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Postino: il cantautore della quotidianità |Indie Italia Mag

A cura di Chiara Scarlino

Nell’ultimo anno, fra i nuovi nomi della musica indipendente italiana si è fatto largo quello di Postino, un cantautore toscano che con il suo “cuore blu” arriva ad essere il ponte perfetto fra il grande cantautorato italiano e le nuove sonorità it-pop.

Nel suo primo e unico album  Latte di soia, pubblicato il 6 luglio 2018,  riesce a rendere straordinari anche i piccoli dettagli di situazioni comuni con una precisione quasi chirurgica, coerente con la sua laurea in medicina.

Noi di Indie Italia Mag siamo riusciti ad intervistarlo in occasione di Indimenticabile Festival.

INTERVISTANDO POSTINO

Buonasera, Postino.

Buonasera a tutti!

Nelle tue canzoni ritroviamo sempre situazioni quotidiane, quasi familiari. Prendi ispirazione solo da contesti a te vicini, o che comunque vivi in prima persona, oppure ti è capitato di scrivere anche di emozioni non ancora provate?

“No, perché non mi riesce scrivere qualcosa che non ho provato sulla mia pelle. Infatti è anche il motivo per cui io scrivo molto poco, perché ogni brano racconta veramente una parte delle mia esistenza, racconta qualcosa di vissuto e credo sia necessario vivere qualcosa per poi avere anche l’ispirazione e la spinta ad ‘esorcizzare’ in qualche modo quell’emozione e scriverla in una canzone, quindi non mi è mai capitato di immaginare qualcosa. O meglio, in Al Condizionale racconto un amore immaginato, ma le sensazioni son vere, son quelle che provavo il quel momento.

Sarebbe bello riuscire a scrivere una canzone a comando. In realtà io scrivo molto poco e soltanto quando sto veramente male. I brani son nati veramente per caso; a volte tre brani in un giorno, poi non ho scritto niente per nove mesi o per un anno, quindi è tutto molto relativo. Parlo delle piccolezze della vita perché sono i dettagli alla fine quelli che contano. Le grandi cose contano solo fino ad un certo punto, proprio perché sono grandi cose e capitano una volta.

Quello che ti capita nel quotidiano è quello che ti forma come persona, quindi do parecchia importanza alle piccole sensazioni e al vivere quotidiano. A me piace parlare di quello, lo sento molto personale, insomma.

No, non cambierà più/ il mondo è così com’è/ e prima o poi cambierà anche te” canti in Anna ha vent’anni. Da queste parole traspare una sorta di sfiducia, quasi di rabbia, nei confronti del mondo e della generazione di cui facciamo parte. Credi veramente che questa società alla fine ci schiaccerà oppure ognuno di noi, nel proprio piccolo, può fare qualcosa per cambiarla?

Io, sinceramente, sono molto pessimista riguardo l’esistenza in generale, non solo per la nostra generazione, ma per tutte le generazioni. Sento molto il peso dell’esistenza, per me vivere è abbastanza faticoso. Quando ho scritto quel brano avevo, appunto, vent’anni e stavo passando dalla fase scuola-mondo dei grandi e ho sentito proprio che tutto quel cambiamento millantato non c’era, anzi, era solo un’involuzione di quello che c’era stato, andava a peggiorare invece che migliorare.

Mi sono reso conto che, per quanto uno possa protestare dentro di sé, alla fine la meglio ce l’ha sempre il mondo, quindi è il mondo che ti plasma e diventi quello che sei per cercare di resistere e sopravvivere. Purtroppo sono molto pessimista, quindi mi riesce anche difficile dare una speranza diversa agli altri, però sicuramente pensarla così ti aiuta a fare altre cose belle o cantare canzoni.

Dalle cose negative possono nascere cose positive, non per forza ad emozioni negative si associano cose negative. Grandi messaggi positivi per il mondo, purtroppo non ne ho.

In Blu, brano che ti ha portato a farti conoscere da un pubblico sempre più ampio, parli di ‘attenzioni di cartone’. È un riferimento alle attenzioni che vengono spazzate via da ogni nuova folata di vento sui social network? Qual è il tuo rapporto con essi nella tua vita quotidiana? E quanto credi che influenzino il nostro contatto con la realtà?

In quel caso io mi riferivo ad una ragazza, quindi sì, anche ai social network, ma soprattutto all’attenzione dei vari ragazzi che ti corteggiano per ciò che appari e non per quello che sei, quindi ‘di cartone’ perché son finte, si fermano solo alla superficie.

I social network sono proprio questo, sono un mettere in mostra qualcosa  che è solamente di superficie e viene a mancare poi la sostanza, e si creano molte volte due identità diverse: la persona che si conosce su internet e quella che poi non si conosce mai davvero.

Personalmente, credo molto nei social network, possono essere anche una cosa positiva, non solo negativa. Ad esempio, nel mio caso, tutto quello che ho fatto fino ad oggi l’ho fatto grazie ai social. Ho caricato una canzone a caso e dal niente è nato tutto questo; non avevo un’etichetta, non avevo niente, quindi il passaparola dei social fa tanto. Però, come per tutte le cose, c’è anche il rovescio della medaglia: come costruiscono tanto, distruggono tanto. Vanno saputi usare. Io li uso abbastanza, nei limiti. Penso che un po’ tutti, appena sono usciti, si fossero fissati con Facebook o Instagram, solo che poi crescendo ti accorgi che non è la vita reale, preferisci parlare dal vivo e tornare a com’era prima che arrivassero.

Ascoltando il tuo album, Latte di soia, la prima impressione è che il filo conduttore fra le canzoni sia la malinconia che, come affermi spesso, deriva dall’essere cresciuto in provincia. Quanto è stato rilevante questo sentimento per la tua arte? E quanto, invece, limitante?

Secondo me la malinconia è, molte volte, un sentimento sopravvalutato e al tempo stesso sottovalutato. Nel mio caso, la malinconia che mi pervade da quando mi sveglio la mattina mi permette di usarla a mio favore per costruire qualcosa che sia anche positivo, che sia condivisione di emozione, qualcosa di empatico. Il rovescio della medaglia è quando la malinconia ti schiaccia, non la riesci a gestire e rimani inchiodato al letto perché non sei capace di far fronte a questo sentimento.

Se ci guardiamo intorno, in senso artistico, è un sentimento comune un po’ a chiunque, credo proprio all’essere umano in generale. Poi, c’è chi ci fa i conti più spesso e chi meno; nel mio caso è abbastanza preponderante. Ad esempio, se parli con i miei musicisti, ti diranno che non mi hanno mai visto ridere. Oppure a volte mi chiedono di sorridere per fare dei video in cui saluto qualcuno o dei giornali, ma a me non riesce, non sono quel tipo di persona.

Alla fine, mi son sempre mostrato per quello che sono, sono questo, non posso essere diversamente da come sono e ci ho anche costruito un personaggio, ma un personaggio che è reale e sincero e niente di inventato.

Ultima domanda. Nei tuoi brani trovi sempre il modo di mettere in comunicazione il mondo delle emozioni umane con quello scientifico, cosa che ci riporta alla tua laurea in medicina. Come sei riuscito a bilanciare la tua attività musicale e la carriera universitaria? Hai qualche consiglio per chi sceglie di intraprendere entrambe le strade?

Io mi sono prima laureato in medicina e solo successivamente ho deciso di incidere un disco. Durante gli anni dell’università, e anche durante il liceo, avevo scritto dei brani che facevo ascoltare ai miei amici e loro mi dicevano sempre ‘sì, son belli, ma falli ascoltare da qualche casa discografica’, però non ne ho mai avuto il tempo perché la facoltà di medicina è abbastanza totalizzante, quindi ho aspettato di laurearmi.

Due anni fa mi sono laureato e per regalo di laurea sono andato da un’etichetta per far sentire i mie brani, volevo fare un disco. All’inizio l’idea era di fare un disco da regalare ai miei amici, poi mi hanno detto che le canzoni funzionavano e volevano fare un progetto più serio. Quindi abbiamo messo una canzone su Spotify e da lì è esploso tutto.

Per me non c’è mai stata la necessità di integrare le due cose, anche se ora sono entrato in specializzazione e quindi probabilmente dovrò abbandonare per un po’ la carriera musicale perché durante la specializzazione si lavora moltissimo.

Quindi continuare con la specializzazione rimane sempre il piano A.

Quello è sempre il piano A, questo è uno svago, partito per gioco e diventato grande, quindi ho sentito anche la responsabilità di fare qualcosa perché c’era un pubblico che mi ascoltava e che voleva sentimi live e l’ho portato avanti.

Fondamentalmente, a me piace scrivere canzoni, ma mi piace anche stare in casa, tranquillo, in cameretta. Sicuramente ci sarà uno stop con Postino e più in là si vedrà. Il messaggio per chi vuole fare due cose contemporaneamente è di non farle, perché finisci per farne due fatte male. Per quanto mi riguarda, io non sono mai stato multitasking, faccio una cosa per volta e la faccio al 100%.

Quando facevo medicina, facevo solo quello e quando faccio Postino, faccio solo quello. Ora ho deciso di fare la specializzazione, quindi abbandonerò Postino per un po’ per fare quello. Io lavorerei così, perché ci metti totalmente te stesso.

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