Apice: “Sto male” è un po’ come i “ti amo” | Indie Talks

APICE è uno di quegli artisti che non ha paura di esporre i propri sentimenti, parlando di malinconia mentre mette a nudo le fragilità umane. È la somma delle sue domande senza riposta, la voce del suo masochismo che fa a pugni con tutto ciò che è abusato.

Cadere, farsi male, con lividi e cicatrici che ci rimangono addosso come se fossero un promemoria per i nostri sbagli e per i consigli ai quali, con orgoglio e fermezza, ci siamo rifiutati categoricamente di seguire.

Poi ci si rialza, si ritrova il sorriso fino a che non ritorna come un dejavu un nuovo periodo nero che ci sbalza qua e là, spingendoci ancora una volta a terra.

Ci sono momenti in cui i nostri desideri scoloriscono sempre di più, trasformandosi in periodi neri spettacolari solo per chi riesce a trovare nuove energie, sfruttandoli come scusa per prendere la rincorsa e buttarsi con più decisione nel caos della vita.

A volte però si ha vergogna a pronunciare la parole depressione o dire che non si sta bene, quando invece bisognerebbe essere onesti soprattutto con se stessi.

In questo periodo, durante una pandemia, mi sembra di aver perso le chiavi per aprire il cassetto nel quale una volta ho chiuso io i miei sogni, e mi sembra di precipitare giù. Non ho paura di ammetterlo e devo ringraziare APICE che è riuscito a trasformare questi sentimenti in canzoni che mi cullano lasciandomi appeso tra la gioia e il dolore.

 

APICE X INDIE TALKS

Cos’è l’attimo eroico del tuo precipitare?

La condizione d’essere della quotidianità di tutti, credo. E per quotidianità intendo quella ginnastica di piccoli salvataggi giornalieri che ci aiutano ad evitare il crollo. E direi che continuare a perseverare nel resistere sia già di per sé qualcosa di eroico.

A volte abbiamo paura di dire che non stiamo bene?

Io personalmente no. In passato, ne ho avuta, sì. Poi sai, oggi c’è il problema di questa melanconia generazionale, che credo essere fortemente reale e preoccupante su più livelli; ad esempio, nella misura in cui regala un dato identitario, quasi uno scopo malato, ad una generazione che d’identità, oltre al culto di questo disagio, non ne possiede.

Non lo so, io non ho paura a dire che non sto bene, ho paura del fatto che un giorno potrei non avere più nessuno a salvarmi. “Sto male” è un po’ come i “ti amo”: dopo averne ascoltati e detti troppi, cominciano a perdere valore per te quanto per i tuoi interlocutori. 

Hai mai perso la speranza?

Sì, ogni cinque minuti. Poi mi passa. Per fortuna.

Per Jovanotti “La vertigine non è paura di cadere ma voglia di volare”. Cosa ne pensi di questa filosofia?

Che dipende, e da tante cose. Per esempio da quanto costerebbe la caduta, da cosa scappi, perché devi saltare. Guarda, io non sono un grande amante del rischio e il fascino adrenalinico della vertigine non l’ho mai subito. Però credo che in qualche modo, come ti dicevo prima, siamo tutti impegnati a riprenderci da cadute, aspettando di volare.

A Jovanotti voglio bene perché è un idolo, e vorrei essere bello quando sorrido come lo è lui. Ma io ho perso i capelli a sedici anni e sono sempre stato un amante della caduta agonistica, più che dell’aerobica e del volo.

Preferisci mostrare le tue “Crepe” o meglio nascondere i “Lividi”

Le crepe sono fondamentali, è l’unica via che possiamo offrire a chi amiamo per affacciarsi su quello che sta sotto. Mi piace pensare alle crepe come a degli spioncini, ecco.

Stesso discorso vale per i lividi, con i quali ormai ho una relazione di convivenza tollerante. Oltre ad essere un asso delle cadute, ho sempre avuto un certo talento anche nella lotta agli spigoli. Quelli che porto ad un livello più profondo, sono lividi di cui non posso proprio fare più a meno, ad esempio. E se scompaiono, me li ri-procuro.

Certe cose, certe sensazioni non te le dimentichi più, perché dimenticarle sarebbe un errore, un attentato alla tua sopravvivenza. Cosa siamo dopotutto senza l’esperienza?

Cosa ti hanno insegnato gli errori?

A sbagliare, con consapevolezza.

Chi scrive canzoni d’amore cerca perdono o conforto?

Credo cerchi confronto. O conforto. Io perdono l’ho chiesto un sacco di volte, ma mai attraverso una canzone. Roba davvero melensa, troppo, anche per me.

L’estate è la stagione degli errori e l’inverno delle sue conseguenze?

Io credo alla stagione dell’amore che viene e va, e ai desideri che non invecchiano (quasi mai) con l’età. Gli errori sono modi di intendere qualcosa che è successo, e non per errore. Quello che resta è il desiderio di continuare ad inciampare, per dimostrare a noi stessi di saperci rialzare, quel precipitare eroico di cui parlavamo qualche interessantissima domanda fa. Io poi sono molto affezionato ai miei errori, mi tengono una rumorosissima compagnia.