L’indie-rap italiano attraverso le cuffiette di una hip hop head

Di Aurora Aprile

“L’indie, che è poi il pop 2.0, (…) il pop con una scrittura più ricercata e meno banale, (…) parla delle stesse cose di cui parla il rap, del quotidiano, ma con un linguaggio differente”.

Sono state pressoché queste le parole  del dj e produttore italo-argentino Shablo in una recente intervista pubblicata sul canale YouTube di Essemagazine, rivista digitale dedicata alla musica urban.

Partendo da questa riflessione mi sono interrogata sul rapporto tra indie e rap: se entrambe le compagini non accennano a voler smettere di conquistare cuori e classifiche della nostra penisola, un motivo ci deve pur essere.

Che i due universi musicali abbiano in comune molte più dimensioni di quelle pensiamo?

Che si sia semplicemente restii ad ammettere di ascoltare brani provenienti da ciascuna delle parti perché ci si identifica maggiormente con una di esse?

Queste ed altre domande animeranno la nuova rubrica di Indie Italia Mag che si propone di esplorare in modo non convenzionale quel terreno senza stabile denominazione che congiunge terre apparentemente lontane nello spazio e nel tempo quali l’indie e il rap.

MONDI PARALLELLI O PIANETI IN ROTTA DI COLLISIONE?

Le prime avvisaglie dei due generi in Italia esistono a partire dagli anni 80, rispettivamente con l’eco dei movimenti indie rock e indie pop che affondavano le radici nel post-punk da un lato e con la trasmissione su canali privati di pellicole statunitensi dedicate al movimento hip hop dall’altro.

Tuttavia, se già negli anni 90 il rap, partendo dalle strade, inizia a conquistare il cuore degli italiani grazie ad artisti quali Articolo 31 e Sangue Misto, per una più concreta affermazione dell’indie italiano bisogna aspettare i primi Duemila, per merito di gruppi come i Baustelle.

Nonostante queste iniziali differenze temporali, il periodo intorno alla prima decade del 2000 si rivela di grande importanza sia per l’indie che per il rap. Il primo vede nel 2011 la pubblicazione di un album considerato poi spartiacque tra il primo indie italiano e l’itpop, vale a dire “Il sorprendente album d’esordio de I Cani”, progetto di Niccolò Contessa e il secondo, dopo il successo del singolo Tranne te di Fabri Fibra nel 2010, si apre al grande pubblico.

Se in anni ancor più recenti questi due pianeti, nelle loro rispettive orbite, hanno raccolto ancora più favori, per merito di artisti come Calcutta, Lo Stato Sociale e Gazzelle per quanto riguarda l’indie italiano, mentre Salmo, Gemitaiz e i ritrovati pionieri dell’hip hop nostrano per quanto riguarda il rap, è solo nell’ultimissimo periodo che le loro rotte si sono in parte incrociate.

Questa sorta di commistione è avvenuta in modo piuttosto naturale ad opera di artisti nati sotto il segno del rap che hanno voluto ampliare i loro orizzonti fino ad abbracciare l’indie.

Stiamo parlando di Willie Peyote e Dutch Nazari che hanno reso necessario coniare il termine cantautorato rap per definire la loro musica, di Coez che, dopo aver militato per anni nelle fila del rap italiano, ha teso la mano a Niccolò Contessa de I Cani per farsi quasi totalmente trascinare nel suo mondo, di Frah Quintale i cui pezzi sono stati più volte definiti come appartenenti al cosiddetto street pop e dell’iconico duo Carl Brave x Franco 126, in equilibrio tra indie e trap.

E quale modo migliore per evidenziare come il rap si intrecci all’indie nelle suggestive produzioni di questi artisti se non chiedendo ad un appassionato di rap di ascoltarle? Beh, è proprio quello che Indie Italia Mag mi ha permesso di fare.

COME SUONANO INDIE E RAP NELLE CUFFIETTE DI UN APPASSIONATO DI HIP HOP

Credo che ognuno di noi al liceo abbia avuto quel compagno nelle vesti del quale Ketama 126 si dipinge nella recente “Stay away”, quel ragazzo un po’ strano che sta all’ultimo banco quasi sempre con le cuffiette nelle orecchie e il cappuccio in testa.

Quello della mia classe si pompava del sano hip hop, non senza tralasciarne sfumature soul e funk ed è stato una delle persone più importanti nella mia formazione musicale, per questo non potevo che chiedere il parere di una hip hop head aperta come la sua.

Questo “esperimento” musicale, non avendo in alcun modo la presunzione di essere esaustivo delle considerazioni effettuabili su due generi, consta dell’ascolto di 7 brani di cui sono state evidenziate dalla nostra “cavia” aspetti concordanti o meno con la cultura hip hop, generando una reaction un po’ più ragionata di quelle che impazzano su Youtube.

Non vi resta che godervela!

Willie Peyote – La tua futura ex moglie

<< Vogliamo iniziare con sincerità? Il brano non incontra i miei gusti e, da quello che ho avuto modo di ascoltare di Willie Peyote, si distanzia anche dalle consuete produzioni dell’artista. Nonostante questo, il collegamento col rap italiano risulta evidente, non tanto perché anche Wikipedia etichetta il torinese come rapper, ma per il fatto che l’interludio sia costituito da tre versi di Fabri Fibra ripetuti due volte. Si tratta di parole riprese dalla seconda strofa di Come Te, traccia dell’album Turbe Giovanili del 2002. Una vera e propria pietra miliare del rap italiano! Il rapporto tra i due brani e anche quello tra i due generi, a mio avviso, si ferma però lì: il ritmo del beat è troppo incalzante per chi è avvezzo alle sonorità del rap, anche se è apprezzabile nella parte finale in cui viene lasciato ampio spazio alla strumentale >>

https://www.youtube.com/user/WilliePeyoteVEVO

Dutch Nazari – Cambio di stagione

<< Qui il rimando al rap nostrano viene messo proprio sotto al naso, al primo verso, anche se in forma meno esplicita rispetto alla canzone precedente. Non si tratta, infatti, dell’inserimento di parole tali e quali a quelle di un altro pezzo, ma della loro rielaborazione. E, signori, qui parliamo di un signor pezzo. “Netflix resta spento e non lo guardo più” riprende “La tele resta spenta e non la guardo più”, incipit della celebre traccia “Aspettando il sole” di Neffa, contenuta in Neffa & I Messaggeri della Dopa del 1996. E questo la dice lunga sul background di Nazari, nonostante ci sia anche un altro rapper che bisogna nominare. Nel modo di rappare e soprattutto nelle parti cantate, Dutch mi ricorda molto Ghemon. Ad una produzione del 2012 dello stesso artista avellinese, intitolata “Un giorno in più dell’eternità”, rimanda anche l’outro. In entrambi i pezzi, infatti, questo è costituito da registrazioni di chiamate telefoniche. Non sarà che ci ritroveremo anche lui, come Ghemon, sul palco di Sanremo? >>

Coez – Catene

<< Paradossalmente l’artista che tra questi primi tre aveva un passato più spiccatamente rap è quello il cui brano ha meno relazioni col genere. Brano che, tra l’altro, non mi sembra così diverso dai restanti di questa sua nuova era che strizza l’occhio all’indie. Nulla di rilevante né a livello di beat che a livello di testo, caratterizzato da troppa ripetitività. In sintesi: a Silvà, in questo caso forse è vero che “la musica non c’è” >>

Frah Quintale – Si, ah

<< Questo pezzo si che è figo. Il beat non è hip hop, ma ha delle venature funkeggianti non indifferenti, nonostante, nel complesso, potesse essere curato di più attraverso, per esempio, una maggiore attenzione per la batteria. Se sia davvero indie o meno come brano non lo so dire, ma se è questa la direzione che per Frah sta prendendo il genere, facciamolo continuare a tutta birra! >>

Carl Brave x Franco 126 – Tararì Tararà

<< Più che al rap e all’indie, non tanto per l’utilizzo dell’autotune, ma più per i suoni del beat, questa traccia mi rimanda all’immaginario della trap. L’80% dei pezzi trap, infatti, utilizza questi kick e snare della batteria. Riguardo alla chitarra, si sposa bene col resto, ma poi subentrano molti altri suoni che, secondo me, rendono il tutto troppo caotico. Ma d’altronde si sa che i romani son abituati a far “caciara” >>

Carl Brave – Pianto Noisy

<< Ma i riferimenti amorosi son una caratteristica distintiva dell’indie? Perché cosi mi spiegherei molte delle produzioni di Carl Brave. Al di là di ciò, per questo pezzo non si può parlare di beat, ma piuttosto di una base dai tratti quasi orientali in cui si intrecciano armonicamente più strumenti. In relazione al testo, il parlare per immagini di alcuni rapper viene portato così all’estremo tanto da risultare a volte sconnesso, ma, mi pare di capire che resti il tratto distintivo di Carletto >>

Franco 126 – Nuvole di Drago e considerazioni finali

<< Passion fruit di Drake. Proprio questa è stata la prima cosa a cui ho pensato ascoltando Nuvole di Drago, a causa del ritmo molto simile in alcune sue parti. Anche in questo caso è evidente il motivo amoroso e il racconto per immagini, il quale mi spinge ad un confronto tra il rap e l’indie. Si tratta in entrambi i casi di descrizioni del quotidiano, ma il linguaggio è abbastanza differente. Per esempio, una giacca rossa sopra ad una sedia potrebbe essere un frame perfetto cosi com’è per una canzone indie, accostato anche a scene contrastanti, mentre per un brano rap questa risulterebbe inserita in una cornice più definita, grazie all’utilizzo più marcato della rima. Insomma, gli elementi possono essere anche gli stessi, ma il modo in cui questi vengono elaborati è differente, seppur, come dimostrato, non sempre così distante >>.

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