
PH: Luca Cascione
cólgate: “Tra istinto e ragione nasce la realtà” | Indie Talks
Quello che è stato darà l’inizio di quello che sarà, crescere è un processo nel quale si ci sposta da un punto A, arrivando ad un punto B, poi ad un punto C e così via, ma siamo sicuri che ci sia una logica tra tutto quello che succede nel mezzo?
Si vive superando delle fasi, deviando ascoltando i pensieri, scontrandosi internamente con quello che si vuole e quello che si è. Insomma questo processo umano di sviluppo non è qualcosa di tranquillo, anzi molte volte dallo scontro nasce qualcosa. Le ferite e le rotture possono dare inizio ad un evoluzione, nella difficoltà e nel turbamento si trova la scintilla per guarire, curarsi e muoversi oltre.
Questo album “ORRIDO” impressiona per la botta d’energia tipica di chi vuole fare rock a vent’anni, ma anche per la maturità di affrontare certi discorsi che nascono dal fallimento e muoiono con l’esperienza. Tutto può cambiare, sia all’esterno che dentro di noi, e anzi non sempre bisogna avere lo stesso punto di vista per esprimere il proprio parere sul mondo. Come si vede in questa intervista ogni domanda può essere spunto di riflessioni, a tratti anche contrastanti, ma la diversità del pensiero è il manifesto di una verità che tende sempre di più a perdersi.
La potenza dei cólgate non vuole spazzare via le paure di certe risposte, perché tende ad incoraggiare ad andare verso le varie esperienze, accettandone ogni tipo di conseguenza. In fondo l’agire è l’altra faccia del pensiero, ma probabilmente la realtà nasce dallo scontro tra istinto e ragione.
CÓLGATE X INDIE TALKS
La sofferenza è una tappa necessaria per crescere?
andre: Caspita, questa è una domanda impegnativa. Proverò a rispondere usando anche l’altro lavoro che faccio, oltre a quello di musicista (sono uno psicologo). Non è tanto la sofferenza, ma l’uso che ne fai. Puoi pure soffrire le pene dell’inferno e usare quello che ti succede per giustificare l’inferno che fai passare agli altri e, in questo caso, faresti un uso così sterile della sofferenza.
Diciamo che, quindi, non è tanto la sofferenza a farti crescere, ma l’ampliamento delle modalità con cui ci puoi interagire. E, queste, non puoi che impararle interagendo a tua volta, confrontandoti, dialogando, scontrandosi con il mondo. L’orrido ci spaventa tanto proprio perché rappresenta l’immensità delle infinite possibilità che ci sono: da qui l’invito alla “vacanza intera dentro all’orrido”, per tutta la vita.
giulio: Non reputo la sofferenza “una tappa necessaria” per crescere, non è qualcosa di obbligatorio ed imperativo, semplicemente accade di soffrire per svariati motivi nel corso della vita. Semmai reputo necessario saper imparare a gestirla per poter crescere.
marty: è inevitabile scontrarsi con il dolore crescendo, soprattutto se non hai avuto sempre la fortuna di trovare delle persone che ti accettassero e ti capissero nel profondo. La tappa necessaria più che il dolore in sé è l’accettazione di esso, riuscire ad attraversarlo finché non pesa più, e ci sono molti modi per soffrire di meno secondo me, ad esempio suonare.
L’adolescenza è un periodo di fuga per scappare dal bambino e diventare adulti?
andre: Mi fa sorridere, perché questa è proprio la filosofia con cui la gran parte di noi affronta i propri ricordi. Cioè, questa cosa della fuga la si dice spesso dell’adolescenza. Ma bambino, adulto e adolescente non sono cose da cui “fuggire”, “momenti di passaggio” o “fasi”. Fa senso detta così, me ne rendo conto, ma queste sono prima di tutto categorie giuridiche: il bambino (il minore) e l’adulto (chi ha raggiunto la maggiore età) non esistono se non nel diritto (tra l’altro, l’adolescente non esiste proprio ahah).
Siamo tutti un caleidoscopio di fuochi artificiali, sempre, un po’ come il Dottor Manhattan di Watchmen. Così, il tempo è accartocciato nell’istante eterno: sono molto pragmatico nel dire ciò, non vi è nulla di trascendentale. La cover del disco vuole rappresentare proprio questa coesistenza di diversi momenti in uno stesso istante: il disastro del Vajont che si sovrappone al gioco di due amici che si rincorrono, che si sovrappone a una giornata d’estate del 2018, che si sovrappone a un tempo in cui quella diga era piena d’acqua, che si sovrappone al momento in cui un fan dei cólgate tiene in mano il disco.
giulio: Direi di no, penso che ognuno di noi mantenga sempre un po’ del proprio essere bambino, adolescente e adulto. Ma se vogliamo proprio focalizzarci sull’adolescenza, la vedo come un momento di transizione e presa di coscienza, il cominciare a familiarizzare col mondo che ci circonda.
marty: L’adolescente è un bambino che prova a vestirsi da adulto, in se c’è un’energia pura e gioiosa che però vuole essere presa sul serio e partecipare della vita “dei grandi”. Non è una fuga dall’infanzia, anche perché poi da adulti si ricerca sempre di tornare in quella dimensione di spensieratezza che caratterizzava i primi anni di vita, ma più un togliersi di dosso l’ingenuità con cui vieni percepito.

Siamo noi a cambiare o cambia più facilmente la percezione di noi stessi?
andre: Le due cose coincidono e procedono di pari passo se a cambiare sono le modalità con cui ci osserviamo e ci raccontiamo, e gli altri ci osservano e dicono di noi. Se cambia il singolo contenuto, invece, non è detto sia per forza cambiato il nostro mondo.
Le vere rivoluzioni, quelle che incidono fortemente sul nostro stile di vita, sono rare come i miracoli accertati. Spesso si tratta solo di un cambio di partito, ma non di un cambio radicale. Per tornare al nostro album, l’orrido rappresenta quell’aspetto del mondo, mai considerato, ma essenziale, cui si attribuisce tutta la colpa del nostro fallimento nel “cambiare le cose” o nel “trasformare noi stessi”. Ma il fallimento non è colpa del sistema o di altri idoli: è un’implicazione del continuare a cambiare i contenuti, le parole, gli aspetti superficiali delle cose, senza mai cambiare radicalmente le regole con cui, ad esempio, ci salutiamo per strada o parliamo con il postino. È in queste cose apparentemente scontate, antiche e “poco nobili” (ovvero negli orridi) che si cela il futuro, il cambiamento, la rivoluzione.
giulio: Penso che entrambe le cose convivono, ci sono volte in cui cambiamo o semmai cresciamo ed impariamo ad affrontare e nel vedere le cose in modo diverso, come in altre in cui cambia la percezione che abbiamo con noi stessi, ma questo entra in un campo molto più introspettivo e di autoanalisi.
marty: Riguardo la percezione da parte degli altri purtroppo non possiamo avere molto controllo, ci saranno sempre alcune persone che vedranno in noi quello che hanno bisogno di vedere. La percezione di se stessi funziona a volta secondo questi criteri, nel senso che a volte ci raccontiamo che siamo fatti in un modo per non accettare gli errori o le situazioni di crisi, e quindi ci schiacciamo sotto il peso di chi non siamo. La necessità del cambiamento è sempre stata una grande parte di me, l’ho proprio notato negli ultimi anni che non sono più disposta ad accettare delle cose e mi sento più libera.
Le aspettative altrui limitano la libertà dell’individuo?
andre: Mai. Fintanto che ci sarà la possibilità di parlarsi, interagire, viaggiare, leggere, scrivere, correre, nulla avrà mai limite. L’unico limite è quello del linguaggio. Ma non delle parole che si usano per dire una cosa, sia chiaro, il rischio è di credere che ci siano parole che feriscono o parole “sbagliate” da non dire. No, non è questo. È l’uso che, di quello che viene detto, si può fare, che, casomai, può costituire un limite, soprattutto se consideriamo che non vi è un istante uguale all’altro. Come diciamo in “chiusa”: tutto è retorica, non si può ripetere.
giulio: Dipende sempre da quanto dai peso a queste aspettative e al modo in cui le vedi. Le aspettative delle persone possono essere un ottimo strumento per fare ancora meglio, come possono essere opprimenti, dipende sempre dall’attitudine che si prende nel momento in cui le si vuole affrontare.
marty: Solamente nel momento in cui le aspettative altrui sono più importanti del proprio giudizio ci condizionano nelle scelte. è necessario uscire dalla convinzione che bisogna “andare bene” agli altri per poter esistere, non è necessario, anzi è molto dannoso, limitarsi nell’espressione. Anche perché spesso alle persone piacciamo di più quando siamo autentici, e si vede da fuori quando uno finge.
Vi è mai capitato di rimanere intrappolati dentro qualche situazione, nel quale il minimo passo avrebbe rotto l’equilibrio con conseguenze inaspettate? Cosa si fa in questi casi, o meglio cosa si sceglie?
andre: Certamente. Le implicazioni sono sempre inaspettate. Ciò che possiamo gestire, però, è la visione che seguiamo per dire o fare qualcosa in un certo momento. Chiedersi, ad esempio: “Quale direzione sto seguendo?” e “Se dico x, seguo questa direzione oppure mi ritrovo da tutt’altra parte?” Poi, certo, ci sono volte in cui semplicemente si fa ciò che si dice essere “il nostro meglio”. In quei casi, osserviamo l’uso che verrà fatto di ciò che abbiamo detto: se serve a proseguire il dialogo, a interagire ancora e ancora bene! Se serve come giustificazione ad andarsene beh…. Saluti e arrivederci, scusate la schiettezza.
giulio: Assolutamente. Io penso che si debba valutare il tipo di situazione, ma in linea generale penso si debba essere sempre educatamente onesti. Il tempo farà sempre il resto del lavoro.
marty: Eeeeee sai quante volte. purtroppo mi è successo di farmi piccola perché gli altri potessero “prendermi”. la verità è che non tutti sono adatti a contenere quello che gli dai, non tanto per ingratitudine o bassezza, ma per incompatibilità. però in questi casi pensi tu di essere troppo, come se fosse una colpa essere pieni di vita e di energia, quindi diventi uno specchio, bello pulito perché lo lucidi dagli sputi della persona che hai davanti, in modo che non dia fastidio a nessuno e che non si veda che c’è poca cura; ti costruisci uno spazio ordinato ma molto asettico. a molti piace l’ordine e la calma, ma ad un certo punto cominci a stare male fisicamente (il corpo è il miglior indicatore del dolore che non vuoi ammettere, dal corpo purtroppo non si scappa…) e devi decidere se sacrificare te stesso o la situazione, quindi gli altri. Fa male chiudere qualcosa che speravi potesse essere molto bello, ma già riconoscere di essere intrappolato in qualcosa dimostra che non è una situazione sana.
Il pensare poi l’agire sono due azioni legate a due fasi della vita: siete d’accordo che grazie all’esperienza le conseguenze assumono un peso maggiore?
andre: Mmmh si e no. Si, in quanto più interagiamo, più impariamo ad attribuire diversi e variegati valori alle cose e, quindi, a vederne maggiormente le potenzialità e i possibili sviluppi. No, in quanto ciò non è sempre legato all’esperienza: possiamo pure fare 10000 viaggi e usarli tutti per dire “fatto, fatto, fatto” in una lista delle “cose da fare prima di morire”. In tal caso, è tutta esperienza usata allo stesso modo, quindi attribuendo lo stesso valore di “cosa da fare” agli episodi che ci si ritrova a vivere o affrontare.
giulio: A volte sì e a volte no.
marty: Sicuramente crescendo impari a dare maggior valore alle cose che ti succedono, ma non sempre per una tua consapevolezza acquisita, a volte ti viene detto che le azioni hanno delle conseguenze e quindi non metabolizzi davvero il significato di quello che fai, ma l’informazione ti arriva perché ti sgridano o perché fai visibilmente soffrire qualcuno (parlo di persone che ho conosciuto, che magari hanno un’intelligenza emotiva diversa dalla mia).
Quindi no non sono d’accordo che l’esperienza ti dà consapevolezza, o fa pesare di più le conseguenze perché se non ti interessa, quello che fai non ha rilevanza sul tuo umore/vita.

Il tempo della provincia a che velocità va?
andre: Pronti a mandarmi affanculo? Alla velocità del suono delle campane.
giulio: “Da quando ho smesso di girare tutto è diventato lento, lento”
marty: 30km/h in centro abitato, 70km/h per andarsene via (120km/h se odi la provincia). Ovvero finché ci rimani sei lentissimo rispetto al resto del mondo, ma non te ne accorgi perché la maggior parte delle persone va al tuo stesso ritmo magari (nn tutti quelli che rimangono a vivere nelle città piccole sono scemi eh, però abbiamo tutti in mente i compagni delle medie che figliano a 20anni così a caso).
Quando te ne vuoi andare invece fai una corsa così grande perché pensi che dall’altra parte del cartello «san donà di piave» ci sia la vera libertà che hai sempre sognato. A volte è così!
L’amore può essere un istante senza fine?
andre: Ogni cosa lo è, ogni cosa è un profondo orrido senza fine. Solo che, per abitudine, attribuiamo questa qualità solo a grandi paroloni del cazzo (“tutto è retorica” cit.): l’amore, la morte, la libertà, la pace.. Ma per piacere.
Uno dei miei scrittori preferiti, Philip K. Dick (quello di Blade Runner, per capirsi), disse che Dio è come un eterno presente, che costantemente ci chiede “Accetti questa eternità?”. Se solo rispondessimo “Si”, un “Si” collettivo, ecco che sarebbe il paradiso: il tempo si sgretolerebbe e percepiremmo tutto nello stesso istante. Ecco, noi ci concediamo questo “Si” solo quando compaiono certe parole. Ma “lavarsi i denti”, invece, è una cazzata senza nobiltà. E così ci fottiamo la possibilità del paradiso, che sta anche, invece,dentro al tubetto del dentifricio. E, ancora, non parlo di trascendenza: è tutto molto pragmatico. La prossima volta che vi lavate i denti, godetevi l’istante. Dite “Si”.
giulio: Può esserlo, ma non sempre lo è.
Ci sono svariati amori che nascono nel corso della vita, alcuni finiscono, altri durano per sempre.
marty: Nulla è senza fine, forse solo il suono della nostra voce nella testa è perenne, ci accompagna sempre. e di conseguenza i ricordi che conserviamo sono l’unico “istante d’amore infinito”. la felicità è un momento, non uno stato mentale purtroppo. La serenità dura di più, ma l’amore non ha la stessa intensità ogni giorno. Noi sappiamo di amare e di essere amati, ma non lo mostriamo e diciamo ogni secondo. è una latenza che rimane con noi, ma mai ogni volta la massima intensità.
Ora che è uscito il disco come si preannuncia questo futuro (musicale) che è già?
andre: Dici bene: il futuro è oggi. Quindi direi che è tempo di scrivere altra musica!
giulio: Spero bello e ricco di belle persone lungo il cammino.
marty: Finora la nostra attività di band è stata molto intensa, suoniamo insieme da 7 anni, e anche se nell’ultimo periodo abbiamo avuto un’impennata inimmaginabile, siamo sempre riusciti ad affrontare le cose di petto e cadere in piedi.
E per questo sono molto grata ai miei band mates (presenti e passati). Stiamo lavorando molto per riuscire a suonarlo in giro e non vediamo l’ora di conoscere tutte le persone che ci stanno supportano anche in giro per l’Italia.
La parte più gaso di tutte per noi è sempre stata questa: suonare live, fare concerti, girare, andare nei bar nei club nei centri sociali in piazza, parlare con le persone. Ogni concerto a cui vado, mio o di altri artisti, per me è una festa di compleanno. Il regalo è la musica
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