Luciano Nardozza

Luciano Nardozza: “E’ ancora tempo di concept album?” | Intervista

Luciano Nardozza ha appena pubblicato il suo terzo album “Ciò che non devi sapere“. Un’immersione nella psiche individuale e collettiva, tra dinamiche che spesso ignoriamo.

Luciano Nardozza ha ideato un concept album in 14 capitoli che unisce la musica alle scienze psicologiche, sociali e della comunicazione. Un nuovo lavoro con cui Luciano Nardozza si distacca nettamente a livello stilistico dai dischi precedenti, racchiudendo in chiave inedita influssi del pop, del rock, della musica elettronica, del cantautorato, del rap e del prog, con sonorità epiche e moderne al tempo stesso, sempre orecchiabili e “universali”.

“L’essere umano vive in una prigione senza sbarre nella misura in cui gli sono ignote certe dinamiche a livello macro-sociale. Per neutralizzare ciò che limita le nostre scelte bisogna prima conoscerlo. La luce della consapevolezza è già sufficiente per ridurre la pressione che le zone oscure della psiche individuale e collettiva esercitano sulla nostra interiorità”.

INTERVISTANDO LUCIANO NARDOZZA

Che valore pensi possa avere, al giorno d’oggi, un concept album?

Un concept album ha lo stesso valore di un libro, di una storia che necessita di un inizio, di un corpo e di una fine. Lo so, siamo a abituati a fruire della musica in modo frammentario. Un singolo, un featuring, una raccolta di brani scelti perché “funzionano”. Per alcune canzoni va bene così, sono storie in sé, compiute. Altre volte c’è bisogno di più spazio. Non credo si scelga di fare un concept album. A un certo punto, dopo aver composto la prima canzone, è venuta fuori la seconda, poi la terza e così via. Il tutto in pochissimo tempo. Si può dire che io non l’abbia deciso.

Hai scritto, arrangiato, registrato Ciò che non devi sapere in totale autonomia. Come mai hai scelto di fare “tutto da solo”?

Anche qui, è qualcosa che è venuto da sé. Questo disco è stato concepito e creato, nelle sue parti fondamentali (tematiche, armonie, ritornelli, riff) in un’ora, il giorno 11 aprile tra le h.17 e le h.18. Quello che mi trovavo tra le mani desiderava vedere la luce al più presto. Non è stato un disco pianificato, anzi, fino a quel giorno stavo lavorando a un altro progetto che sarebbe dovuto uscire di lì a pochi mesi. Però, vista l’urgenza e la freschezza di questo materiale arrivato così dal nulla, mi sono buttato a capofitto in questo nuovo disco per creare ciò che mancava.

Era naturale che scrivessi io testi e musica, come ho sempre fatto del resto. Nnella testa avevo già tutto chiaro. Per quanto riguarda l’arrangiamento e la produzione, anche lì, avevo un suono in mente che ho cercato di portare fedelmente in studio, nel più breve tempo possibile ma allo stesso tempo con grande dedizione. Non avrei avuto tempo e modo di spiegare a qualcuno il sound che desideravo, era troppa la spinta, il desiderio di vedere nel mondo delle forme quel qualcosa che esisteva per ora soltanto altrove. Così ho registrato basso, chitarre, voci, cori, tastiere e ho programmato il resto. A giugno avevo ultimato tutto.

Passi in maniera eclettica da un genere all’altro: come descriveresti la tua musica?

Non so descrivere la mia musica perché è un insieme di cose. Ti sembra che sia rock ma è anche pop. Poi c’è il rap, il prog, il cantautorato, l’elettronica. Scelgo l’etichetta giusta per descrivere quello che faccio a seconda della persona che ho davanti. Se vuoi che sia pop sarà così, se vuoi che sia rock, rock sia… Quando uno si approccia a un disco ha dei preconcetti; un metallaro per esempio il pop non lo ascolta, allora io gli dico che è metal, e a uno che ama la trap gli dico che è rap, così come a chi ascolta solo i cantautori gli suggerisco di ascoltarlo come un album cantautorale, perché in effetti tutto ciò è presente per davvero nel disco.

Per quanto riguarda il mio modo di comporre, di solito inizio in modo spontaneo. C’è qualcosa che preme dentro, che voglio comprendere più a fondo, qualcosa che mi fa stare malissimo o benissimo. A volte è l’amore, a volte la spiritualità, o un tema d’attualità. Nel caso di “Ciò che non devi sapere” si trattava della Psicologia delle folle, della manipolazione di massa ad opera di media, pubblicitari, governi, spin doctor ecc.
E non si tratta di teorie estremiste o astratte, qui parliamo di esperimenti scientifici replicati negli ultimi settant’anni. Dopo la mia laurea in Lingue e Letterature Straniere infatti ho studiato Scienze e Tecniche Psicologiche a Milano, e quella passione per ciò che agita la psiche dell’essere umano mi è rimasta. Proprio per questo, dopo l’input iniziale di questo disco, ho preso in mano i manuali di psicologia sociale per comprendere certe dinamiche che vedevo nel concreto, per spiegarle anche agli altri. È un disco diverso dal solito in questo senso, è una sorta di manuale.

Luciano Nardozza

Cosa ti ispira durante la composizione?

Prendi “Unanimità”, per esempio: parte dagli esperimenti dello psicologo Solomon Asch sul conformismo, unendoli alla piramide dei bisogni di Abraham Maslow. Quello che ne esce è il quadro dell’essere che abita la terra, sempre in bilico tra il desiderio di far parte del branco, di spegnere il cervello per seguire la massa e allo stesso tempo quello di realizzare se stesso, di andare per conto suo, di essere un individuo. Qualcosa di dilaniante.

Così come negli altri brani, in cui descrivo le tecniche usate da Goebbels, per esempio, ma anche nelle moderne campagne elettorali, negli spot pubblicitari e nei palazzi di governo di tutto il mondo, così come nelle nostre case, spesso inconsciamente. Sono tecniche universali di propaganda, come quella di dividere il mondo in bene e male, buoni e cattivi in un modo del tutto arbitrario al fine di creare una narrazione che porta a dividere le persone, mettendole l’una contro l’altra per compattare il branco verso una certa direzione.

L’album si chiude poi con la traccia “L’Antidoto”. Essa mostra la strada per uscire da tutto ciò, ribaltando le tecniche divisive per trovare la nostra integrità e l’unione profonda con gli altri esseri, andando a fondo in noi stessi, in quel luogo al di là del bene e del male dove esiste solo la pura Consapevolezza.

Hai già pensato ai prossimi live? Come ti approcci al concerto dal vivo?

I prossimi live si divideranno in session acustiche, in cui quest’album sarà spogliato della sua parte elettronica e verrà portato in giro nei luoghi più raccolti in una veste unplugged. Poi ci saranno i live in cui, con la formazione al completo, faremo del nostro meglio per portare il più fedelmente possibile il sound di “Ciò che non devi sapere”. Però il live è una cosa a sé. Se infatti uno vuole sentire esattamente il disco c’è già quello. Dal vivo puntiamo a veicolare una certa energia che può arrivare solo dalla musica suonata e dalla condivisione con il pubblico.

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