Pastello bianco | Indie Tales

Ci sono persone le cui strade sono inesorabilmente destinate a incontrarsi. Non mi piace parlare di destino o di strane congiunzioni astrali, semplicemente succede e difficilmente è una cosa che si può ignorare. 

Mi ricordo il primo giorno delle elementari, quando ero solo una bambina con le treccine e la testa piena di sogni. I banchi disposti a ferro di cavallo e tu eri seduto casualmente di fronte a me, con quei capelli spettinati e gli occhi ancora assonnati. Chi l’avrebbe mai detto che saresti diventato così importante.
Eri proprio un bambino insopportabile i primi tempi, il classico bulletto sempre pronto a infastidire chiunque, soprattutto le bambine e io non ero esclusa. 
Una cosa però mi aveva colpito particolarmente; gli altri ti prendevano in giro per questo, ma io mi sono trovata fin da subito estremamente incuriosita. Riempivi interi fogli di disegni astratti (o almeno così credevo), fatti però rigorosamente con la matita bianca. Tutti pensavano non avesse senso, io però la trovavo una cosa curiosa, quindi prendevo le mie matite e coloravo sopra quelle buffe righe che tracciavi. Quei disegni galeotti ci hanno fatto avvicinare in un modo che non mi sarei mai aspettata.

Solo quindici anni dopo mi hai rivelato che lo facevi proprio perché speravi disegnassi con te e vent’anni dopo tengo ancora con estrema cura e attenzione i pastelli bianchi, in mezzo al casino del materiale per l’Accademia. 

Dopo le elementari ci sono state le medie, periodo da dimenticare per almeno metà delle persone, ma non per me, che al mio fianco avevo sempre te. Mi ricordo benissimo le punizioni condivise perché non avevo il coraggio di confessare i dispetti che facevi a compagni e insegnanti, con lo stesso codice d’onore dei serial killer interrogati all’FBI. Sono sempre andata fino in fondo con te.

Il silenzio c’era sempre stato tra noi, ma non quel silenzio imbarazzante. Semplicemente sapevamo stare insieme senza avere un bisogno costante di dire qualcosa. La nostra era un complicità che andava oltre qualsiasi convenzione sociale. 

Poi il liceo: io all’artistico, tu allo scientifico. I messaggi che diventavano sempre meno frequenti, gli impegni ci portavano sempre più lontani l’uno dall’altra. Ad un tratto più niente, almeno fino ai diciott’anni. 
Che poi io non ci volevo nemmeno andare a quella festa, ero stata convinta dalle mie amiche. “Un paio d’ore e torno a casa” avevo detto. Poi però ti ho visto al bancone del bar, con una birra in mano e i soliti capelli spettinati.
Ci hai impiegato un po’ a riconoscermi, ma poi mi hai abbracciato come se quei quattro anni non fossero mai esistiti. Di nuovo le nostre strade si incrociavano, stavolta più lastricate rispetto alla prima volta.

Eravamo cresciuti e con noi il nostro rapporto. Ci era voluto un po’ di tempo, una cinquantina di caffè e una ventina di cene, per riuscire ad ammettere a me stessa che non ti vedevo più solo come il bambino dispettoso che rubava gli astucci. Eri diventato un tassello fondamentale della mia vita e insieme ci completavamo, senza bisogno di etichette o dichiarazioni ufficiali.

Facevamo impazzire i camerieri ti ricordi? Con le litigate per il conto da pagare. Ogni volta ridevo, complice anche la banalità delle nostre ordinazioni. Coca cola per te e tisana thai per me, ogni volta, quasi fosse una tradizione da rispettare rigorosamente.
Sapevi riconoscere tutti i miei stati d’animo, senza che io ti dicessi niente. D’altro canto io conoscevo i tuoi, anche quando fingevi di stare bene e ti giustificavi con quelle frasi del cazzo che facevano ridere solo te. “Non sto piangendo, sto solo togliendo il mare dagli occhi”, era la più ricorrente, e forse anche la più ridicola.
Erano i piccoli gesti quelli che apprezzavo di più, come il fatto che dopo anni il mio nome fosse ancora la tua password del wifi. Speravi non lo scoprissi mai, anche se in realtà lo so da sempre. 
Non sono mai mancate nemmeno le tue prese in giro, specialmente su quanto fossi stonata sotto la doccia. Ovviamente per ripicca cantavo più forte ogni volta, perché non potevi mai averla vinta.

Adesso è tutto diverso. Mi guardi negli occhi e mi dici che non devo rimanerci male. Mi asciughi le lacrime mentre cerchi di convincermi che “non è un addio, è solo un bye bye”, perché gli addii sono troppo seri e non ti sono mai piaciuti. La realtà è che mi stai lasciando, stai partendo senza di me per andare chissà dove a “cercare te stesso”.

Forse è vero che le nostre vite sono in qualche modo legate e che saremo destinati a incontrarci di nuovo, un giorno. Lo scopriremo magari tra un anno, due o forse dieci. 
Per adesso ti auguro il meglio, i cieli stellati e le notti migliori. Io invece continuerò a stonare sotto la doccia e a disegnare usando tutti i miei colori, sperando di rivedere ancora quelle linee bianche, perfette per completare le mie.

Un racconto liberamente ispirato al brano “Pastello bianco” dei Pinguini Tattici Nucleari.