sai che è così. Non so se l’intento di creare dibattito servirà, ma è sicuramente un passo avanti, al centro di una scena che, spesso, parla sempre delle solite cose. E poi un concept album che fosse veramente un concept album non si vedeva da tanto. Non così, almeno.
(Lorenzo Ottanelli)
Crush – Giuse The Lizia
Giuse The Lizia ci canta la sua vita all’interno di “Crush”, album dalle sonorità prettamente indie pop con qualche sperimentazione più strong (“Edwige Fenech”) e un filo conduttore che è forse questo ossimoro di superficialità profonda che porta la Generazione Z ad essere sempre ad un passo da un baratro.
Sentirsi parte di un tutto, questo vuole raccontarci Giuse e mentre ci perdiamo tra i rimpianti di “One more time” ed il senso di impotenza e di ansia di “Riprova domani”, diamo ragione all’artista che canta proprio per noi che non ci siamo mai sentiti all’altezza dei nostri genitori e che forse non siamo bravi ad affrontare il mondo come loro.
Altea e Fulminacci arricchiscono il disco con il loro contributo e, mentre promettiamo cose che spesso non riusciamo a mantenere e ci lasciamo abbattere da “Cara vita”, arriviamo a “Eravamo ragazzini” che ci riporta con malinconia al passato e capiamo finalmente di non essere i soli a sentire come se ci mancasse un pezzo.
(Margherita Ciandrini)
Dente – Hotel Souvenir
Ci sono ricordi che non possono andare, che dobbiamo coltivare, cullare, con canzoni suonate. È un albergo a cui affidare i pensieri, per tenerli stretti e dialogarci. Rivedere quello che si era dieci anni fa e guardarsi da lontano, quando “non volevo decidere, io volevo solo vivere e tu volevi stare lontano dai guai”. Si cresce, sempre, non si smette di cambiare, e quando finisce un amore si deve essere capaci di cambiare idea. È un ritmo latino a farci viaggiare in quella malattia che è la paura di stare bene. Con un basso e un ritmo pop si danza nella discoteca della solitudine, nel monito di non “mi innamoro più, ti giuro, non lo faccio più”. Ma poi perché non voler diventare presidente, anche solo per poter dare la libertà a tutti di fare quello che gli pare, anche di annegare e “imbucherò la pace anche per chi tace”.
Ma è un disco anche di collaborazioni. Con i Post Nebbia, Dente decide di raccontare “La vita fino a qui”, in un amplesso di archi che è una ballad malinconica, a cui si contrappone l’intenzione di guardare il mondo con gli occhi di un bambino, il grande feat con VV, Colapesce, Dimartino, Fulminacci, Ditonellapiaga e Giorgio Poi. “Hotel Souvenir” è quel grande dialogo tra presente e passato, tra malinconia e maturità, tra incertezza e volontà.
(Lorenzo Ottanelli)
Mostro – gIANMARIA
Una sequenza di canzoni introspettive, in cui il racconto degli altri, che finora aveva trovato ampio spazio in gIANMARIA, si sposta in secondo piano. L’album era già stato anticipato da La città che odi, con la quale ha vinto Sanremo giovani. Il seguito è un percorso nell’inadeguatezza, nell’incapacità di trovarsi a proprio agio con l’alterità, fino a sostenere di essere lui stesso il suo migliore amico, di avere il timore di trascinare in basso tutti quelli che gli si avvicinano.
Fino al Testamento, l’ultima traccia, che scrive quando è freddo, una sensazione che si fa più acuta se ci sentiamo soli, lasciati a noi stessi. È proprio qui che ritornano i nomi delle persone più care, la difficoltà dell’abbandono, nonostante fuori sia tutto più leggero. Mostro è un termine ambivalente: sentirsi un mostro, perché sotto i riflettori, incapace di stare con gli altri. Ma è anche l’atto del mostrarsi, mettersi a nudo, per quello che si è. Un dialogo interiore, un pianto sulle spalle del migliore amico, che sono le proprie, quelle della provincia.
Non sono solo i temi a funzionare, è anche una musica ritmata, scandita da importanti bassi, che fanno da contraltare all’urlo della voce, al corsivo del canto, ad alcune melodie pop, che prendono dal rock e dal punk. Un ritmo che rallenta nell’ultima traccia e che ci mostra il lato più emotivo e malinconico di un artista pronto a mangiarsi il palco più importante della musica italiana.
(Lorenzo Ottanelli)
Tutto male – Giancane
Giancane arriva nel momento in cui più ne avevamo bisogno. Anche stavolta il cantautore entra a tutta potenza nei problemi della gente, mantenendo lo stile unico che lo ha contraddistinto e che poi ha fatto scuola a chi ha deciso di far musica dopo il suo avvento.
“Tutto male” è irriverente, incazzato come non mai e soprattutto mantiene la caratteristica principale di ogni lavoro di Giancane, vale a dire la straordinaria capacità di demitizzare la nostra società in tutte le sue sfaccettature. Ogni brano sembra un mondo a sé, una lista di cose che ad una ad una vengono prese e distrutte della loro potenza per renderle fragili.
La forza dei temi trattati riesce ad esplodere insieme agli arrangiamenti, che in questo disco passano dal dolce suono di un piano, al pop punk, fino ad arrivare alla dance elettronica. Giancane ci parla d’amore, di depressione, di lutto e di stupidi luoghi comuni per arrivare alla conclusione che da ogni punto di vista va “Tutto male”.
(Filippo Micalizzi)
Migliore di me – Dile
Un viaggio, intimo e universale, un saliscendi di emozioni tra brani editi e inediti, che ci traghetta direttamente nell’anima di Dile. Dodici brani, di cui ognuno ci svela un pezzetto di più del trascorso del cantautore, ma allo stesso tempo ci racconta storie universali in cui ognuno si può immedesimare.
Temi profondi, come amore, rimpianti, ricordi, una penna delicata e dolce su sonorità che variano da pezzo a pezzo, fresche e ritmate, ma allo stesso tempo emozionanti. Un album in grado di essere allo stesso tempo un pugno nello stomaco e una carezza sulla guancia, una mano a cui aggrapparsi nel momento del bisogno, o da ascoltare la notte, prima di dormire.
(Sara Pederzoli)
Bougainvillea – Tatum Rush
Il nuovo album di Tatum Rush riflette perfettamente la personalità eclettica e colorata dell’artista: abbiamo sound pop, dance, e trap mescolati alla bossa nova ed il cantautorato. Situazioni e momenti raccontati con leggerezza ed ironia, che ci suscitano quegli stati d’animo che ci fanno piangere e ridere contemporaneamente: un po’ come quando piove ma c’è il sole, e alla fine esce sempre l’arcobaleno. La collaborazione con Popa in “Pelle di Luna” ci porta a specchiarci su un lago illuminato da una luna particolare e la “Malegria” descritta da Tatutm Rush è proprio come la Bouganville, spontanea e profumata, che ci ricorda la primavera. Il francese entra a gamba tesa in “Rodolfo”, grazie alla voce suadente di Lulu che ci porta dietro le quinte di un teatro a Portofino in cui può succedere di tutto: anche scontrarsi con un sosia di Rodolfo Valentino. “Cuore violento” con la collaborazione di Golden Years scommettiamo con l’anno che verrà e guardiamo lentamente un tramonto morire, arriva il buio e ci trasformiamo in creature notturne e ci prepariamo a raggiungere i nostri mille traguardi.
(Margherita Ciandrini)
La strada più breve per tornare a casa – Santachiara
La strada più breve per tornare a casa, nuovo album del cantautore classe ’98 Santachiara, anticipato dai tre singoli “le cose che non dici mai”, “colpa dei no” e “nina”, è uno di quei dischi che probabilmente piacciono a tutti. I brani, nessuno escluso, propongono un indie genuino, fatto di strumentali che ti invitano a picchiettare col piede sul pavimento e testi di quelli che ti fanno venire voglia d’essere cantati mentre sei in macchina e stai andando al mare.
Il “flusso” di Santachiara, nel passaggio tra un brano e quello seguente, non sembra mai casuale, forzato o fuoriluogo, è un viaggio, lo stesso che, passando per la strada più breve, ti riporta a casa.
(BennyBoy)
Pericolo Giallo – Giorgio Canali & Rossofuoco
“Pericolo Giallo” è il titolo del nuovo album di Giorgio Canali & Rossofuoco.
Caustico e dissacrante, “Pericolo Giallo” è il decimo LP della discografia ufficiale di Canali, il nono insieme ai Rossofuoco, e prosegue il percorso tracciato dal precedente “Venti” (2020).
Un racconto spietato degli ultimi anni che, attraverso una scrittura schietta e spregiudicata, arriva a compiere una riflessione critica sul ruolo dell’essere umano all’interno di un occidente profondamente segnato dagli eventi recenti, dalla guerra in Ucraina alla crisi economica.
Con oltre 30 anni di attività che l’hanno visto attraversare da protagonista la musica alternativa italiana, prima nei CCCP, CSI e PGR, e poi come produttore degli esordi discografici di numerosi artisti tra cui Verdena e Le luci della centrale elettrica, in questo nuovo album Canali mette a nudo tutte le contraddizioni della società contemporanea e tutti i pensieri di un animo in continuo fermento, incapace di rassegnarsi davanti alle ingiustizie e agli abusi di potere.
Centrale nel disco è l’immagine del sole che riporta metaforicamente ogni essere umano sullo stesso piano, illuminando tutti in ugual misura, e attorno a cui ruotano i ricordi e le storie delle dodici tracce dell’album in cui momenti dissacranti si alternano ad incursioni intimiste e riflessive.
Come per “Venti”, anche “Pericolo Giallo” è nato partendo dagli spunti melodici e dalle idee ritmiche che Canali e i membri dei Rossofuoco hanno composto a distanza nelle proprie abitazioni, figlio di una necessità espressiva in grado di superare ogni genere di ostacolo.
Anche solo per un saluto – Checco Curci
Checco Curci, professore universitario e cantautore introspettivo, ci presenta il suo album d’esordio “Anche solo per un saluto”, progetto che ci apre una strada sull’anima e la mente poliedrica di Checco, attraverso la sua poetica ed un mosaico di sound che riesce a coinvolgerci. La fragilità e la potenza del timbro vocale dell’artista ci conducono verso quello che sembra un viaggio intrapreso da Checco stesso e ritroviamo, soprattutto in “Wind day”, similitudini con Battiato sia nel testo che nella musicalità. “Non credo che sia andato tutto perso, né credo che stavamo tanto meglio, ma non riesco a non pensare al peggio” (“Prima”) tanti sono i temi toccati all’interno del disco e quello dell’identità è molto presente, insieme ad una visione a tratti quasi cinica della realtà in cui viviamo. Ma anche per Checco, dopo un disco prevalentemente cupo, ritorna la luce e con “È tutto vero” ci torna la speranza: siamo tutti all’altezza dei nostri sogni, non resta che continuare a crederci per realizzarli.
Futuro Splendido – Miglio
Viscerale. Tra i tanti aggettivi che possono identificare il progetto artistico di Miglio, questo è il più azzeccato. Sentimenti e vizi che lasciano i segni sulla pelle, emozioni che prendono le sembianze dei paesaggi, delle topografia dei luoghi in cui sono sono nate.
Il nuovo album di Miglio, “Futuro Splendido”, anticipato dai singoli “Techno Pastorale” e “Per non pensare + a te”, “Sexy solitudini”, è un coacervo minimalista e autentico dell’espressione artistica della cantautrice che si conferma tra le penne più originali della nuova scena musicale italiana.
Il titolo dell’album sembra essere una sfida al destino. Tutto questo dolore ci sarà utile? Forse. Ma è una rischio che va preso anche solo per sfiorare il futuro splendido che ci attende.
Tutto questo sarà tuo – Giovane Giovane
Giovane Giovane ci arriva dritto dentro l’anima con “Tutto questo sarà tuo”, parlandoci chiaramente di paure, sogni e vita vissuta, con un sottofondo musicale che spazia dal pop all’alternative pop, con massicce dosi di synth che ritroviamo soprattutto in “Rompe il tuo volto” brano scandito da note di pianoforte in lontananza ed immerso nel synth.
“Se restiamo come sempre, in attesa degli eventi, il futuro ci divorerà” (“Non dovrei”) il brano ci ricorda che, anche nei momenti di rabbia e sconforto più grandi dobbiamo essere capaci di respirare e andare avanti, senza buttare all’aria tutto quello che abbiamo costruito in quel momento, ma sicuramente non possiamo rimanere con le mani in mano, dobbiamo individuare un obiettivo e lanciarci alla sua conquista, con tutte le nostre forze. La ballad “Polvere” è una dichiarazione: le cose non vanno sempre come vogliamo (quasi mai in effetti), ma non sempre è una cosa negativa, ogni volta dobbiamo reinventarci, subito dopo averci messo la famosa “pietra sopra”. Notti vuote e deserte ci colpiscono in “Fantasmi” con Lil Kvneki e tutto finisce con il titolo dell’album. Giovane Giovane, prendici per mano e insegnaci la vita.
(Margherita Ciandrini)
wadiruM – Studio Murena
Studio Murena è la band alternative italiana più eclettica e folle dell’ultimo decennio. Dovrei aggiungere “secondo me”, ma non ho paura di essere smentito.
L’album precedente è stato un’esplosione Jazz, Punk, Rap, Dub. Sembrava difficile confermarsi su questi binari invece, con “Wadi Rum”, si alza ancora il livello raggiungendo più generi e più derive musicali.
Le atmosfere sono cupe e dirette. Il suono è preciso, rime taglienti ed il mood è completamente aggressivo, difficile. Tutto di pancia, sembra voler prendere a schiaffi l’ascoltatore costantemente. Si parla di droga, alcol, Italia, analisi e lo si fa senza mezza misure, sia di suoni sia di lyrics.
Ci sono code di brani elettronici, un pò di dub, un pò atmosfere sudamericane, cambi di ritmo impressionanti e suoni completamente travolgenti. Ogni secondo di ogni brano è spiazzante.
I Feat non snaturano il mood ma, anzi, si adattano alla perfezione al concetto degli Studio Murena, inserendosi in brani melodicamente difficili da esplorare, creando un contrasto interessante.
Laila Al Habash e Arya (Venerus e Ghemon) sono tra le voci femminili R&B più interessanti ed in “WadiruM” aiutano ad alleggerire alcune strutture musicali. Danno, Enrico Gabrielli e Ghemon sono perfettamente in linea con le loro rispettive tracce. Paolo Fresu impreziosisce brillantemente “Illusioni e astrattismi” col suo suono identificativo.
Album da ascoltare e riascoltare, coraggioso e impattante, probabilmente mancano singoli radiofonici ma è proprio questa la loro forza. Impossibile citare tutti i riferimenti musicali perché sarebbe fuorviante.
(Giuseppe Gualtieri)
La gente che sogna – Lucio Corsi
Attenzione: questa recensione potrebbe insinuare dubbi sulla vita, scatenare dilemmi metafisici anche gravi.
Lucio Corsi ci trascina in un viaggio a bordo di cuscini volanti per rispondere a una domanda: “E se a mentire fosse la realtà?” Se una cosa bellissima accade in sogno, al risveglio rimaniamo delusi perché non è successa “davvero”. Le nove tracce di questo album ci invitano a dare in pasto quella delusione alle piante carnivore della fantasia.
A considerare le nostre due vite, quella del sonno e quella della veglia, ugualmente importanti.
Due vite parallele che si scambiano emozioni, informazioni, oggetti, amori, paure. “Che esista un altro mondo io non ne dubito. Basta credere agli occhi quando si chiudono”. Forse non siamo fatti per vivere, ma per sognare.
(Vernante Pallotti)
Non credere a nessuno – Sick Tamburo
I Sick Tamburo hanno nuovamente dato la conferma di quanto questa sia una band a cui nessuno può rinunciare. Anni di esperienze, sale prove e momenti dolorosi hanno scolpito il loro nome nella roccia; ne è la prova “Non credere a nessuno” con cui sono riusciti a dar vita ad uno dei loro migliori lavori.
Il disco è tutto ciò che cercavamo sotto tanti aspetti, c’è il punk distorto, libero, ma anche melodie altamente malinconiche ed evocative che ci riportano con la mente al passato, in particolare nel brano “Per sempre con me” che vede la partecipazione di Roberta Sammarelli dei Vederna.
È un disco maturo, che mette insieme più esperienze di vita e che stupisce continuamente traccia dopo traccia fino a giungere alla fine, in cui all’improvviso ti piomba nelle orecchie un fantastico arrangiamento orchestrale che ti riporta alla realtà.
(Filippo Micalizzi)
Titolo Provvisorio – Simone Panetti
Un album che è un regalo ai fan e non solo. Perché “Titolo Provvisorio” di Simone Panetti è bello, oltre all’originalità dei titoli. Sono come i nomi che diamo ai memo vocali, con le annotazioni che si fanno quando si ha ancora da modificare. Il titolo è provvisorio, così come l’idea del disco, che funziona. È come una continua sperimentazione, tra testi interessanti, romantici e pieni di realtà da cui “non puoi andar via, rimani”. Un bagno di trasparenza e verità che, vera o artificiale, è già uno straordinario programma discografico. Una cover di Giulia, una collaborazione con DARRN che è un punk romantico giustamente urlato. Una “Lettera alla paura” che è una ninna nanna a cui affidarsi, per sfociare in un (intermezzo album) che è un momento di straordinaria follia. Continua fino a un’apologia del “Sesso” in feat. con Testacoda. Un intermezzo “prodotto da Whatsapp” per finire con l’Outro “Arrivederci” prodotto da Mike Lennon. Non c’è niente di più folle, ma di bello, perché vero e sperimentato. Un Simone Panetti da ascoltare e riascoltare.
(Lorenzo Ottanelli)
Mondo Rosso – Generic Animal
Dove trovare il senso della vita? Come affrontare questo mondo e tutto questo caos, tra inflazione e crisi climatica, tra sfide globali e personali, tra il senso del venerdì sera e le difficoltà di trovare un affitto? Non c’è una risposta in Generic Animal. C’è solo un ritorno alla musica, alla sua sperimentazione, così come ha sempre fatto, da quando ha iniziato la sua carriera da solista.
Nell’Ep “Mondo Rosso” tutti gli inediti sono diversi, è quasi un concept, in cui il gigante rosso che tracima il mondo sta per scoppiare. Se “Mondo” parte con una forte batteria e una voce distorta, in cui Generic dice anche di non aver mai scritto una vera canzone, “Venerdì” lo fa con una chitarra acustica, anche stavolta distorta, ma con la voce limpida in cui “il periodo è frustrante” e ci si chiede pure “che vita è?”. Una domanda lasciata insoluta anche in “Rosso”, dove il “gigante rosso scalda il continente”. Ma è con “Fine” che la raccolta si chiude, in un brano chill con un forte autotune, dove le speranze sembrano svanire perché “forse siamo già alla fine”.
È una rincorsa al “fammi prender aria” che non ha senso straparlare, è l’ora di ingoiare la rabbia che “non so come sfogare”. È una fine in cui lo strumentale prende il sopravvento, oltre la parola, in cui alla fine non ci resta che arrenderci e dire che “forse il mondo è già troppo giusto così”.
(Lorenzo Ottanelli)
Nessun Dramma – svegliaginevra
Dodici brani, dodici storie d’amore eterogenee e diverse anche da un punto di vista musicale, che però hanno tutte come comune denominatore il mantra che recita “Nessun Dramma”. svegliaginevra, offre così una visione matura delle relazioni, trasformando esperienze apparentemente drammatiche in preziose lezioni di vita. La focus track “Ghiaccio” affronta un tema molto attuale, ovvero quello dell’amore virtuale, esplorando la tensione tra vicinanza emotiva e distanza fisica. “Nessun Dramma” diventa così un album catartico, la giusta colonna sonora per fare autoriflessione, ma perché no, anche per ridere e guardare con occhi diversi l’amore.
(Ilaria Rapa)
Realismo magico in Adriatico – Colombre
Un ritmo coeso, un Adriatico che sa essere calmo e allo stesso tempo il mare più pericoloso del mondo, come diceva Shakespeare. È un volersene andare dalle situazioni, trovare uno spazio altrove, nella mente, perché non si è piloti “di questo decollo” e tutto ci infastidisce. Volersi trovare sopra uno scoglio, a fare i conti solo col mare, senza gli sguardi e i discorsi.
E poi i ricordi, che stanno racchiusi nel mezzo del niente, che a volte tornano, da alcuni luoghi nascosti e remoti. Come quella stella lontana che è invisibile e che sembra quel segreto che non ti vuole confidare. Ma tu le vuoi bene, ma se solo tu fossi onesto durerebbe un’ora, quella storia d’amore, ma forse è solo la tua confusione.
Colombre è come sempre un mago, un autore che sa trascinarti in spazi reali e onirici, grazie alla musica, grazie al testo. Questo “Realismo magico in Adriatico” è un racconto immenso e minimo, che raccoglie esperienze minuscole e le fa diventare grandissime. È l’analogia col mare. È il pensiero che può tutto, nel bene e nel male. È quella modalità di racconto usata da Borges, Marquez e Buzzati, e che Colombre sa maneggiare al meglio.
(Lorenzo Ottanelli)
555 – cecilia
Quello di cecilia è un viaggio che è partito dal CAOS per arrivare al COSMO.
L’artista ha iniziato questo cammino con il progetto “il senso di questo caos” e adesso torna a raccontarsi in “555”, il suo nuovo EP.
“febbre”, “crisi”, “crepe” e “sete” quattro le tracce che compongono “555”, numero angelico che simboleggia la trasformazione, il movimento e l’evoluzione e che raccontano il processo che l’artista ha attraversato per arrivare fin qui.
“555” è una ricerca di stabilità, un inseguimento che è anche evoluzione e avventura, in contrapposizione al progetto precedente “il senso di questo caos”, in cui l’artista si divincolava da quel timore di non essere mai abbastanza, la sopraffazione causata dall’ansia generalizzata, il disturbo dissociativo dell’identità, un vero e proprio caos che ha preso forma sia nei testi che nelle produzioni delle tracce.
Medusa – Queen of Saba
Una copertina verde shocking, unә ragazzә che balla, dei cani. È questa la copertina di “Medusa”, l’album dei Queen of Saba che ci trascina in variegate sonorità per farci ballare, sorridere, pensare. C’è un po’ di house, un po’ di jungle, un po’ di canto popolare, qualche presa di posizione, la voglia di ribaltare tutto. Partendo dal binarismo e finendo a storpiare la sigla ACAB in “Amami come ameresti Bambi” perché ti piace di più di “una gazzella che brucia”.
È voglia di parlare, essere divertenti, ma allo stesso tempo provocare. Lo hanno fatto con Willie Peyote, che canta una barra potente, in cui chiosa: “resisteremo insieme come in Val di Susa”. Lo hanno fatto con “Cagne vere” insieme a Big Mama e in “Pesca noche” con Ganoona. È tutto un crescendo, un voler danzare. Fino a “Medusa”, la traccia che non ti aspetti. Dove tutto si mischia ed è uno sperimentale che fa sentire il disco vero, fresco e vivo come pochi altri. È un canto popolare su musica elettronica, sound jungle, riferimenti mitici e dediche d’amore. Una chiusura inusuale per un disco da ascoltare e riascoltare.
(Lorenzo Ottanelli)
Arte e finanza – Popa
Popa, cantautrice e fashion designer, amante dei salotti e della dolce vita, pubblica con Artist First, venerdì 17 novembre il suo primo album, che consacra tutto il lavoro degli ultimi anni. All’interno del disco saranno presenti anche due brani inediti “Arte e Finanza” e “Bugie”.
L’album prende il titolo dal brano “Arte e Finanza”: un omaggio al benessere imperituro del mondo dell’arte, dove tra un Picasso su uno yacht e un’asta di contemporaneo ci si può innamorare ma anche fare un affare. Popa, su sonorità disco anni Settanta, raccoglie impressioni e osserva momenti: vernissage, privé, mansplaining, feste e Martini.
L’immaginario di Popa, attraverso le dieci tracce del suo primo album, mette in musica le contrapposizioni da sempre protagoniste dei suoi brani.
Dove nascere – Federico Dragogna
C’è la sperimentazione, c’è l’analogico, c’è il digitale, ci sono musica, testi e anima, quindi non manca niente.
Le aspettative riposte su Dove Nascere, primo album solista del frontman dei Ministri Federico Dragogna, non sono state disattese – candidandolo, già a maggio, di diritto ad un posto tra i migliori prodotti musicali italiani del 2023.
Tra i brani vagano innumerevoli influenze, elementi decontestualizzati e ricollocati dentro un panorama musicale che, traccia dopo traccia, si rivela in continuo mutamento. Dopo Musica per aeroporti (il singolo che ha preceduto l’uscita di Dove Nascere), riceviamo in regalo 12 tracce in 40 minuti: il tempo che serve per sottolineare la grandezza di un talento.
Dubbi ne abbiamo tutti, ma Federico Dragogna sembra proprio non averne.
(BennyBoy)
ENI – La musica di FORTE
Il nuovo disco de La musica di FORTE riesce a tenere alta la bandiera del cantautorato italiano, prendendo gli stilemi classici, ma svecchiandoli, con innovazione e tanta tanta qualità.
“ENI” racconta la vita in tutta la sua complessità attraverso le gesta quotidiane, e lo fa in maniera dolce tanto da farla sembrare semplice. I nove brani di cui è composto sembrano comporre passo dopo passo un album di ricordi scattati, gli stessi, magari dolorosi, che se ci ripensi adesso ti scappa un respiro di sollievo.
Un disco che vuole arrivare ad essere consapevole che nel bene e nel male, citando le parole di “Tastiera”, “va sempre tutto bene”.
(Filippo Micalizzi)
Fuoristrada – Bnkr44
“Nessuno di noi vive in eterno non ho tempo per pensare a tutto ciò che ho perso”
I Bnkr44 sono ormai delle stelle fisse all’interno del panorama musicale indie italiano, e lo dimostrano con “Fuoristrada” il terzo album del collettivo che segue le vicende di una Generazione Z cresciuta, che ha voglia di liberarsi dalla quotidianità.
“Cambiare non posso”, “Fretta” e “Specchio” sono il manifesto di tutte quelle persone che si sentono strette all’interno delle mura di casa, della propria routine che piano piano ci fa vedere il mondo intorno a noi sempre più grigio. E allora a “Mezzanotte” partiamo e attraverso la “Guida spericolata” della nostra “Moto blu” usciamo dal nostro guscio e cerchiamo di prendere il massimo che questa vita possa offrirci: amore, sogni, gioie e dolori, tutti i nostri sentimenti finiscono “(Tra i rottami)”, proprio dove troviamo i Bnkr44.
“Scritto per te” con Sick Luke sembra proprio che parli alla nostra anima che soffre di vertigini e finiamo con un “Ultimo giro” prima di mettere di nuovo in loop il disco, un po’ più consapevoli rispetto a prima di come evadere da noi stessi.
(Margherita Ciandrini)
DISCO DUE – BAIS
“Tu non mi fai dormire più, non lo vedi che sei tu, l’alta marea a casa mia” (Venezia).
Il nuovo progetto di Bais “DISCO DUE” ci culla e ci spinge dolcemente dentro questa primavera con i suoi sound pop e le sue ballad che hanno sempre delle esplosioni: le percepiamo nitide sia nelle nostre orecchie che nella nostra anima, “Amore, abbiamo dentro un vuoto bestiale” (“Vuoto bestiale”).
Numerose sono le collaborazioni all’interno dell’album, da Galeffi a Laila al Habash e possiamo con sicurezza affermare che “DISCO DUE” è uno degli album che ci permette di apprezzare l’attuale indie italiano, e riconosciamo un pezzetto di noi proprio dentro ogni brano, soprattutto in “Vita stupida”: “voglio una storia normale, ma come puoi fare se non sai stare senza scappare” .
Il mare, i viaggi, le onde, sono le evasioni che Bais utilizza per essere libero e ci racconta tutto il “DISCO DUE”: “Non lo riesco ad accettare ma sto bene così, col buio nella fronte” (“Tagliami le ali”).
(Margherita Ciandrini)
Acqua e zucchero – Peter White
Il cantautore romano Peter White ci culla la testa e il cuore con il nuovo album “Acqua e zucchero”, una cura per cuori infranti e antidolorifico per ferite aperte dentro la mente. Le ballad malinconiche e struggenti dell’artista si inseriscono perfettamente all’interno del panorama musicale indie italiano e ci raccontano cosa vuol dire vedere il mondo attraverso gli occhi lucidi di Peter White e di alcuni amici.
Ritroviamo ad esempio Galeffi in “Qualcosa in mezzo ai denti”, e malediciamo il cielo insieme a loro, abbiamo le mani gelide e non troviamo pace dentro questo vento che porta via le parole e ci porta a “Baricentro” con chiamamifaro, un sound più pop ed estivo, complice l’ukulele che scandisce il ritmo. “Segni zodiacali” con Gemello ci fa spezzare le parole in gola, siamo circondati dal buio e le barre del rapper ci portano dentro un prato sconfinato, senza possibilità di nasconderci, e bruciamo lentamente come una sigaretta accesa, brilliamo per un po’ e poi più nulla.
Peter White nella corale “Prendi le cose che fai”, così come in tutti gli altri brani, ci descrive perfettamente e con “Acqua e zucchero” ci spinge ad andare avanti, anche quando fa male, anche quando tutto sembra scivolare tra le nostre dita.
(Margherita Ciandrini)
Mondo e Antimondo – Umberto Maria Giardini
A distanza di oltre tre anni dal suo ultimo lavoro discografico, torna finalmente alle cronache della musica italiana, Umberto Maria Giardini (ex Moltheni) con un nuovo album dal titolo “Mondo e Antimondo”.
Anticipato dal primo estratto “RE”, “Mondo e Antimondo”, dal titolo già di per se molto emblematico, è un album che ha richiesto un’incubazione pre produttiva importante, rivelando fin dalle prime note un altissimo livello di ispirazione, mirando e rivolgendo lo sguardo al suo ieri (Moltheni) ma con una luce sempre nuova, sognante, rivelatrice, pronta a confermare un marchio di fabbrica già noto a molti.
Considerato uno dei più longevi e coerenti personaggi della musica alternativa nazionale, in “Mondo e antimondo” Umberto Maria Giardini si supera, evolvendosi nell’ ennesima forma di fioritura inaspettata; un preludio verso orizzonti oscuri e psichedelici, una scia nera nel firmamento del cielo del nostro cuore, canzoni adatte per perdersi attraverso tutte le sfumature del suo suono, perfette nel renderci schiavi della nostra mente, noi.. così diffidenti dinanzi a un domani di fatto non prevedibile.
“Mondo e antimondo” corre e prende subito per mano chiunque; la voce avvolgente accompagna l’ascoltatore attraverso tutte le contraddizioni che ci appartengono, rivelando fisionomie che spingeranno chiunque lo vorrà a guardarsi dentro allo specchio della propria vita, con onestà.
Punto Zero – Arya
“Punto Zero” è tornare a casa la sera dopo essere stata fuori tutto il giorno, con i vestiti che odorano di cibo, i capelli che sanno di fumo e la voglia di togliersi tutto di dosso: tutte le sovrastrutture, le aspettative, le domande e le risposte, solo Arya, nulla più.
Tre nuovi brani nati in momenti e luoghi diversi ma accomunati da un unico intento: quello di scandagliare il fondo del mondo interiore dell’artista portandone alla luce sia i tesori che i mostri.
A quasi tre anni di distanza dal suo EP d’esordio, “Peace Of Mind”, intervallati dalla pubblicazione di alcuni singoli, l’artista italo-venezuelana torna con una nuova release che la conferma come una delle voci più interessanti del panorama neo-soul/R&B.
Panico Mentale – Adriano
Titolo emblematico per quelli della nostra generazione, “Panico Mentale” è il nuovo EP di Adriano, un disco questo che, come si può intuire, racconta di uno stato psicosomatico in cui un po’ tutti possono immedesimarsi. “Panico Mentale” nasce, come è giusto che sia, da una mancanza, quella della persona che fino a quel momento è stata al proprio fianco tutti i giorni e che invece, adesso, sbiadisce come una fotografia vecchia e abbandonata in fondo ad un cassetto. Il tutto è impreziosito però dalla ricerca musicale dal funky e alle sonorità anni Settanta, che sono per l’autore siciliano un bollino di garanzia.
(Ilaria Rapa)