Messia ci invita a mettere in discussione i giudizi
“Capiamoci. Io non penso di essere il Messia. Per me è solo un nome d’arte, lo vedo come qualcosa di simile al titolo di un libro”. Si presenta così Alberto Pizzi, in arte Messia, giovane artista classe ’91, nato e cresciuto a Bologna.
Dopo essersi avvicinato al mondo dell’hip hop all’età di 16 anni ed essersi fatto spazio nelle realtà locali e non solo, distinguendosi in live e contest di freestyle nazionali, è nel periodo universitario che Alberto, grazie all’incontro con l’associazione poetica Zoopalco e il produttore Turo, si è approcciato a sonorità elettroniche e alla mescolanza delle metriche rap con la cifra comunicativa dei poetry slam.
Durante questo periodo l’artista ha pubblicato due EP autoprodotti, “Invicuts” e “C’è dell’altro”, rispettivamente nel 2011 e 2015, e condiviso il palco con grandi artisti della scena musicale italiana, come Rancore, Dutch Nazari e Ghemon.
A marzo 2019 Messia ha pubblicato il singolo Matondo, la sua prima collaborazione con Turo, che oltre a seguirlo in studio, lo accompagnerà anche durante le esibizioni live.
Matondo è un brano nato dal desiderio di ritrovare fiducia, sia in se stessi che negli altri. Scritto in un momento difficile, è un brano personale e introspettivo, che mette in risalto la creatività e il talento di Messia.
INTERVISTANDO MESSIA
Ciao Alberto, come hai scelto il tuo nome d’arte?
L’ho scelto perché suona potente e perché mi sembra descrivere bene il mio stile. A volte quando scrivo mi diverto a giocare con il parallelismo tra religione e cultura pop, due ambiti con cui sono stato a contatto fin da bambino. Per il resto è un nome d’arte, volutamente provocatorio, e nulla di più. Non sono un invasato convinto di salvare il mondo con le rime, sia chiaro questo.
A 16 anni ti sei avvicinato all’hip hop, hai partecipato a diversi contest di freestyle nazionali e aperto esponenti di spicco della scena rap italiana. C’è un concerto che ricordi più degli altri?
Quest’anno ho suonato in apertura a Dutch Nazari, che mi ha scherzosamente definito “riempi-pista”. Non lo dimenticherò facilmente! Ma lo stesso vale anche per le serate con il Collettivo Hmcf o con Arena 051, qui a Bologna, in apertura a Rancore, Murubutu, Mezzosangue… ho ricevuto tanto calore in questi anni, sono grato a tutti quelli che sono stati con me sopra e sotto il palco.
Quando si parla di rap ci si ritrova, oserei dire quasi inevitabilmente, a parlare di trap. Tu cosa pensi di questo genere?
Non mi ha mai interessato particolarmente, cerco di usare il tempo che ho per ascoltare ciò che mi piace e negli ultimi anni ho diretto i miei ascolti altrove. Esistono tante alternative al di fuori del binomio trap vs old school. Nella trap ho trovato qualche spunto interessante ma sinceramente mi pare sia un tantino ripetitiva, soprattutto dal punto di vista del flow. Anche per questo motivo si è ormai giunti a un punto di saturazione.
Qual è l’artista che ha maggiormente influenzato la tua produzione musicale?
Faccio fatica a nominarne uno in particolare, penso piuttosto che ciascun progetto a cui ho lavorato avesse alle spalle le sue influenze e i suoi riferimenti. Per me fare un disco è anche un modo per andare avanti, per sintetizzare ciò che ho imparato e ciò che mi ha ispirato, prima di iniziare a cercare nuovi spunti e nuove idee.
A marzo è uscito Matondo, il tuo primo singolo in collaborazione con il produttore e musicista Turo. Com’è nata la vostra collaborazione?
Ci siamo conosciuti grazie a PLATÓ, che un giorno mi ha invitato in studio da Turo per un featuring nel suo progetto. C’è stata subito molta sintonia, così qualche tempo dopo gli ho fatto sentire alcuni bozzetti a cui stavo lavorando, in cui sentivo il bisogno dell’intervento di un musicista. Partendo da quei progetti, Turo ha curato la produzione e gli arrangiamenti suonando chitarre, synth, batteria, basso.
Cosa significa per te Matondo?
È una parola inventata, l’ho scelta come titolo perché mi porta alla mente l’immagine del globo terrestre. È da intendere come Ma-Tondo, una rotondità avversativa. Il mondo sembra piatto se ci fidiamo della nostra sola percezione, ma le cose non stanno così. È un invito a mettere in discussione i nostri giudizi.
Qual è la storia di questo tuo ultimo singolo?
Ho scritto cercando di riportare il mio vissuto in un’ottica più ampia, generalizzabile. In “Matondo” il significato oscilla tra una dimensione personale e una collettiva: il perfezionismo patologico è sia individuale che sociale. In Italia tendiamo a produrre rappresentazioni estremamente negative di noi stessi, o al contrario, a vederci come migliori di tutti gli altri. Siamo dunque una nazione con problemi di autostima. Io con queste cose ci convivo da anni, quindi mi sono sentito di azzardare qualche consiglio.
Il video di Matondo alterna scene in soggettiva a riprese in cui sei tu il protagonista. Da Bologna a Tunisi, passando per il deserto del Sahara, la creatività nel realizzare questo video si sposa perfettamente con la freschezza della tua voce e la tua metrica, fluida e strutturata. Com’è nato questo videoclip?
È stato Rodolfo Lissia a propormi di raggiungerlo in Tunisia per girare il video. Rodolfo è un regista e un amico con cui ho condiviso esperienze di viaggio e a cui mi sono affidato anche in passato per altri videoclip. Ci siamo incontrati poco prima che si trasferisse per lavoro a Tunisi ed è allora che è nata l’idea di fare insieme un viaggio nel deserto e girare questo roadmovie. Montaggio e animazioni sono poi stati curati da Mattia Camangi, qui a Bologna.
Nel brano c’è la partecipazione femminile di PLATÓ come seconda voce. Come vi siete incontrati e com’è nata la collaborazione?
Il nostro primo incontro è avvenuto a un suo live a Bologna. Si era detto che ci sarebbe piaciuto collaborare e l’occasione si è presentata quando mi ha invitato in studio da Turo, circa due anni fa. Da allora lavoriamo a stretto contatto, influenzandoci a vicenda. Nel caso di “Matondo”, lei era in studio mentre lavoravamo sul ritornello e si è proposta di arricchirlo con dei cori, è stato molto naturale.
Come un giovane messia, porterai la tua musica in giro per l’Italia nei prossimi mesi?
Sì, ma speriamo che l’esito sia differente! Quest’estate accompagnerò in tour i Mezzopalco, progetto di poesia e beatbox vincitore del Premio Dubito 2018, nonché costola del collettivo Zoopalco, che si occupa di produzione e promozione di poesia multimediale. Oltre ad essere tutti dei notevolissimi performer siamo persino amici, penso che ci divertiremo parecchio!
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