
New Indie Italia Music Week #229
“Uh! Com’è difficile restare calmi e indifferenti
Mentre tutti intorno fanno rumore
Quante stupide galline che si azzuffano per niente
Minima immoralia
E sommersi soprattutto da immondizie musicali
Sul ponte sventola bandiera bianca”
(Bandiera Bianca – Franco Battiato)
Come si fa star tranquilli con una tale baccano di sottofondo? Un rumore persistente che ci fa frizzare i neuroni tra dissing artefatti e scrocianti e false identità musicali?
Semplice no? Devi affidarti ai suggerimenti musicali della redazione Indie Italia Magazine che ogni settimana, ti consiglia il meglio del rumore possibile di questi tempi. Un rumore benevolo, fatto di sonorità e di narrazioni autentiche, di quelle che ti migliorano la giornata e che ti spingono a riporre nel cassetto (ancora per un po’) la tua bandiera bianca!
Inni e Canti (Album)
I Giallorenzo abbandonano ogni certezza per abbracciare la frammentarietà. Ci ritroviamo così davanti ad un album dove ogni traccia sembra essere maceria di un mondo ormai in rovina.
Chitarre ruvide, cornamuse dissonanti, voci che si rincorrono come ricordi lontani: tutto in questo disco è spoglio, necessario, senza fronzoli. La scrittura è minimale ed incisiva, capace di raccontare la solitudine, la paura, il bisogno disperato di trovare ancora un senso tra quei resti.
Confessioni sussurrate a denti stretti, inni spezzati che parlano di amori impossibili, battaglie interiori, speranze che riescono a brillare anche nel buio. Ogni brano è un piccolo naufragio emotivo, la colonna sonora di chi ha smesso di cercare una via di fuga e ha deciso di restare, nonostante tutto.
La produzione, sporca e viva, restituisce tutta la forza fragile di queste canzoni, tra ballate malinconiche e esplosioni corali che sembrano venire da un tempo lontano Inni e canti non è un disco facile che non pretende di esserlo. È la voce di chi, pur tremando, sceglie ancora di cantare.
(Serena Gerli)
Giallorenzo: 8,5
CORE IN FABULA (PRIMA PARTE)
La prima parte di “CORE IN FABULA”, il nuovo concept album della cantautrice partenopea DADA’è fuori. Ad inaugurare la tracklist sono i brani “C’era una volta l’anima mia”, “Madonna nera”, “‘Nguento”, “Curatella Qua Qua Qua”, “Tango Touché” e “Serpa”. Le tracce successive verranno svelate con i prossimi due capitoli, che usciranno rispettivamente il 9 e il 23 maggio.
In questo nuovo progetto di DADA’ torna come un promemoria, cangiante e simbolico, la necessità di esprimere le proprie emozioni, sfidando schemi abitudinari, dogmi e geometrie sociali. “C’era una volta l’anima mia” è l’incipit dell’album. È una piccola invocazione alla propria anima e una sorta di rito di iniziazione per preparare quella dell’ascoltatore a fare un balzo nel mondo delle fiabe e lasciare per qualche attimo la realtà. Segue “Madonna nera”, un brano in cui fioriscono man mano sonorità sempre più gipsy, mediterranee, popolari napoletane, in una commistione spontanea e fedele anche alla fusione socioculturale che nel tempo la città di Napoli ha vissuto. È la fiaba di una Madonna Nera incapace di piangere, poiché pietrificata emotivamente dalla cattiveria umana e dalle guerre.
La traccia successiva è “‘Nguento”, che ha come protagoniste le streghe di Benevento, città campana riconosciuta storicamente come polo di incontro per le streghe provenienti in volo, in sella a dei caproni neri, da tutta Europa, grazie all’utilizzo di un unguento magico particolare. È un brano dal richiamo atavico sensuale, che inquieta e incanta l’ascoltatore e lo induce all’interno di una spirale narrativa e sonora ipnotica.
La spinta nativa folkloristica della musica popolare del Mediterraneo si fa sentire forte e chiara, grazie anche a rimandi melodici cantilenati e ritualistici. Con una penna ficcante, meticolosa e di gusto d’altri tempi e grazie ad un uso del vocabolario napoletano agile e consapevole, DADA’ passa poi a racconta
DADA’: 8
TONYPITONY
Ci sono dischi che si ascoltano, altri che si vivono, e poi ci sono album come questo, che si attraversano come un campo minato emotivo ed estetico. L’autore si muove su territori dove pochi hanno il coraggio di mettere piede, creando un’opera che fonde la visionarietà degli anni ’60 con la brutalità della contemporaneità elettronica, il gusto teatrale dell’esagerazione e l’ironia caustica del trash italiano. Il risultato è un’esperienza sonora e concettuale che scuote, diverte e fa riflettere.
Dietro l’apparente frivolezza e la provocazione evidente, l’album costruisce una critica feroce ai costumi di oggi: la superficialità, la svendita dell’identità personale, l’illusione digitale, l’ipocrisia sui corpi e sui desideri.
C’è una consapevolezza lucida in questo progetto, che non si limita a strizzare l’occhio al pubblico, ma pretende attenzione e partecipazione emotiva. L’estetica fetish e l’antiproibizionismo, che attraversano molte delle liriche, sono strumenti per parlare più in profondità della libertà, dei limiti e delle maschere sociali.
Musicalmente, l’album spazia con disinvoltura tra generi molto diversi: dalle basi elettroniche cupe e distorte ai richiami pop cantautorali, passando per momenti di soul nostalgico, samba contaminata da techno, house anni 2010 e persino citazioni della musica popolare cinese. Questa varietà sonora non suona mai forzata, ma parte integrante di una narrazione schizofrenica e coerente allo stesso tempo, dove il disorientamento è parte del viaggio.
TONYPITONY: 7.5
Un giorno in più
“Un giorno in più” cattura la struggente malinconia dei desideri rimandati, cristallizzati dall’immobilità emotiva. In poco meno di tre minuti, il tempo si dilata in una dimensione onirica, ribaltando le priorità di una vita dominata da scadenze e aspettative. Il brano sussurra la consapevolezza che prendersi tempo non è un lusso, ma un atto d’amore verso sé stessi e gli altri.
Attraverso immagini delicate — un abbraccio, un viaggio, un giro in motorino — si compone un mosaico di rimpianti e speranze. Le liriche intime e vibranti invitano a vivere ogni istante senza rimandare l’essenziale.
Musicalmente, l’arrangiamento sospeso accompagna perfettamente la dolcezza amara delle parole. Ogni nota sembra un respiro trattenuto, ogni verso una carezza mancata. “Un giorno in più” non si limita a raccontare, ma fa vivere all’ascoltatore una nostalgia dolce e universale. Un piccolo capolavoro di semplicità e profondità emotiva.
Cicco Sanchez: 7.5
Sole zingaro
“Sole zingaro” è il nuovo singolo dei Patagarri. La band, che si é fatta notare nella stagione di X Factor 2024, affronta questo brano con un mix di jazz, pop e cantautorato. Il titolo riprende il libro “Nel sole zingaro- Storie di contrabbandieri” in cui si utilizza l’espressione “sole zingaro” per riferirsi alla luna. Infatti è una citazione dal testo “Ti chiamano luna ma tu sei un sole zingaro per me”.
Da questa si evince un po’ l’idea propria dei contrabbandieri di un muoversi ai margini calati nella realtà ma cercando di guardare oltre. Il nuovo pezzo dei Patagarri è un buon ascolto per i nostalgici che cercano comunque di guardare anche al futuro.
(Greta Karol Nesci)
I patagarri:8+
Ostriche
Il nuovo brano di Dimeglio si intitola “Ostriche”. Con uno stile indie che risente anche di influenze elettroniche, il cantautore vuole comunicare il percorso che i ragazzi di provincia fanno per scoprire se stessi e per lasciarsi scoprire dagli altri. Non è certo facile che gli altri riconoscano lo spazio che ognuno si è ritagliato e questo emerge bene da una citazione del testo: “Se ti sposti trovi un nuovo pescecane che ti ingoia”.
Dimeglio vede intorno all’io del brano tutto uno strato di polvere in mezzo a cui spera che gli altri ne riconoscano l’identità. È un buon brano da ascoltare per chi vuole affrontare un cambiamento cercando di rimanere se stesso.
(Greta Karol Nesci)
Dimeglio: 8
Tuffo ad angelo
È più difficile farsi accettare o accettarsi? Quando il quesito è più duro della risposta stessa, che cambia a seconda di ogni individuo, forse l’unica via per veicolarla è con un singolo di grande presa, facile ma non per questo ballabile senza ascoltarlo. “Hai fatto un tuffo ad angelo, ma io dentro sono altro. Non sono un mare calmo”: l’imposizione nel farsi accettare dall’altro in una storia, un’auto-imposizione anche quando l’obbligo parte dall’altro (perché l’ultima parola alla fine spetta a noi, su noi stessi), si appesantisce ancora di più ancora oggi, purtroppo, nel caso di una donna.
Donna che pure nel superamento della barriera ancestrale che non l’ha vista al pari degli uomini, trova molto più dura questa lotta interiore, dovendo settare, se non a volte contenere, i suoi molteplici ruoli e sfaccettature all’esterno quanto dentro vorrebbe solo ascoltare sé stessa, anche a costo di restare sola (?).
E quest’ultimo forse è l’unico cruccio che la vede accomunata all’uomo al 100%. In ogni caso, i limiti delle storie d’amore sono sempre questi. Il non accettare l’universo dell’altro come separato e indipendente dal nostro. E se noi non lo facciamo col nostro stesso mondo, sarà sempre per paura della reazione altrui. La paura di restare soli può essere la prima causa della solitudine. Ma la consapevolezza a cui questo brano incoraggia può essere salvifica.
(Stefano Giannetti)
Giuliettacome: 8
Solo noi
“Volevo solo una polemica per fare la pace”: Una ballad romantica che parla di quando il romanticismo cessa di esistere. Romanticismo inteso come quello che cerchiamo. Che fabbrichiamo. Dove “ci siamo visti nudi senza mai spogliarci”, dove non sfoderiamo più le nostre carte migliori. Che a guardarci indietro siamo solo caricature di noi stessi, e l’unica cosa che ci salva dall’imbarazzo è solo la tenerezza con la quale la nostra persona amata guarda a quel passato. E lo stesso facciamo con lei.
“Solo noi” è un’ode alla quotidianità, una nuova dichiarazione d’amore in cui la voce di Caterina è sia cristallina sia ruvida, quasi a voler simboleggiare la consistenza di cui sembra fatta una lunga relazione; un inno alla lotta di pugni sui cuscini contro la vita normale che è troppo lunga per recitare il ruolo di quelli sexy. Che il bello sta proprio tutto nel non cercare l’epicità in qualsiasi momento insieme. È troppo più bello di prima. Ma anche troppo più difficile da accettare subito.
(Stefano Giannetti)
Caterina Cropelli: 8,5
Alieno
Una dichiarazione sonora di vulnerabilità e coraggio, una riflessione intima sul sentirsi fuori posto, lontani e soli. Daria Huber con questo brano non si limita a raccontare la sua solitudine, ma la trasforma in una forza collettiva. Una scrittura delicata, fragile eppure travolgente, che riesce a toccare in profondità, trattando un tema tanto intimo quanto universale.
La traccia mescola sonorità alternative e pop, con un’elettronica delicata, in cui le atmosfere sospese e le texture fluide creano un paesaggio sonoro avvolgente e intimo.
Ma ciò che rende “Alieno” davvero speciale è il coro che accompagna il brano. Uno sfondo di voci reali, contributo di amici e fan, che amplificano il messaggio di appartenenza e connessione. Un gesto che trasforma il tema dell’isolamento in un momento di unione. Il brano diventa così un manifesto di condivisione, dove la solitudine non è più un peso, ma un’opportunità per sentirsi meno soli.
La voce di Daria, intensa e inconfondibile, ci guida in un viaggio emotivo che non cerca consolazione, ma ci invita ad abbracciare la nostra unicità, non più come una condanna, ma come un’incredibile fonte di forza.
(Serena Gerli)
Daira Huber: 8
La terza bici che mi hanno inculato
Ogni tanto serve una caduta per fermarsi davvero.”La terza bici che mi hanno inculato” è una corsa isterica tra nostalgia, ironia e frustrazione, senza mai perdere quella leggerezza ruvida che è diventata il loro marchio di fabbrica. Il brano è un flusso di coscienza sporco e sincero, in cui ritmiche serrate e aperture melodiche si rincorrono come pensieri impossibili da trattenere.
Tra punk e indie vecchia scuola, il brano riesce a raccontare e trasmettere un senso di perdita quotidiana senza mai scadere nel melodramma.
La scrittura è scarna, diretta, quasi brutale nella sua semplicità. Ogni immagine, anche la più banale, esplode in una malinconia che non si prende mai troppo sul serio.
È proprio nella scelta di non cercare la grande frase o l’effetto a tutti i costi che il singolo riesce a essere autentico, costruendo un racconto fatto di piccole frustrazioni, oggetti persi e perdoni dati quasi per sfinimento.
I Tonno giocano ancora una volta a coltivare la propria follia sonora, con un mix istintivo che suona grezzo e vivido.
La linea che chiude il brano, “Non so chi sei ma ti ho perdonato”, è la sintesi perfetta di un’umanità disillusa ma ancora capace di sorridere.
(Serena Gerli)
Tonno:7,5
KOTO, Al cader della giornata
Con “KOTO” e “Al cader della giornata”, Merli Armisa riafferma la sua poetica fatta di mistero, intimità e outsiderismo. Il sound, sospeso tra shoegaze, dream pop e lo-fi, abbandona l’eco americana per abbracciare la delicatezza dell’Estremo Oriente.
“KOTO” nasce da una ferita fisica ed emotiva, ispirato a Kawabata e alle sonorità eteree del tradizionale strumento giapponese. Pitchate oniriche, drumming incalzante e un canto ipnotico trasformano il dolore in pura catarsi. “Al cader della giornata” abbraccia invece la malinconia romantica, accarezzando l’ascoltatore con dolcezza acustica.
I testi sembrano sospesi fuori dal tempo, come promesse sussurrate tra sogno e veglia. Questa doppia uscita conferma Merli Armisa come uno degli artisti più originali e visionari della scena indipendente. Non semplici canzoni, ma paesaggi emotivi in cui perdersi. Un invito discreto ma potente a rallentare, ascoltare, immaginare.
Merli Armisa: 8
Gigi
Con “Gigi”, i Tare trasformano la frustrazione quotidiana in un turbine adrenalinico e surreale. Il brano è un loop ipnotico che incalza l’ascoltatore come un livello impossibile da superare: synth impazziti, groove sincopati e un’energia che esplode senza mai davvero risolversi. Il duo vicentino continua la sua esplorazione di suoni spigolosi e ritmi spezzati, mantenendo un’ironia tagliente che rende il pezzo irresistibilmente caotico.
“Gigi” è la colonna sonora perfetta per chiunque si sia mai sentito intrappolato in una burocrazia kafkiana o in un platform senza via d’uscita. La soundtrack di un game over annunciato, da ballare fino all’ultimo pixel.
(Ilaria Rapa)
Tare: 8
Calma 22 (Album)
Calma 22 è il nuovo album dei 43.Nove, fuori dal 25 aprile, e rappresenta una tappa importante nel percorso artistico della band. Un lavoro che unisce introspezione e leggerezza, nostalgia e vitalità, attraversando sonorità che vanno dal pop sognante all’indie più pulsante. Ogni traccia è un piccolo mondo emotivo, che racconta fragilità, slanci creativi e il bisogno di trovare una tregua nel caos quotidiano. Il titolo stesso richiama un senso di equilibrio ritrovato, quasi come se le cose, tra nuovi assetti e consapevolezze, avessero finalmente preso la forma che dovevano avere. Con Calma 22, i 43.Nove consolidano la loro identità e continuano a espandere un immaginario musicale sempre più personale e riconoscibile.
(Viola Santoro)
43.Nove:7,5
+G
Suoni distopici, sperimentali che sembrano dipingere una situazione paradossale. Teseghella riesce a creare un mix unico, elettronico, disordinato, fatto di caos ed immagini potenti. Parole che sembrano rincorrersi su fili che si assottigliano sempre di più, rispecchiando in modo chiaro il senso di urgenza che attraversa il pezzo. I
l paesaggio sonoro, costruito con Francesco Fugazza, amplifica la corsa tra un uragano di buio e piccoli spiragli di luce, creando un ambiente disordinato che sembra richiamare un po’ la mente fitta di pensieri. È una confessione cruda e sincera che, seppur tanto personale, riesce ad avere una risonanza universale: chi si sente perso in un uragano, ad un certo punto, riuscirà a trovare il sole.
(Viola Santoro)
Teseghella: 7
Dalle 9 alle 9
Dalle 9 alle 9 sembra una telefonata di notte. Quella che passi a litigare con un amico e una volta chiuso il telefono ti accorgi che è mattina. È la storia dell’amicizia. Di quanto, diversamente forte dall’amore (di certo meno fragile), siamo pronti a scazzottarci due minuti dopo aver smesso con un amico. Per il solo desiderio di sentirlo, di arrivare a un punto, di sperare che ciò che è successo è stato solo per “uno scazzo qualunque”.
Perché le vedute diverse e le incazzature non sono mai un vero limite a chi importa solo di esserci. La divisione tra la parte di IRBIS che rappresenta il turbinio del momento e l’altra di Vale e Lil che invece fa una descrizione e una decostruzione delle fasi di crisi del rapporto che sono la sua debolezza ma paradossalmente ne accrescono la forza, sono il perfetto specchio di quello che l’amicizia rappresenta.
(Stefano Giannetti)
Vale LP & Lil Jolie feat IRBIS: 7,5
Guardami dentro (Album)
Stake One all’interno del nuovo disco “Guardami dentro” usa la penna come strumento per scavare all’interno dei suoi pensieri e buttare fuori il suo mondo interiore non per metterlo alla mercé dell’ascoltatore, ma per aprirsi con lui avendo un dialogo e confrontarsi su alcuni temi di vita comuni tra ogni essere umano.
La rabbia, l’amore, la delusione sono alcune delle emozioni che escono fuori da questa intima confessione, tutte mischiate e in equilibrio tra di loro, bilanciate nel momento giusto. Questo disco viene fuori come una necessità fatta di urgenza per capire cosa vive l’uomo e quali parti può metterle in relazione con l’artista.
Anche nelle parti più dolorose prevale un senso di speranza e perdono verso la vita e i suoi punti oscuri, partendo dal presupposto che certe situazioni sono semplicemente da accettare, anzi possono essere sfruttate per comprendere alcuni insegnamenti grazie ai quali è possibile crescere.
(Nicolò Granone)
Stake One: 7,5
Non è colpa di nessuno
In una società che tende a giudicare anche l’essere umano si è adattato a questo modus operandi, motivo per cui tende sempre a cercare dei colpevoli negli atteggiamenti che portano a crisi o semplicemente diventano pretesto per un cambiamento. Quando i nemici non ci sono, ci si sente in dovere di attaccare se stesso, trasformandosi da vittima a colpevole, in una rotazione a 360 gradi del proprio punto di vista.
Bisognerebbe imparare ad accettare la fine, e sapersi prima perdonare piuttosto che sentirsi in dovere di puntare sempre il dito. A volte va così semplicemente perché così doveva andare. Non è colpa di nessuno, ed è giusto così. Le Lingue con questo brano fanno pace con la rabbia, scegliendo di abbracciare una nuova visione della vita.
(Nicolò Granone)
Lingue: 7,5
Blues del silenzio
La bonus track ” Blues del silenzio” chiude il disco ” La crisi dell’uomo” soffermandosi sull’instabile equilibrio di certe relazioni che nascono già in bilico. Ci sono coppie che provano ad aggrapparsi agli istinti del sesso, mentre altre giocano con le parole creando un legame al quale tenersi per rimanere sospesi.
In entrambi i casi arriva il silenzio a mettere la parola fine. Due amanti che si abbandonano alle loro debolezze, consapevoli che non si può cercare nell’altro quello che manca davvero. La chiusura, intensa e malinconica, restituisce l’essenza emotiva dell’intero progetto: dire poco, ma lasciare il segno.
(Nicolò Granone)
Grill Boys: 7
Domani, domani, domani
A quanto pare sembra che sia difficile il domani In un eterna lotta contro il tempo dove l’oggi ragiona a seconda di quello che è stato ieri, mentre il domani rimane un qualcosa di nascosto che affascina, ma allo stesso tempo fa paura, ognuno di noi deve capire come gestire il proprio destino.
La tenerezza di questo brano è disarmante, una dedica eterna all’essere romantici, nonostante il più delle volte sia una delusione quella di provare a dialogare con la realtà. E che te frega alla fine, Amalfitano, emoziona, trasformando il dolore in esperienza sensoriale alla quale è impossibile sopravvivere. Se l’amore fa male, allora è davvero amore. Questo è il principio dal quale è difficile scappare.
(Nicolò Granone)
Amalfitano: 9