Alessandro Ragazzo: “Città invisibili e storie reali” | Indie Talks

PH: Ufficio Stampa

Alessandro Ragazzo: “Città invisibili e storie reali” | Indie Talks

Ci sono luoghi che cambiano significato a seconda del momento in cui vengono esplorati, esistono città che all’inizio incuriosiscono e poi diventano una prigione dalla quale si cerca di scappare. Ci sono rapporti che nascono in piazza e pian piano diventano vicoli talmente stretti dove non si riesce più a passare in due.

“Tutte le nostre città” è una mappa sentimentale dove Alessandro Ragazzo vuole inizialmente mettere dei confini, rendendosi poi conto che con la musica si può andare ovunque, dato che  il suono e le parole creano così una nuova dimensione.

Il reale si confonde così con la fantasia e il ricordo diventa una cartolina utile a ripensare al passato, e allo stesso tempo si anima sempre più di dettagli che solo il tempo può far emergere.

 

ALESSANDRO RAGAZZO X INDIE TALKS

Quali sono le tue città?

Direi che le città fisiche di questo disco sono sicuramente Venezia, il luogo da cui sono partito e dove infine sono tornato, e Roma, dove questo disco è nato e cresciuto.
Le città emotive, invece, sono la malinconia, la speranza, l’amore e la nostalgia.

Come stanno i protagonisti che abitano dentro i tuoi brani?

Vivono esperienze, sentono emozioni. Quindi sono vivi, e questa è l’unica cosa che conta.

PH: Ufficio Stampa

Per andare oltre, cosa bisogna mettere in valigia?

Mah, io credo che per andare avanti bisogna portare tutto con sé, il bene e il male,  dentro la nostra valigia. Perché spesso è sulle macerie che costruiamo. E senza le nostre sofferenze, non potremmo mai davvero raggiungere la serenità.

La musica può coprire distanze infinite?

Assolutamente sì. Ne abbiamo continuamente la prova.

Con quale artista che non conosci ti piacerebbe partire per un viaggio?

Vorrei andare a pescare con John Frusciante.

Sei più proiettato al domani o ti piace ripensare al passato?

Sicuramente la nostalgia e il passato hanno un grande fascino per me. Mi chiedo spesso perché tutto ciò che è già accaduto assuma sempre una forma poetica nella mia mente.

Hai mai sognato una vita altrove?

Spessissimo. Ovunque.

Ti sentiresti più in prigione in un grattacielo in centro o in una casetta sperduta chissà dove?

Non saprei rispondere con certezza, perché, come racconto anche nel disco, dipenderebbe molto da come mi sento in quel momento. In entrambi i casi, però, è possibile che dopo un po’ mi sentirei in prigione, con il bisogno di cambiare o di scappare.