I Boschi Bruciano: “È il dovere di ogni essere umano aspirare ad un futuro migliore” | INDIE TALKS

Di Filippo Micalizzi

In un periodo in cui riuscire a trovare una propria identità risulta sempre più difficile, I Boschi Bruciano ce la mettono tutta. Mettendosi in discussione, ponendosi delle domande esistenziali e denunciando il lascito marcio di una generazione che ha banchettato senza pensare alle conseguenze del loro strafare. Il loro ultimo album “RISERVE” è il grido di una generazione che si è stancata di essere messa da parte, relegata in un limbo tra i paragoni con il passato e quel che ci si aspetta diventino in futuro, con la sola richiesta di essere per una volta ascoltati.

Di questo disagio, della noia e della lotta per un futuro migliore ne abbiamo parlato con loro in questo nuovo Indie Talks.

I BOSCHI BRUCIANO X INDIE TALKS

  • Nel vostro nuovo disco, “Riserve”, quella che si percepisce immediatamente è la necessità di farsi sentire. Secondo voi perché risulta così difficile comunicare il proprio disagio ed essere ascoltati dagli altri?

Viviamo nell’era della comunicazione. È così facile rendere pubblico il proprio pensiero, attraverso i social e internet in generale, che non ci si ascolta più! Se si parla del mondo della musica farsi ascoltare è difficile per le stesse ragioni. Pensate che ogni venerdì escono più di 150 singoli in Italia. Ormai c’è più musica in circolazione che persone interessate ad ascoltarla. Questo porta all’impoverimento delle tematiche, quando è così difficile essere presi in considerazione la maggior parte degli artisti cerca di non essere “scomoda” e di dare agli ascoltatori, e più spesso ancora agli addetti ai lavori, ciò che vogliono sentire.

  • Parlando di necessità di farsi sentire, voi lo avete fatto suonando con rabbia. Quali sono stati i vostri punti di riferimento per la creazione di questo disco?

A dire il vero non è solo la rabbia che ci spinge. Anzi c’è una gran voglia di riscatto nelle nostre canzoni, o almeno scrivendole abbiamo cercato di evidenziarla. RISERVE vuole essere un nuovo esordio, il manifesto di un nuovo sound, figlio di un cambio di formazione (da quartetto siamo diventati un Power Duo). Eravamo alla ricerca di chitarre rock da pogo sotto palco che non fossero le solite che si sentono in Italia. Guardando perlopiù all’estero ci siamo ispirati a progetti come Cleopatrick, Blue Stones e Two Feet al fine di portare un po’ di quella “freschezza” nell’underground del Bel Paese. Diteci voi se ci siamo riusciti.

  • Nei vostri brani è molto sentito il tema di una società che ci vede sempre più come degli atleti in continua gara contro il tempo e contro un avversario invisibile. C’è un modo per poter superare l’ansia nell’essere paragonati continuamente a qualcun altro?

Non lo sappiamo ma quotidianamente cerchiamo di venirne a capo. Forse bisogna solo organizzare meglio i propri pensieri. Fare una dieta della mente come consigliano molti saggi a oriente.

Può sembrare buffo detto così ma in un mondo che va sempre più veloce e dove il nostro cervello è continuamente bombardato da informazioni è importante prendersi cura della propria salute mentale. I piccoli successi vanno celebrati e gli errori perdonati, dobbiamo essere i primi sostenitori di noi stessi e fidarci un po’ di più del nostro istinto piuttosto che vivere la vita e i valori che ci sono stati insegnanti.

  • Se penso a brani come “Il mio futuro” o “Saranno altri” avverto un senso di disillusione nei confronti del mondo, siamo destinati ad arrenderci o vale la pena lottare per un futuro migliore?

Certo che bisogna lottare! È il dovere di ogni essere umano aspirare a un futuro migliore. Noi cantiamo la disillusione perché vogliamo denunciarla, vogliamo fare sapere che la nostra generazione non crede nel futuro e che ciò è assolutamente sbagliato e pericoloso.

  • In “Rosso” gioca un ruolo fondamentale il vostro rapporto con la noia, che vi porta a superare i limiti. Quando è positivo annoiarsi e quando invece finisce per diventare deleterio?

Credo che la noia di per sé sia sempre sbagliata. È un sentimento negativo. Chi non sta facendo niente e sta bene non dice che si sta annoiando, bensì che si sta rilassando e che è in pace. Noi intendiamo la noia come la mancanza di stimoli, al di fuori di quelli lavorativi, la mancanza di luoghi come live club, festival, centri sociali e discoteche. I giovani hanno bisogno di posti in cui incontrarsi, conoscersi e condividere esperienze e passioni. La mancanza di tutto ciò porta allo svilimento, al pensare che la vita non è poi questa grande esperienza e al sentirsi sempre più soli.

La vita è bellissima, basta che la politica la smetta di boicottare i concerti!

  • La generazione di musicisti di cui fate parte sta vivendo un tipo di gavetta che si concentra molto sui numeri e sulle posizioni in classifica, diversa da quella delle generazioni precedenti che si concentrava molto più sui palchi. Quali sono i suoi lati positivi e quali invece quelli negativi?

Per una volta non vogliamo essere pessimisti. È un discorso che facciamo spesso e ogni volta arriviamo a una conclusione diversa. Mi limiterò a dire che i social ci sono stati davvero utili per conoscere nuove band in tutta Italia e che ci hanno permesso di restare in contatto ed aiutarci l’un l’altro a suonare in giro. Per quanto riguarda i numeri, quelli sotto ogni maledettissima pubblicazione, possono scoraggiare ma basta praticare un po’ di sana attitudine punk e semplicemente fregarsene.

  • Quanto questa generazione ha da imparare da quella precedente e viceversa?

Si abbiamo molto da imparare e lo stiamo facendo secondo me alla grande. Viceversa sembra che le generazioni passate facciano fatica a prendere ad esempio le nostre virtù, come la spiccata sensibilità verso “il diverso “ che stiamo dimostrando. Detto ciò non biasimo i nostri genitori e nonni. La tendenza di chi è più vecchio è sempre quella di insegnare e ci vuole una bella dose di umiltà per imparare da chi è venuto dopo di te.