Michelangelo Vood: “Nella mia capsula del tempo metterei il quaderno dove mi appuntavo i pensieri da ragazzino” | Indie Talks
È strano il concetto di tempo, a volte sembra sfuggirci come sabbia tra le mani e altre volte ci sembra di essere fermi e non riuscire ad andare avanti.
Sul tempo hanno fatto studi, film, libri canzoni. Discussioni, pensieri e dibattiti e ognuno, giorno dopo giorno, si è fatto la propria idea di tempo e di quello che vorrebbe accadesse nella propria linea temporale, che comunemente chiamiamo vita.
C’è anche un album, chiamato “Non c’è più tempo“, e ad averlo scritto è Michelangelo Vood, che in questo disco ha messo di tutto: paura, amore, futuro, solitudine, sacrifici, rassegnazione e speranza.
Forse è vero che non c’è più tempo, ma sicuramente voi potrete trovarlo per leggere quello che ci ha raccontato, ma soprattutto per ascoltare questo gioiellino di album.
Michelangelo Vood x Indie Talks
Se avessi a disposizione tempo illimitato, cosa faresti?
Imparerei tutte le lingue del mondo.
Cosa significa avere 30 anni oggi, in un mondo in cui ci si sente sempre in ritardo?
Significa combattere costantemente con se stessi e col mondo circostante, che ci vorrebbe già “sistemati”, economicamente stabili e magari sposati con figli. Quando dico combattere con se stessi faccio riferimento al senso di colpa con cui tutti noi conviviamo. Questo spesso ci porta a sentirci dei falliti perché è inevitabile che oggi per noi sia molto dura realizzarsi. Avere 30 anni oggi significa anche dover scendere a compromessi coi propri sogni, spesso rinunciandoci. Ma ci dimentichiamo che la nostra essenza più autentica si rifugia proprio lì. Un uomo senza sogni è un uomo finito.
Quando scrivi un testo, sei più da scrittura di getto o snoccioli il brano parola per parola?
Ci sono brani che hai scritto anche solo in una manciata di minuti?
Dipende dalla canzone, “Contavo su di te” ad esempio è uscita fuori in un’ora o poco più. Idem “Millennium Bug”, un paio di giorni al massimo. Altre canzoni hanno preso più tempo, ma mai mesi, al massimo si parla di qualche settimana.
Scrivere delle proprie paure e incertezza aiuta ad esorcizzarle?
Assolutamente sì. Non solo aiuta ad esorcizzarle ma aiuta anche a capirle più a fondo. E magari arrivi alla radice. Per me la scrittura è terapia, è una grande medicina.
Il tuo lavoro da insegnante come si intreccia con la musica?
L’essere professore in una scuola superiore fa sì che io viva una bizzarra doppia vita: di giorno dietro la cattedra e di notte su un palco. Può sembrare assurdo e stancante, e lo è, ma sto vivendo un periodo molto bello della mia vita. Avere un occhio vicino ai ragazzi più giovani mi aiuta a capire meglio da che parte sta andando il mondo e magari a dare il mio piccolo contributo per provare a raddrizzare il tiro. È importantissimo veicolare messaggi di speranza ed esempi virtuosi alle nuove generazioni, a volte ce ne dimentichiamo.
In una vita in costante movimento, dove ti rifugi quando hai bisogno di mettere in pausa il tempo?
A casa mia, in Basilicata. Più precisamente vado ai laghi di Monticchio, un posto magico in cima al Monte Vulture, sotto cui sorge il mio paese d’origine. Aria pulita, gli uccelli, l’acqua piatta, il verde tutt’intorno. Il mio Eden è quello. Non mi porto nemmeno le cuffiette, a mettere la musica ci pensa la natura.
Il Michelangelo di vent’anni cosa direbbe a quello di oggi? E al contrario?
Il Michelangelo di oggi direbbe al piccolo Michi che l’amore esiste e gli chiederebbe di dare un bacio in più ai nonni. Il piccolo Michi a me invece parla tutti i giorni, mi rimprovera quando mi rassegno e mi ripete che i sacrifici prima o poi ripagano sempre.
Cosa metteresti ora in una capsula del tempo da aprire tra 50 anni?
Il quaderno dove appuntavo i miei pensieri da ragazzino.
E per finire, che “consigli per l’ascolto” daresti a chi si approccia alla tua musica?
Direi di partire dal britpop, a seguire una spruzzata di Lucio Battisti e per finire un pizzico di Cesare Cremonini.
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