Nularse | Intervista Indie Italia Mag

Legato al mondo acustico, ma anche innamorato del calore nostalgico della musica elettronica. Lui è Nularse, cantautore che fa convivere nei suoi brani elettronica, ballate acustiche, suggestioni esotiche e melodie squisitamente pop.

Nularse ha calcato i palchi di importanti festival come l’Ypsigrock in Sicilia, il Linecheck a Milano e l’Art Fringe a Londra. Il suo nuovo album, “Sospesi”, è un fermo immagine di un oggetto lanciato in aria all’apice della traiettoria.

Il disco, la cui grafica è curata dal noto graphic designer Jonathan Calugi, vede la collaborazione di Saturnino Celani, storico bassista di Jovanotti, che col suo tocco inconfondibile ha voluto partecipare al progetto.

INTERVISTANDO NULARSE

Ciao Nularse. Raccontaci qualcosa in più di te e di come hai scelto il tuo nome d’arte.

Sono nato e cresciuto in una piccolo paese a sud della laguna di Venezia. Una città complessa e dalle mille sfaccettature come solo le città di mare possono essere.

La complessità porta a nutrire una certa varietà di sentimenti, perché la gente che abita vicino al mare ha sedimentati dentro di sé il viaggio, l’esplorazione, ma anche la nostalgia di casa, il ritorno.

Con il mio progetto ho voluto portare in musica questa complessità: cercavo una parola che avesse dei legami con la mia terra, ma che potesse anche darmi una certa libertà artistica, e così Nularse, che infatti significa “rannuvolarsi” nel mio dialetto, e nonostante abbia una sonorità internazionale mi permette di avere più possibilità espressive racchiuse in una cornice che mi identifica.

Hai suonato in diversi festival molto importanti, tra i quali l’Ypsigrock in Sicilia e l’Art Fringe di Londra. Com’è stato esibirsi su questi grandi palchi e quali sono le maggiori differenze che hai riscontrato tra i festival nostrani e quelli stranieri?

La realtà dei festival, che sia italiano o straniero, è elettrizzante. Devo dire che non ho incontrato differenze abissali tra quelli esteri e italiani, perché ho avuto la fortuna di partecipare ad eventi di grande qualità in entrambi i casi.

Diciamo che l’organizzazione nel nord Europa (ma non solo per quanto riguarda i festival o la musica, perché è proprio l’attitudine alla vita differente) è scrupolosamente pianificata e più facilmente sostenuta a livello economico.

Sono discorsi da bar, ma è così: la musica all’estero è vista come un business, in Italia facciamo ancora fatica. Però noi le cose spesso le facciamo funzionare con meno fondi e con più inventiva, e magari con la metà delle persone. Non so, sarebbe bello che ognuno prendesse un po’ dall’altro.

La tua musica nasce da influenze tutte diverse, che vanno dall’elettronica al pop. Quali sono i tuoi artisti di riferimento?

Da giovanissimo ascoltavo Pink Floyd, le ballate di Elioth Smith, degli Smiths e Cure, dei Joy Division, poi durante l’università mi sono appassionato all’elettronica nordeuropea di Burial, Four tet, James Blake, Jamie XX, AIR, Caribou, con quei suoni di synth nostalgici e vintage, ma mai modaioli, con quel modo di fare musica geniale e “pop” al tempo stesso, dance d’ascolto, elettronica calda con strumenti reali.

Ma adoro anche il pop autentico dei primi Coldplay o quello più nascosto dei Beach House. Ascolto cantautori come Tiromancino, Dalla, De Andrè, Battisti, Baglioni, Giorgio Poi, il tutto senza un criterio di scelta, molto a cuore, come è giusto fare.

Queste influenze eterogenee hanno certamente influenzato il mio essere musicista. Cerco sempre di “rubare” quello che mi piace e riproporre a modo mio le attitudini musicali degli artisti di cui mi appassiono.

Il tuo nuovo album, “Sospesi”, ha un concept molto interessante, sia a livello musicale che visivo. Per realizzare la copertina dell’album e quella dei vari singoli hai collaborato con Jonathan Calugi. Com’è stato lavorare con lui?

Vedo la possibilità di lavorare con Jonathan come un gran privilegio che non capita tutti i giorni. Lavoro con lui fin dal primo disco, Physical Law, perché fin dalle origini si è innamorato del mio progetto e io della sua visione artistica, e questa cosa mi riempie di orgoglio.

Jonathan è un artista e designer noto a livello globale, ha un tocco inconfondibile con il quale è riuscito a trasporre su carta le sensazioni racchiuse nel disco.

E lo ha fatto con 5 pallini e un paio di linee, non è così semplice. Oltre alla copertina del disco, ha disegnato quelle dei singoli, dunque in pratica sta delineando la mia essenza estetica, minimale ma raffinata, semplice ma complessa, che è quello che vorrei fosse la mia musica per gli altri.

Sempre parlando di “Sospesi”, c’è un filo rosso che unisce le 9 tracce dell’album?

Sospesi è il fermo immagine di un oggetto lanciato in aria all’apice della traiettoria. Un limbo in cui la nostalgia gioca con il futuro, in uno stato d’animo che ricorda quei dolci attimi passati sotto alle coperte prima del risveglio.

Ho composto Sospesi in un periodo di estrema insicurezza. Mi trovavo all’estero ed ero combattuto tra la voglia di buttarmi in un’esperienza nuova e la nostalgia di casa.

Sentivo che quel luogo non mi apparteneva e non poteva ospitare il mio futuro, quindi mi sentivo costantemente in bilico. Attraverso queste emozioni ho voluto dare vita ad un disco che parlasse di questo in un modo universale.
Siamo tutti sempre in attesa, e ogni canzone parla a modo suo di questo sentimento.

A questo tuo ultimo progetto ha collaborato anche Saturnino Celani. Com’è entrato a far parte del progetto e com’è stato realizzare il brano “È tutto qui” insieme?

Saturnino ha ascoltato un brano che era contenuto nel mio disco precedente, “Oh Song”. È rimasto molto colpito e ci siamo incontrati per scambiare due chiacchiere. Ripensare a questa cosa mi riempie d’orgoglio, perché non è cosa di tutti i giorni vedere il bassista più famoso d’Italia entusiasta di quello che hai fatto.

Da lì è nata la successiva collaborazione per “È tutto qui”, brano del nuovo disco, dove Saturnino fa le magie per cui è famoso, col suo tocco inconfondibile.

Ascoltando le tracce del tuo album ho sentito chiara la tua necessità di affrontare, attraverso la musica, un percorso per trovare te stesso e capirti di più. È così? Quali sono i messaggi che vuoi comunicare?

Io faccio musica per trovare me stesso, per scavare a fondo nel mio io e trovare ciò che realmente sono. Infatti per me è difficile scrivere canzoni, ma lo faccio perché ognuna di esse rappresenta un pezzo di me che scopro di volta in volta. Sospesi è stato in un certo modo terapeutico.

Mi piace pensare che queste canzoni possano arrivare a tutti quelli che si sentono galleggiare nella vita, in attesa che qualcosa possa succedere prima o poi. So che siamo tutti sulla stessa barca perché ricevo tanti feedback di gente che mi dice “Questa cosa è scritta per me”, e allora so di aver fatto centro. È attraverso gli altri che capisco meglio chi sono.

Tra le 9 tracce di “Sospesi” sono rimasta molto colpita da tregua. È un brano molto intimo, che parla non solo di te, ma anche di un amore (probabilmente) finito male. Mi racconteresti qualcosa di più di questo brano?

Sono felice che ti piaccia, è certamente uno dei brani più intensi a livello lirico. Ed è bello perché ognuno lo interpreta come vuole: io ad esempio non pensavo affatto all’amore per un’altra persona. È un brano che parte dall’immagine di me che mi immergo nel mare, non si rivolge ad altri se non nel ritornello, che esorta ad una sospensione da tutto.

È un brano intimo che parla di me, di tutte le cose che avrei potuto fare ma non ho fatto, del futuro, e di come dovrei / dovremmo imparare a fare le cose con più leggerezza, a prendere una tregua da noi stessi. E il fatto che l’elemento che collega il tutto sia il mare non è a caso. L’acqua è sempre presente nella mia musica.

È difficile scegliere, ma se fossi costretto a farlo, qual è la canzone di “Sospesi” che ti rappresenta di più?

Domanda molto difficile, ma se proprio devo scegliere, direi che “Al sicuro” è quella che mi dà più sensazioni. In questo brano mi spoglio completamente di tutte le sovrastrutture, sono io con la mia voce e la mia chitarra. È un brano che parla di come a volte sia bello procrastinare le cose.

Ci vuole una certa dose di coraggio e letargia per mettere da parte il futuro e occuparsi solo del presente.

Se dovessi scegliere un brano o un album, di un altro artista o gruppo, che ti rappresenta, quale sarebbe?

Come dicevo i miei riferimenti sono molteplici, ma se devo trovare qualcuno che possa avere maggiori affinità liriche e musicali, direi che i Cani di “Aurora” si avvicinano molto, per come vengono mescolati elementi cantautorali all’elettronica.

Hai già in programma diverse date da qui all’estate. Il tuo tour è cominciato il 15 marzo al Circolo Ohibò di Milano e, per il momento, l’ultima data annunciata è quella del 14 luglio al MAT di Terlizzi. Come sono andate le prime date del tour e quali sono le tue aspettative per i tuoi prossimi concerti?

Già nel tour di Physical Law mi ero preso le mie soddisfazioni, però con le date nuove, ora che canto in italiano, devo dire che c’è un’emozione diversa e più intensa. Sentire la gente che canta le mie canzoni, che si sgola e finito il concerto viene da me ancora emozionata e mi dice che gli è piaciuto e che i brani gli sono arrivati, ecco, quella è un’emozione nuova che mi fa capire di essere sulla strada giusta.

Assieme a Fresh Yo! Label stiamo organizzando un bellissimo tour, quindi vi invito a dare un occhiata al mio sito www.nularse.com/#tour, dove aggiorno costantemente le date. Per ora siamo ad una trentina fino a luglio, dal nord al sud Italia, ma sono sicuro ce ne saranno altre.

Ti va di raccontarmi un aneddoto che riguarda un tuo live?

Una delle cose che mi è rimasta più nel cuore è stato certamente l’Ypsigrock 2017, un festival che si tiene a Castelbuono, in provincia di Palermo. È un festival forse più famoso all’estero che in Italia, con lineup gigantesche (quell’anno ero in line up con Beach House e Cigatettes After Sex, tra i tanti). Dovevo suonare tardi, circa all’una di notte, in un altura immersa nel verde dove la gente avrebbe pernottato in tenda.

Era il primo giorno del festival, non mi era mai capitato di suonare in un bosco e temevo che le persone volessero qualcosa di “spinto”, cassa dritta e ballata sudaticcia per intenderci, dopo una giornata di live. Quindi avevo paura di non essere adatto, con un live set solo tendente al danzereccio, ma anche da ascolto.

Tutti mi dicevano di non preoccuparmi, che l’Ypsi è speciale e la gente è presa bene e sarà una bomba, cose così ecco, ma io ero un po’ diffidente. Lo spiazzo davanti al palco era vuoto e io cominciavo a sudare freddo, ma Fabio Nirta, mio amico dj e produttore che tutti conoscono, mi fa “Ci penso io”.

Con un paio di pezzi ha riempito la platea, e quando poi ho cominciato a suonare la gente era entusiasta. Credo sia stato uno dei live più fighi della mia vita, immerso nel verde, di notte, in Sicilia ad agosto, con tutta la gente che balla sotto palco fuori di testa e che alla fine del concerto ti viene lì a dire che è stato stupendo. Pazzesco.

Progetti per il futuro?

Per ora voglio godermi al 100% il tour, fare tante date, portare fisicamente in giro la mia musica, crescere live dopo live, farmi in lungo e in largo tutta l’Italia. Per ora le cose stanno andando benone, spero vada sempre così.

 

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