Egon: L’arte serve a conservare i momenti | Intervista
Qualche anno fa ho visto il film dedicato al pittore austriaco Egon Schiele e ne sono rimasto piacevolmente affascinato. Adesso ho avuto il piacere d’intervistare gli Egon, una band che già dal nome vuole omaggiare questo grande artista del 900, morto molto giovane.
Amano definire la loro musica come oscurità luminescente, pregnante di sonorità elettriche, che si nutre di luce per alleviare il buio e urla al cielo per capovolgerlo alla terra.
Nei loro testi si racconta di poesia, arte, ma soprattutto del tempo che passa, portandosi dietro le nostre vite. A tratti la voce quasi sussurrata diventa il mezzo per provare a dare consigli mentre in altre occasioni la rabbia esplode in urla liberatorie.
L’ultimo disco, Leight, è composto da 9 canzoni che sfidano l’insostenibilità del vivere, ricordando alcuni momenti o giornate che non saranno mai uguali ad altre. La musica per gli Egon non è solo un modo per esorcizzare le paure, ma è una scelta orientata a prendere consapevolezza di se stessi, senza trascurare il fatto di essere uomini fragili davanti al destino.
INTERVISTANDO GLI EGON
Il vostro nome è un omaggio al pittore Egon Schiele, cosa vi affascina in lui?
Egon Schiele è stato uno dei più importanti esponenti dell’espressionismo austriaco, un artista che, nonostante la sua prematura scomparsa a soli 28 anni, ha descritto con le sue opere i tormenti e le malinconie dell’animo umano. I suoi dipinti con le loro figure scheletriche e contorte entrano fin dentro agli occhi, per portarti in una realtà che pochi vedono, una realtà fatta di solitudini, di bellezza, di un erotismo quasi senza gioia, incarnato da corpi smunti e nudi di donne e uomini raffigurati in pose quasi innaturali. E nonostante questa apparente decadenza morale, ogni suo dipinto emana una luce forte, espressiva, sociale e politica. Rainer Maria Rilke in un verso di una sua poesia diceva: Lascia che uno nell’altro si sprofondino, per resistersi, quasi a descrivere una delle opere più famose di Schiele, L’abbraccio.
Scegliendo Egon come nome per la nostra band, abbiamo voluto così rendere onore a un grande artista del ‘900.
Il cielo rosso è nostro, 100000 km di vene e Leicht sono i vostri tre album. Quali sono le principali differenze tra i vari lavori e come siete cambiati con il tempo?
La nostra musica si colora di sfumature dark, noise e folk, ma allo stesso tempo non è rinchiusa dentro nessuna di esse in particolare. Ogni disco ha la sua impronta musicale caratterizzante, che è dettata anche dalla scrittura dei testi.
Il cielo rosso è nostro, il nostro album d’esordio, esprime un’oscurità luminescente con parole che si nutrono di luce per alleviare il buio.
Il secondo, 100000 km di vene, è un disco sanguigno, dove abbiamo usato l’impetuosità dei suoni elettrici per rivelare la condizione umana per quello che è realmente, siamo fatti di cellule, impulsi e sentimenti, a volte invisibili e di passaggio.
Il nostro ultimo disco Leicht, pubblicato sempre per la Mizar Elektric Waves, il 23 febbraio 2019, rispetto agli altri, è un disco a tratti glaciale e molto più esplicito dal punto di vista dei testi. Fin già dal titolo, che in tedesco significa leggero, si intuisce quella leggerezza dell’essere scritta nel romanzo di Milan Kundera, non siamo mai pronti a nulla, non sappiamo mai quale sia la decisione migliore da prendere.
Vi voglio fare una piccola provocazione. La lingua inglese si adatta bene al rock, ma in italiano i concetti risultano più efficaci, diretti e senza dubbio fanno più male. Che ne pensate?
Credo che ogni lingua sia adatta al rock, o a qualsivoglia genere. Il fatto che si usi l’inglese è molto spesso un’abitudine uditiva, e forse anche uno stratagemma per via della sua forza di essere una lingua abbastanza semplice e compresa praticamente in ogni angolo della terra. Tuttavia se canti in inglese e suoni per lo più in Italia, non tutti capiranno fino in fondo ciò che canti, non ne noteranno esattamente le sfumature e la cosa che eventualmente rimarrà più impressa sarà la musica e non le parole. Scegliere l’italiano per noi ha significato dare l’esatto peso alle parole e alla musica che suoniamo, senza disdegnare l’uso dell’inglese o di altre lingue, che rispetto alla nostra hanno differenti sonorità vocali, e qualche volta l’uso è più congeniale dell’italiano.
Chi sono i Nottambuli e qual è il significato del video?
La canzone come il video sono ispirati a una delle opere più famose del pittore americano Edward Hopper, Nighthawks. Viviamo un tempo dove ormai la solitudine irrompe dentro le nostre vite, e molto di quello che ci circonda è causa di questo stato di cose. È proprio come dentro i quadri di Hopper, Nottambuli mette a nudo il senso di vuoto di un mondo a tratti troppo patinato e luccicante dove l’apparenza ha preso il sopravvento su tutto il resto. Abbiamo smesso di individuarci dentro noi stessi, dentro la nostra realtà e diventati sensibili a ogni cambio di luce.
Leggendo la tracklist di Leicht si notano subito 5 date. Sono collegate tra di loro?
La necessità di dare come titolo a certe canzoni una data precisa, senza però specificare l’anno, mi è venuto in mento dopo aver visto il film di David Lowery, A Ghost Story.
Le canzoni di Leicht, sono come i foglietti di carta della protagonista del film, interpretata da Rooney Mara, con qualcosa di scritto sopra, piegati piccoli e nascosti in qualche intercapedine di una porta, cose da ricordare, un pezzo di noi lì ad aspettare. Le date ineluttabilmente ci appartengono, e ogni giorno è differente dall’altro, perché come ha scritto Fernando Pessoa: Ogni giorno è il giorno che è, e non ce n’è stato un altro uguale al mondo. L’identità è solo nella nostra anima.
La musica è la vostra Via di fuga?
La musica è uno degli strumenti imprescindibili e necessari per vivere le nostre vite. Le vie di fuga sono altre, e non sempre sono da prendere in considerazione, perché alla fine quando qualcosa si rompe e non funziona più come un tempo, quando le ferite della vita ci fanno sanguinare, o quando cadiamo in picchiata nel vuoto e ci rialziamo dopo ogni schianto polverizzati, la resa appare la sola scelta inevitabile. Invece l’unica via di fuga è restare, ed essere altro da sé, per non essere oggi il cadavere vivo di ciò che ieri è stata la vita perduta, perché non saremo mai come prima, non saremo mai come allora.
Che quadro o poesia dedicheresti alla Sardegna?
La Sardegna è fuori dal tempo e dalla storia ha scritto David Herbert Lawrence. E forse questa affermazione ha ragione d’essere anche nel nostro tempo. La Sardegna è una terra che ti abbraccia e ti protegge come fa un madre premurosa con i propri figli, ma è anche un’isola, e questo ti dà una sensazione di distacco, non solo dal punto di vista geografico, ma soprattutto da un punto di vista emotivo e interiore, un senso di abbandono e di silenzio che solo chi è nato e vissuto su questa terra può comprendere appieno.
Più che dedicare un quadro o una poesia, vi consiglio di leggere qualcosa di Sergio Atzeni e Francesco Masala o scoprire artisti come Costantino Nivola, giusto per citarne alcuni, e se ancora non ci siete stati, venite in Sardegna e lasciatevi trasportare dall’energia di questa terra millenaria.
Vi ringraziamo per questa bella intervista, un saluto dagli Egon a tutti i lettori di Indie Italia Magazine, a presto!
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.