JayWolf: “Spalare fango e costruire un mondo migliore” | Intervista
Ci sono tragedie che hanno la capacità di farci scoprire un senso di dolore collettivo e solidarietà, di cui molto spesso facciamo finta di niente. Una di queste è stata la terribile alluvione che ha colpito la zona dell’Emilia-Romagna, portando fango e distruzione.
JayWolf dopo aver passato tutto il giorno a spalare, scavare, cercando di salvare il salvabile è ritornato a casa e ha reso tutta quella sofferenza come un inno dedicato a tutti coloro che si sono prodigate nell’aiutare.
“Angels Of Mud” è la storia di persone comuni che sono diventante eroi non per egocentrismo, ma per gratitudine nei confronti della vita e degli altri. Unire le proprie energie, dando il meglio di se stessi è una soluzione per costruire un mondo migliore, spalando via quintali di fango non solo reale e distruttivo, ma anche metaforico che rischia di rimanere appiccicato sui nostri sogni.
“Now we are angels of mud, We ain’t gonna give up. Now we are angels of mud, We ain’t gonna back down “
INTERVISTANDO JAYWOLF
JayWolf è un nome che richiama quali mondi?
All’età di 22 anni partii da solo, zaino in spalla, per un viaggio organizzato da “Avventure nel mondo” verso l’Africa. Nel gruppo c’era un altro Simone più grande di me. Tutti iniziarono a chiamarmi Simo junior e dopo qualche giorno di confidenza diventai Jay. Una sera in Tanzania gli indigeni invitarono me e tutto il gruppo a partecipare a un rituale nella savana. Dopo ore seduti davanti al fuoco, ascoltando solamente i rumori magici di quella natura selvaggia, la tribù vide tra le fiamme comparire il mio animale guida: era un lupo portatore di musica. Dentro la tenda di uno degli indigeni vidi una chitarra. La presi e suonai tutta la notte accompagnando i balli dei nativi. Da qui nacque JayWolf… l’incontro tra fuoco, natura e musica. Che io lo voglia o no, che io lo segua o no, questa è il mio mondo.
A quale elemento naturale ti senti più legato e perché?
La natura ha un posto insostituibile nel mio cuore. Mi ha sempre cullato e protetto nei momenti in cui la vita ti stende al tappeto, le persone non hanno tempo per aiutarti a rialzarti e l’amore a volte non è così puro per poterti salvare. Un’amaca al fiume, una notte in tenda tra i monti, un sentiero desolato dove camminare al tramonto. La natura era sempre lì a curare le mie ferite. Le mie canzoni non funzionerebbero senza quegli scenari.
Di tutti, il fuoco è sicuramente il mio elemento dominante. Nelle mie vene scorre qualcosa che solo la musica riesce a domare. Da quando mi sveglio a quando vado a dormire mi sento bruciare. Bruciare di passione, di adrenalina, d’amore senza un motivo a me ben chiaro. Qualcosa arde in me come volesse spingermi a scalare il mondo. Ogni volta che mi siedo davanti a un falò mi sento a casa. È come un padre che ti appoggia la mano dicendoti: “Tranquillo figliolo, ora ci sono io. È tutto ok. Vai avanti; non fermarti.”
Qual è il tuo ricordo dell’alluvione del 2 maggio 2023 che ha colpito l’ Emilia-Romagna?
Ricordo come fosse ieri. Stavo tornando in auto da Cesena, 20 km da casa mia. Il cielo era una tavola di un grigio strano, mai visto così chiuso. Fermo al semaforo di un incrocio guardai nello specchietto retrovisore e iniziai a vedere gente scendere dalle auto in preda al panico. Aprii lo sportello e l’acqua iniziò ad entrare nell’auto come fossi parcheggiato in mezzo al mare. D’istinto chiamai mia madre. La linea era disturbata, sentivo solo un pianto disperato. Mio padre non rispondeva e cominciai a sentire l’ansia salire: “Ok… devo andarmene da qui all’istante”. Da quel momento ho un vuoto. Come fosse scoppiata una bomba. Ricordo solo che io ed alcuni amici camminavano nel centro città con acqua e detriti fino alle ginocchia. Entravamo nelle case di gente che chiedeva aiuto. Il fango era talmente alto nelle stanze che spesso gli unici oggetti che si riuscivano a vedere erano i lampadari. I fiumi non smettevano di esondare e non sapevamo più cosa fare. Ricordo un signore anziano fermo in piedi in mezzo ad un campo che urlava al cielo: “Cosa ho fatto per meritarmi questo?… Riportala indietro! Era mia!”. Mi avvicinai: “Scusi ha bisogno di aiuto? Cosa posso fare?”. Lui mi guardò dritto negli occhi sussurrandomi: “Non puoi fare niente ragazzo… casa mia era qui davanti a me… ora non esiste più”.
Hai mai avuto la sensazione di dover spalare fango via dalla tua vita?
Le mie scelte lavorative sono sempre state armi a doppio taglio. Alla fine sceglievo sempre di chiudermi nelle fabbriche. Gli stipendi erano molto alti e per anni mi hanno permesso di viaggiare il mondo in lungo e in largo da solo e insieme al mio fedele compagno di viaggio. La vita non mi pesava. Era un compromesso perfetto. Lì dentro ero soltanto un numero, ma più guadagnavo e più riuscivo a visitare luoghi nel mondo di cui non sapevo manco l’esistenza. I problemi sono iniziati quando la passione di comporre musica è diventata una droga. Non potevo stare un giorno intero senza comporre qualcosa. Allora attuai un piano per ottimizzare i tempi. Mentre lavoravo in fabbrica scrivevo i testi delle mie canzoni. Mentre mangiavo in pausa pranzo suonavo la chitarra. Tornavo poi a lavorare e scrivere testi fino a quando alla sera non arrivavo a casa e mi mettevo al computer per registrare tutto il brano. Era un piano perfetto… fino a quando il mio corpo non iniziò ad accusare tutto quello stress psicofisico bloccandomi il collo, le spalle e il diaframma. A quel punto capii che mi ero infilato da solo dentro a delle sabbie mobili.
Il denaro mi aveva incastrato in quella che mi piace chiamare “Libertà illusoria”. Ormai avevo solo due strade: lasciare che il fango di quel mondo mi uccidesse anima e corpo o scappare. Scappare… per imparare a vivere.
Perché è più facile rendersi conto dell’importanza della condivisione solamente nei momenti più tragici?
Credo che i momenti tragici siano botte talmente potenti in grado di mettere a nudo tutti noi esseri umani. Le maschere cadono, i pregiudizi spariscono, la superbia si annienta, l’odio svanisce. È come uno tsunami che ci travolge facendoci ritornare alla nostra vera essenza. I momenti tragici e le calamità naturali sono cose molto più grandi di noi. Talmente grandi che ci sentiamo come schiacciati da un peso enorme.
In quel momento credo che riusciamo tutti a provare le stesse medesime sensazioni e riusciamo a connetterci per simpatia. È come suonare una nota della chitarra in una sala prove e sentire che il rullante della batteria inizia magicamente a vibrare senza toccarlo. In quei momenti riusciamo a sintonizzarci tutti sulla stessa frequenza. I cuori si fondono e ci sentiamo un’unica persona con la forza di migliaia di esse. Nella vita quotidiana è davvero difficile raggiungere questo stato di unione. La società ci distrae mentre i tragici eventi ci ricordano quanto possiamo essere potenti.
La musica è uno strumento adatto per elaborare la realtà delle cose?
La musica è uno dei tanti “Poteri degli Dei” presenti qui sulla terra. Le sfere artistiche come la danza, musica, teatro, pittura, scrittura, ecc. credo siano doni con i quali possiamo vivere in mondi paralleli. Sono luoghi in cui possiamo canalizzare i nostri sentimenti per creare qualcosa di nuovo dal nulla. Credo sia davvero difficile, se non quasi impossibile, vivere tutta un’intera vita con la mente dentro la realtà.
L’arte ha davvero il potere di curare le ferite, liberare la mente, asciugare le lacrime, guarire i traumi passati. Più tempo decidiamo di passare dentro a questi mondi più il nostro cervello riesce ad ampliarsi e utilizzare sempre maggior potenziale. Col tempo riusciamo a trovare risposte che nelle realtà non vediamo e lati di noi stessi ignoti. Ho avuto la fortuna di vivere in molti di questi mondi, ma la musica è quello che mi permette davvero di essere ciò che sono davvero.
Che concetto è, secondo le tue esperienze, quello della libertà?
Vedo la libertà come una strada senza fine parallela alla strada della felicità. Questi due sentieri non hanno un termine o il gioco della vita finirebbe e noi umani non avremmo più uno scopo da raggiungere. Abbiamo però il libero arbitrio di percorrerle fino alla morte. È una nostra scelta. Siamo liberi di stabilire il modo con cui vogliamo farlo. Inseguendo sogni, guadagnando tanto denaro, aprendo attività, dormendo e lavorando in camper in giro per il mondo, sposando una persona che ci rende felice, vivendo a fianco di amici e persone che amiamo, facendo l’amore per giorni interi senza mai fermarsi. Qualunque cosa ci trasmetta la sensazione di essere fuori dal sistema ordinario ci indica che stiamo percorrendo quelle due strade. Più volte percepiamo questa sensazione di non avere catene ai piedi più la nostra mente penserà che siamo uomini liberi e di conseguenza anche noi ci convinceremo di esserlo. È una strada che non avrà mai fine, ma che forse vale la pena percorrere per poter un giorno dire a se stessi: ’’Io ho vissuto la mia vita come un uomo libero”.
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