
New Indie Italia Music Week #231
“C’è qualcosa dentro di me
Che è sbagliato e non ha limiti
E c’è qualcosa dentro di te
Che è sbagliato e ci rende simili
E un bacio sporco sa
Spogliarmi il cuore dagli incubi
Un bacio sporco sa
Come un miliardo di uomini
Vieni a fare un giro dentro di me”
(La vedova bianca – Afterhours)
Non avere paura di sentirti sbagliato, di avvertire l’ IO bussare con veemenza alla porta. Lascialo entrare, mettilo a sedere, parlaci, divertiti con lui e portalo a scoprire nuove anime disposte a rotolarsi nel fango dell’esistenza con te. Vieni a fare un giro tra le migliori uscite della settimana scelte e recensite dalla redazione di Indie Italia Magazine.
Orfeo
“Orfeo” è una canzone di straordinaria intensità, che anticipa il tema centrale dell’album in uscita: il mito come strumento capace di attraversare il nostro tempo, pur essendo estraneo ad esso, e di svelarne le crepe. Un pezzo che si sviluppa in tre momenti, guidati da tre voci distinte: quella di Orfeo, sospeso tra speranza e ossessione, che crede che il suo canto possa piegare le leggi del destino, quella di Persefone, regina dell’oltretomba, incarna la legge divina e l’ineludibilità della morte, e quella di Euridice, la cui voce riflette la fragilità dell’esistenza, ci ricorda che non si può mai tornare indietro.
Un brano un elettro-pop in cui la voce di Carnesi, concreta e misterica al tempo stesso, si fa strada in una tessitura di synth anni Ottanta e un mid-tempo incalzante, per poi cedere il passo a una parte interamente strumentale, in cui la dimensione sonora si espande, dissolvendo i confini di tempo e spazio.
Nicolò Carnesi introduce così il nuovo singolo: “Orfeo è colui che tenta l’impossibile: sfidare la morte con la bellezza, trattenere ciò che è destinato a svanire. Il suo canto non è solo espressione artistica, ma un atto di ribellione contro l’irreversibilità della perdita. L’arte, in questa visione, diventa un mezzo per riscrivere la realtà, un ponte tra il mondo dei vivi e quello dei morti, tra il visibile e l’invisibile.”
In “Orfeo” il mito non è solo rievocazione, ma un’indagine testuale e sonora sul ruolo dell’artista, colui che tenta di sovvertire l’ordine del tempo, di dare forma all’ineffabile, pur essendo consapevole che ogni creazione è destinata a dissolversi. Orfeo guarda Euridice e la perde: nel suo gesto c’è il fallimento dell’illusione, ma anche l’essenza stessa dell’arte, che persiste nel suo eterno oscillare tra desiderio e assenza.
Nicolò Carnesi: 8
La maglia del Lecce
“Quanto fa bene alle ossa la vita di provincia, ma forse non al cuore…”
Il non-senso di appartenenza che salva. Quando cresci, casa serve solo alle vacanze. Col vento che ci da i suoi schiaffi di nostalgia. A raccontarci quanto tutto era ed è ancora nostro, e allo stesso tempo non lo è stato mai. Come “la maglia del Lecce” quando del calcio non ti interessa. Quando l’aria si ferma, poi, la cappa si rivela. Quella che c’ha fatti scappare. Verso le occasioni, verso grandi città. E la provincia resta lì. Come una culla. Comoda, ma con le sbarre. Forse la differenza può farla solo qualcuno che abbiamo lasciato lì.
I La Municipàl non sono nuovi al sapiente racconto del travagliato rapporto con le radici. Ma qui è particolarmente struggente. Basta ascoltare l’ultimo bridge, in cui si menziona la perdita d’identità dopo essere partiti. Identità che forse non si è mai avuta, che forse è giusto cercarla all’infinito.
Disarmante.
(Stefano Giannetti)
La Municipàl: 8
Ancora più buio (Album)
Il sound del disco è intriso di industrial, noise e sintetizzatori incisivi, con un carattere clubbing a tratti irriverente, che valorizza la scrittura di Sicurella, artista capace di esaltare i suoni così come le parole. Anticipato dal singolo Miracolo, ANCORA PIÙ BUIO affronta le tematiche della violenza, dell’amore tossico e di una deriva verso una dipartita senza spiragli di remissione.
ANCORA PIÙ BUIO è un album che sa prendere ispirazione da un certo underground, anche italiano del recente passato, riuscendo a suonare attuale, in riferimento alla nuova scena alt rock internazionale imbevuta di elettronica. Come se i Nine Inch Nails si scontrassero con l’alternative decostruito di Chalk e Model/Actriz, infuso della chiarezza melodica di St. Vincent, senza perdere la sensualità della lingua italiana.
Angelo Sicurella: 8.5
Buuum
“Sono un problema vostro con un problema grosso”.
Un brano diretto e impietoso, che senza mezzi termini se la prende col nemico della sua generazione e la sua rabbia cresce perché i responsabili sono davvero troppi. Troppi gli adepti che si sono uniti e si uniscono. È un rock puro e potente. Spaventato dalla mancanza di prospettiva. Della difficoltà a costruire e a dare un futuro a qualcuno (“C’è mia figlia che strilla…”).
È la disperazione di chi sta in basso, contro i “mostri come grattacieli” che “fanno a pezzi grattacieli grandi come mostri”, combattendo guerre a spese degli altri senza spiegarne i motivi.
Entra in testa, e se restiamo zitti ci fa sentire in colpa.
(Stefano Giannetti)
Ministri: 8
Strappami il cuore
Tutto inizia con un accenno di battito, quello classico, accelerato, tipico di chi spera in un finale diverso. L’epilogo è tutt’altro: l’amore è finito, solitudine, cose da pagare, cose da fare, il telefono scarico, una doccia da aggiustare e gocce da aumentare.
Un pop malinconico e dolce-amare, un sentimento che ti fa prendere al bar uno dei drink più aspri sul mercato che, guarda caso, si chiama malegria. I proprietari dei locali farebbero fior di quattrini se solo spiegassero le situazioni perfette per scegliere uno dei drink in lista ma forse sono troppo occupati a comprare alcol scadente.
Una scrittura ai limiti del teatrale, un pop triste ed autoironico, una storia privata ma universale, un brano uptempo e cantautorale. Si aprono così le porte della stagione più odiata da chi al sole si scotta solo.
(Viola Santoro)
Cimini: 8
Don Pablo
“Don Pablo” non è solo una canzone, è uno stato mentale. Un flusso sincopato di immagini e sensazioni in cui convivono cuori incendiati, colpe mute e desideri fuori controllo. Il beat è crudo, il testo è spietato e sincero, attraversato da un’ironia tagliente che ne amplifica l’energia e la libertà espressiva.
“Non ti ami? Perfetto. Nemmeno lui.
Don Pablo è il singolo per chi si gioca l’anima a poker, per chi si nasconde dietro un drink e poi si accende da solo. Sesso, silenzi, sensi di colpa: tutto a tempo di dance anni ’90.
Questa non è una canzone d’amore. È una bomba emotiva con la miccia accesa.”
(Zebra TSO)
Con “Don Pablo”, gli Zebra TSO confermano il loro stile distintivo: un mix di rap, pop e attitudine punk, dove tutto è lecito e ogni emozione trova il proprio spazio. Con voce, basso distorto collegato a un octaver e batteria e l’identità di due terzi della band nascosta dietro maschere di zebra, la band mira a sottolineare che l’attenzione deve rimanere concentrata sulla musica, cruda ed energica, una vera e propria espressione viscerale di sfida contro tutto e tutti per affermare la propria indipendenza e individualità.
Zebra Tso: 7.5
Colpo di fulmine
Basta poco, anzi, pochissimo. Le traiettorie di sfiorano, il battito cresce, la voglia di sparire aumenta sempre di più, la sua ombra si rimpicciolisce, alzi lo sguardo e te la trovi di fronte. Siamo sulle nuvole, le mani tremano e le labbra sono violacee.
Chitarre e martelletti di pianoforte, un brano frizzante e fresco che riesce perfettamente a descrivere quella sensazione così dannatamente insopportabile ma bellissima: il colpo di fulmine.
Voi che dite, esiste? Io credo di sì, suppongo pensi lo stesso anche Peter White che, intanto, dopo l’uscita dell’ Ep “Aperitivo”, si riconferma una delle penne stabili della nostra scena musicale.
(Viola Santoro)
Peter White: 7,5
Sasso
Essere sospesi per rivedere la terra sotto i piedi. Avanzare piano su un filo che sta per spezzarsi. Rompere ciò che non può essere riparato.
Un brano in cui elettronica, sperimentazione, spoken music e canto riescono a conciliarsi perfettamente, creando un mood che è totalmente in linea con la concezione di Kyoto. Parole ed immagini che fanno un testa a testa, si rincorrono, si scontrano, creano equilibri e dissonanze che noi percepiamo in tutti i loro colori.
Un vuoto necessario, che apre spazio per la rinascita. Un inno alla sospensione. Perdersi per poi trovarsi.
(Viola Santoro)
Kyoto: 7
Groviglio
“Groviglio” è una confessione stonata ma sincera, dove l’amore si presenta confuso, spezzato, eppure autentico. La scrittura diaristica si intreccia con arrangiamenti scarni e una chitarra distorta che, nel lungo finale strumentale, sembra voler dire ciò che le parole non osano. C’è una dolcezza sghemba nel raccontare il disorientamento dei sentimenti, che lascia spazio a una malinconia quasi infantile. “Groviglio” è un piccolo naufragio in cui perdersi fa quasi bene.
(Ilaria Rapa)
Gionata: 8
cerotto
alaska firma una delle sue pagine più intime e raffinate: “cerotto” è una ballata delicata che sussurra ciò che spesso non si riesce a dire. Il brano è un patchwork emotivo cucito con immagini nitide e quotidiane, che diventano universali. “cerotto” non lenisce, ma protegge: è la colonna sonora perfetta per chi sa che certe ferite non vanno dimenticate, ma portate con sé.
(Ilaria Rapa)
alaska: 7,5
Jazz Carnival
I Calibro 35 hanno lanciato il loro nuovo brano “Jazz Carnival”, il terzo estratto che anticipa il prossimo album “Exploration”, in uscita il 6 giugno.
Questa volta si immergono nel funk brasiliano degli Azymuth, creando una furiosa galoppata che omaggia gli anni 70’, un periodo di forti sperimentazioni musicali.
Il groove irresistibile e il tema memorabile del brano originale vengono reinterpretati con intensità e passione, creando una versione energica, che non lascia il tempo di respirare.
“Jazz Carnival” dei Calibro 35 è un tributo vibrante e dinamico ad un’epoca di esplorazione musicale e promette di essere un highlight del loro prossimo album.
(Benedetta Rubini)
Calibro 35: 8,5
Carducci
“Carducci” è una lettera diretta a chi si sente fuori rotta rispetto al mondo, ma sceglie comunque di restare fedele a sé stesso.
Il bravo ci racconta di quel momento sospeso tra l’adolescenza e l’età adulta, in cui è necessario sognare in grande per resistere.
Creta riesce a trasmettere la fatica e il coraggio di crescere, di rimanere sé stessi anche quando le cose prendono una piega diversa.
La ripetizione di “Guai” sottolinea le difficoltà e le sfide che tutti incontrano crescendo, mentre “Ho ancora gli occhi viola, tu sogni tra le lenzuola”, suggerisce il desiderio di mantenere la propria identità e i propri sogni, nonostante le avversità.
“Carducci” è un brano capace di parlare a tutti gli adolescenti che si sentono fuori posto, offrendo un messaggio di speranza e di resistenza.
(Benedetta Rubini)
Creta: 8
Phantom Favola (Album)
“Phantom Favola” è un disco che sa di strade deserte d’estate, motorini accesi e sogni ingombranti.
È il racconto di una rinascita, silenziosa ma indispensabile. Ogni brano sembra una cartolina sbiadita da un’adolescenza passata a immaginare la vita adulta, con tutto il carico di ironia, stanchezza, amore e malinconia che si porta dietro.
Il sound si fa denso, pieno di chitarre elettriche che spingono e si ritirano, creando una dimensione in cui tutto si fa fragile e vero. I riferimenti musicali che hanno cresciuto la band si fanno colonna portante dell’album, tra alternative americano, indie italiano e suoni hip hop rarefatti. Un mix di influenze reinterpretato in chiave moderna e audace.
La scrittura resta pop, ma il modo in cui viene trattata è viscerale, senza maschere, cercando di dire solo ciò che conta, nel modo più diretto e sincero possibile.
C’è un filo narrativo che lega ogni canzone: la voglia di lasciarsi alle spalle una versione di sé ormai irriconoscibile, per ritrovarsi da capo, più autentici, più liberi.
È un disco che parla di formazione e crescita, con uno sguardo a volte dolce a volte disilluso. Ogni pezzo racconta della fatica di diventare adulti quando nessuno ti ha mai davvero spiegato come si fa e della voglia di lasciarsi alle spalle una versione di sé in cui non ci si riconosceva più, per ritrovarsi da capo, più autentici, più liberi.
“Phantom Favola” è il viaggio di chi, per tornare a casa, ha dovuto prima perdersi davvero.
(Serena Gerli)
Belize:8 +
Notturno (Album)
“Notturno” è un disco che non ha paura di sporcarsi le mani né di fare domande scomode, ma che lo fa con una grazia ruvida, che sa accarezzare e graffiare nello stesso respiro. Non è un album da mettere in sottofondo: è una colonna sonora da attraversare tutta, dall’imbrunire fino a un’alba incerta ma inevitabile.
Il sound spazia da un jazz che scalpita e si contorce, al rap che pesta duro e senza tregua, all’elettronica che avvolge e disturba. Ogni elemento contribuisce a trasmettere un’urgenza emotiva che pulsa sotto ogni traccia. Il suono è ricercato, complesso, quasi ipnotico, rendendo l’ascolto quasi fisiologico.
La scrittura è densa, visiva, tagliente. Una narrazione cinematografica viva, a tratti teatrale, ma mai forzata. Si entra nei brani come si entrerebbe in un sogno disturbato, o in un incubo lucido.
In un momento in cui tanti artisti preferiscono semplificare per essere più accessibili, gli Studio Murena fanno l’opposto: complicano, stratificano, chiedono tempo e attenzione. E si fanno ricordare proprio per questo.
Un lavoro moderno, coinvolgente, strutturato e maturo, in grado di trasportare e lasciare il segno.
(Serena Gerli)
Studio Murena:8,5
Forse un giorno (Album)
Il primo album di Gioia Lucia non chiede il permesso, entra in punta di piedi ma con voce chiara, e si prende il suo spazio.
“Forse un giorno” è un disco di formazione in tutti i sensi: non solo perché è il debutto di una cantautrice giovanissima, ma perché ogni traccia sembra voler mettere ordine, fare luce, tra i frammenti sparsi dei primi vent’anni, quelli in cui tutto sembra iniziare e finire nel giro di pochi respiri. Il titolo è un invito a lasciare le cose in sospeso, a non dover sempre avere una risposta. E Gioia Lucia sa stare nell’incertezza senza affondare.
La scrittura è diretta e mai banale, i brani scorrono come pagine di un diario, tra confessioni sussurrate appena, corse a perdifiato per stordirsi un po’, momenti in cui non si può far altro che stare ferme nel dolore e altri in cui ci si accorge che, in fondo, si è ancora vivi. Gioia Lucia scrive per davvero, con un’urgenza tenera e autentica, e sa farsi ascoltare senza alzare mai la voce.
Musicalmente, l’album è un vero mosaico: pop, elettronica leggera, accenni r’n’b e qualche sfumatura puramente indie convivono senza stonare, legati da una produzione sobria e attenta. La voce, fragile e limpida allo stesso tempo, si muove tra le parole con una sincerità disarmante.
Il primo album di Gioia Lucia non chiede il permesso, entra in punta di piedi ma con voce chiara, e si prende il suo spazio.
“Forse un giorno” è un disco che sembra uscito da una stanza reale, abitata e vissuta. E quando finisce resta la voglia di riascoltarlo da capo, per vedere se nel frattempo siamo cambiati un po’.
(Serena Gerli)
Gioia Lucia: 8
RADIO DIMENSIONE SOFT
RADIO DIMENSIONE SOFT confonde e ammalia perché più che una canzone da radio sempre la radio per una canzone. Dylan Cat si presenta con questo brano notturno, intimo e misterioso dentro il quale usa le parole per farsi conoscere, ma anche per nascondersi dentro l’artista.
Sullo sfondo di una notte che sembra non finire mai, può succedere di tutto, l’importante è rimanere svegli senza troppe distrazioni. Viene voglia di entrare dentro questo pezzo per coglierne le sfumature, lasciandosi trasportare dentro un viaggio tra i sentimenti e il non detto.
Viene naturale alzare il volume e continuare ad andare verso le nuove strade che ci farà esplorare quest’artista tra insolite avventure e vecchie storie che tolgono il sonno.
(Nicolò Granone)
Dylan Cat: 8
Ospiti
Alla fine hai ragione tu.
Gli altri giudicano senza sapere, perché non vivono le nostre stesse esperienze. Ogni nostro momento è un insieme di cose, camere affollate di ospiti inattesi che possono portare scombussolamenti positivi o negativi a seconda della loro simpatia. Ogni persona può scegliere di prendere una strada, sedersi al tavolo e iniziare a parlare, non può però avere il pieno controllo dell’interlocutore, anche lui somma di paura e desideri.
Ci sono giornate grigie, tutte uguali, mentre altre possono prendere delle svolte improvvise. Non si può vivere a priori, bisogna lasciarsi andare dentro l’azione del tempo.
(Nicolò Granone)
Nularse: 9
Come stai
La matematica non è opinione mentre le emozioni possono avere diverse sfaccettature. Come stai dei Flowers For Boys è un dialogo tra due persone che hanno qualcosa in comune nonostante molte diversità e forse non sanno se davvero hanno voglia di trovare un punto in comune per andare d’accordo. C’è qualcosa che turba i loro dialoghi, ma c’è una forma di curiosità che rende tutto instabile e intrigante.
Oltre le convenzioni, vince la sincerità che a tratti può far davvero male, soprattutto se ha una domanda di circostanza si risponde, in maniera meccanica, tutto bene e tu?
(Nicolò Granone)
Flowers For Boy: 7,5
Stupida
Stupida è un canto libero di leggerezza che scherza con il cuore e con i suoi equilibri precari. Vai o rimani qui ancora un attimo che forse avrò bisogno di te anche stasera, ma voglio godermi il momento senza pensare troppo. Si cercano spesso delle scuse per trovare una ragione e dare un senso ai rapporti, però sarebbe più folle vivere lasciando perdere tutto il resto.
La felicità ha un prezzo, vivere di rimpianti però non fa bene a nessuno, anzi. Sfruttiamo l’invito di Bolena a essere anche più ingenui, pronti però per danzare insieme a chi vogliamo.
(Nicolò Granone)
Bolena: 7,5
Hard to breathe
“We are generation brought by fear (…)” Giudi fa una perfetta sintesi della sintomatologia di questa generazione portata ad avere paura. A soffocare. A inseguire qualcosa che non sa se sia quella giusta. Uno sforzo eterno, una “difficoltà a respirare” che rende “fantasmi affamati”. Una ricerca di stabilità che non arriverà mai.
La musica è inquietante, un battito cardiaco in agonia. La voce di Giudi è prima un sibilo soave, poi un letale sussurro nell’imitare il nostro soffocamento. Siamo impauriti dai media che ci ostiniamo a seguire. Chi è nato ieri è minaccciato da disastri climatici e bellici non certo per colpa sua. E in più, prima di cercare la propria realizzazione, deve riuscire a sopravvivere.
Ipnotica, suadente, malinconica e schietta. La voce da dentro il bunker che ci salva e ci soffoca, accompagnata da uno straniante accompagnamento elettronico.
(Stefano Giannetti)