“Pensiero Vivo” illumina Il Vagabondo Detto Houston | Intervista

PH: Ufficio Stampa

“Pensiero Vivo” illumina Il Vagabondo Detto Houston | Intervista

Non si possono eliminare certe delusione però si può sviluppare la capacità di analizzarle e rielaborarle, riuscendo a tirare fuori elementi positivi anche dalle difficoltà. È proprio questo elemento che  Il Vagabondo Detto Houston chiama “Pensiero Vivo”, energia che trasformata in musica ha dato la possibilità all’artista di mettere in mostra i propri sentimenti, raggiugendo una forma maggiore di consapevolezza.

Per qualche assurdo motivo se si cerca di dimenticare alcune persone o situazioni, durante quest’azione riemergono i ricordi, specialmente quelli più dolorosi, motivo per cui si rischia di finire in un loop che porta ad una confusione. Scegliere come ripartire dal passato invece è un lavoro di precisione e pazienza, che alla lunga, porta ottimi risultati.

INTERVISTANDO IL VAGABONDO DETTO HOUSTON

Il tuo nome d’arte è molto particolare, ci puoi raccontare come nasce?

L’origine di questo nome d’arte ha una lunga e per certi versi bizzarra storia. Questo nome esiste da quando avevo 13 anni. All’epoca mi serviva un nickname per i giochi online e il primo nome che mi è venuto in mente è stato Houston, un soprannome usato da una persona a me cara. Poi, senza un motivo preciso, mi è saltato in testa Il Vagabondo. Mi suonava bene, così ho unito i due nomi ed è nato Il Vagabondo Detto Houston. Mi è piaciuto subito perché aveva qualcosa di unico, di particolare.

Con il tempo ho iniziato a usarlo sempre di più: prima per un canale YouTube dove pubblicavo canzoni demenziali e video divertenti, poi è diventato il nome con cui ho dato il via al mio progetto musicale, che ha preso piede ufficialmente a settembre 2022. È un nome che ormai mi rappresenta in pieno, non riuscirei a vedermi con un altro!

L’amore è un pensiero vivo nel tuo modo di fare musica?

Per me l’amore è una delle cose più importanti nella vita. In un certo senso, credo che tutto ruoti attorno all’amore. Ho deciso di lanciarmi nella musica dopo una grande delusione sentimentale, circa tre anni fa. È stata una voragine immensa, e in parte sto ancora cercando di colmarla. Però sapevo che non potevo lasciarmi andare: avevo bisogno di una scossa, di una scintilla.

Fin da ragazzino ero appassionato di musica e mi ritrovavo in tanti cantautori. All’inizio mi divertivo a cantare sopra basi già fatte, era più un gioco che altro. Ma dopo quella delusione mi sono detto: “Ok, adesso bisogna fare sul serio. Devo reagire assolutamente o la mia anima morirà”. Così ho trasformato quel dolore in qualcosa di grande, qualcosa che vive e che spero continui a vivere a lungo.

Con il mio ultimo singolo, “Pensiero Vivo”, ho voluto raccontare proprio questo: anche un ricordo spiacevole, una sconfitta o una grande delusione possono diventare energia positiva per il futuro. Ti rendono più forte, più consapevole, e possono darti la spinta per creare qualcosa di bello. Il pensiero vivo è quel ricordo che resta dentro di te, ma che, invece di spegnerti, ti ha reso vivo.

PH: Ufficio Stampa

Noti una differenza tra i tuoi brani in italiano e quelli in inglese?

Sì, ci sono delle differenze, e in certi casi possono sembrare anche piuttosto marcate. Il motivo principale è che non tutti sanno che Il Vagabondo Detto Houston non è sempre stato un progetto solista. È nato come tale nel 2022, ma tra settembre 2023 e maggio 2024 è diventato prima un duo e poi un vero e proprio gruppo. Da giugno 2024, invece, è tornato a essere un progetto solista.

I brani in inglese, ad eccezione della cover di Femme Fatale dei Velvet Underground, realizzata insieme agli altri membri del periodo in cui Il Vagabondo Detto Houston era una band, sono stati composti da Matteo Manta, mio ex collaboratore e co-autore dell’album Vuoto da Colmare, che ha raggiunto i 90.000 stream su Spotify. Matteo si sentiva più ispirato a scrivere in inglese, mentre io scrivo esclusivamente in italiano.

Le sue influenze erano molto diverse dalle mie: aveva un sound ispirato a Pink Floyd, Nick Drake, Joy Division, con atmosfere malinconiche, psichedeliche e una vena di dolore profondo. Anche gli altri membri del gruppo seguivano quella direzione. Io, invece, mi muovo su sonorità più contemporanee e sono legato alla tradizione del cantautorato italiano. Insomma, erano due approcci abbastanza diversi, e questa differenza ha inevitabilmente influenzato la separazione e il ritorno di Il Vagabondo Detto Houston alla sua dimensione originaria di progetto solista.

Ci sono momenti in cui non si riesce a controllare la mente?

Sì, assolutamente. Ci sono momenti in cui ti sembra di morire dentro, in cui ti senti arrabbiato, affranto, intrappolato nei ricordi. Ripensi al passato, a ciò che hai perso, all’amore che non c’è più e che manca da troppo tempo. In quei momenti, però, cerco di trasformare il dolore in musica: scrivo, compongo, metto tutto nero su bianco.

Ricordo una sera in cui ero in piena crisi, e in mezz’ora ho scritto un pezzo intero, musica e testo. È stato come se un angelo mi avesse messo quella canzone in testa dal nulla. A volte, invece, alcune melodie mi appaiono in sogno, spesso legate a mia nonna. Con lei avevo un rapporto speciale, credeva molto in me come musicista, tant’è che mi ha mandato a scuola di pianoforte quando avevo appena otto anni.

Alla fine, noi artisti siamo tutti un po’ folli, ma è proprio nei momenti di follia che nascono i capolavori.

Ti piacerebbe sapere cosa nasconde il futuro?

Il futuro è imprevedibile, ma una cosa è certa: non voglio pensare che un domani possa andare tutto storto. Sono un grande sognatore e, per dare il massimo, non posso permettermi di focalizzarmi su ciò che potrebbe andare male. Se mi lasciassi condizionare, rischierei di abbattermi, e siccome sono una persona molto sensibile, preferisco concentrarmi su tutto ciò che sto facendo per far decollare il mio progetto.

Sono curioso di vedere dove mi porterà questo progetto. Io ci metto tutto me stesso e chiunque provi a fermarmi, semplicemente non lo ascolto.

Credi che i social abbiano accelerato la percezione della nostra vita?

Senza dubbio, i social hanno avuto un impatto enorme sulle nostre vite. A volte mi sembra di dover correre continuamente per restare al passo, e il confronto con gli altri è diventato ancora più forte, spesso in senso negativo.

Ho paura di me stesso, perché so che per inseguire i miei sogni sono disposto a dare tutto, anche la mia vita. Non vorrei finire per consumarmi, ed è qualcosa che mi preoccupa. Ma alla fine sono convinto che quello lassù mi conosca bene e, se vuole che io percorra questa strada, allora posso stare tranquillo.

La frase “quel blu mi parlerà di te” è una dedica al cantautorato?

Sì, in un certo senso. Come dicevo prima, il mio percorso cantautorale è iniziato dopo una grande delusione d’amore, una voragine nel cuore lasciata da una ragazza. A lei piaceva molto La notte stellata di Van Gogh, e per questo sto pensando di renderla una parte integrante del mio percorso e della mia espressione artistica.

Sto valutando la possibilità di indossare maglie ispirate a La notte stellata durante i concerti, per dare un’identità visiva più forte al mio progetto e definire ancora meglio il mio personaggio artistico. Quel blu profondo di una notte che resta vivo dentro di me è diventato un simbolo. Possiamo dire che, almeno per questo inizio, il mio cantautorato è stato una sorta di dedica a questa persona e a tutto ciò che non è stato. Ma proprio quel “non essere” si è trasformato nella musica che porto avanti oggi.

 

PH: Ufficio Stampa