Foto di Isabella Sanfilippo

Tropea: “Non solo cringe life e nostalgia degli Anni Zero” | Intervista

I Tropea si descrivono come una band che scrive musica per “pajama people” e che raccontano di cringe life e ASMR. La band di Milano, attiva dal 2017, si afferma nel panorama indipendente italiano per lo stile insolito, eppure piacente, accattivante, non solo perché fatto in inglese, lingua sicuramente più indicata per chi predilige la psichedelia e i synth.

Il salto nella cultura musicale anni Ottanta è notevole, e non sa di vecchio, piuttosto è proprio la ricercatezza della band a creare sonorità lo-fi, pop rock a conferire organicità all’attenzione che i Tropea investono nella cura del loro stile volutamente “punk” verso la cultura dominante.

In uno scambio di opinioni tra le migliori cringe situations attraverso cui poter descrivere il periodo che stiamo vivendo, i Tropea ci lasciano il loro loro punto di vista sulla cultura della nostalgia, vista però come un sentimento da cui poter attingere con positività ciò che il nostro passato ha lasciato dietro di buono.

ph Isabella Sanfilppo

INTERVISTANDO TROPEA

La prima volta che mi sono imbattuta in voi su Spotify è stato ad agosto e siete stati la perfetta colonna sonora per un viaggio in macchina tra le strade della Sicilia. Nonostante a Milano il mare non ci sia ancora, se doveste immaginarvi in una particolare ambientazione per scrivere una nuova canzone, dove sareste?

Grazie per le belle parole, ciao a tutti. Se dovessimo immaginarci una particolare ambientazione per scrivere una canzone, da quando il nostro amico e illustratore Mirko Conte (che salutiamo) ci ha fatto provare il suo visore per VR e il suo programma per disegno 3D,  questa sarebbe in uno spazio virtuale, in cui trasferirsi con una chitarra per scrivere una canzone nel cervello di un mostro soffice gigante o in un qualche template di nuvole, che se guardi sotto puoi vedere il mare e se guardi sopra vedi una luna di formaggio.

Ascoltando il vostro ultimo album Your wonderful time, il titolo sembra essere un flashback su quelli che possono essere stati tutti quei momenti felici nella vita di ognuno, eppure i testi evocano spesso una condizione piuttosto triste. Da cosa nasce questa predilizione a raccontare più i momenti tristi? Oppure sono proprio questi ultimi a rendere “i vostri momenti così meravigliosi”?

Per noi è una compenetrazione. Le nostre canzoni quasi mai si concedono solo alla tristezza. I momenti più belli sono quelli promiscui di felicità e malinconia. Di commozione e di rabbia. Di gioia e tristezza. Per questo spesso ci soffermiamo sui sogni, sulle zone d’ombra, dove i confini tra le cose si confondono in una sorta di psichedelica delle emozioni. Mega psych.

La vostra pagina Instagram somiglia un po’ ad una chat di Msn. Quanta nostalgia avete di quella cultura informatica agli albori degli anni Zero?

Sicuramente in generale c’è della nostalgia, è uno dei grandi temi del nostro tempo. E’ vero, siamo quelli che avevano 13 anni quando andavano forte Windows XP, l’iPod nano e aspettare qualche secondo prima di poter fare di nuovo un trillo su MSN. Ma non si tratta solo di questo. La cultura pop macina idee, suoni, valori, immagini, oggetti ad un ritmo impressionante. Negli ultimi dieci anni ci siamo abituati ad una retorica della nostalgia schiacciante che non ci fa vedere altro che forme rimescolate di passato. Gli anni ’80 sono un esempio. Quanto sono stati cannibalizzati in tutte le loro forme, design, musica, moda. Questo costante andare avanti e ripescare indietro sono come due fari di luce, uno puntato sul prodotto del momento e uno su zone di passato. Il prodotto è fresco, zuppo d’hype, desiderabile e si combina con l’elemento del passato, lontano, malinconico, autentico. Questo meccanismo di luci lascia delle zone d’ombra, dove vivono gli elementi delle stagioni della pop-culture prima di essere ripescati e riempiti di un nuovo valore.  Ad esempio, nessuno oggi si sognerebbe di mettersi degli occhiali come ce li avevano gli LMFAO e gridare qualche inno di David Guetta e sentirsi il king della freschezza. Perché gli LMFAO e la EDM di inizio 2010 sono, al momento, caduti in quella zona d’ombra; eppure ci sembravano così freschi quando cantavano “I’m sexy and I know it”. Essere una band indipendente oggi, avere un’anima da controcultura punk verso le cose, significa scandagliare queste zone d’ombra e andare anche a rovistare in quello che la pop-culture ha abbandonato. A volte si creano dei curiosi intrecci (come quando indossavamo le giacchette d’acetato, prima del revival anni ‘80) che non sempre vengono compresi. Sicuramente per noi significa grande malinconia verso il passato, ma anche ricerca dell’estetica del brutto-non-ancora-bello. C’è stato un momento in cui ad esempio Mimmo aveva un taglio di capelli davanti frangetta Oasis/mod-revival, sopra un pochino più lunghi sparati in aria stile Blue 2003, dietro mullet tardi anni ’80 e rasato sui laterali (contemporaneo). Shit happens.

Avete cavalcato molti palchi in giro per l’Italia mentre al momento non ci restano che le dirette sui social. Stando alla vostra inclinazione un po’ nerd, con quale delle due modalità di fare live vi sentite più a vostro agio?

Stiamo sperimentando varie modalità. Chi ci ha visto live sa quanto ci teniamo a rendere speciale ogni momento insieme al nostro pubblico e quanto ci piace concederci. Sono momenti bellissimi che portiamo sempre con noi e che semplicemente non si possono ricreare in una situazione di live stream. Non con quel tipo di intensità. Non ancora. Però stiamo ragionando e valutando proposte per studiare delle possibili soluzioni. Alla fine il futuro dei live stream show è tutto ancora da scrivere, abbiamo la sensazione che sia stata solo graffiata la superficie delle possibilità.

Avete detto che le vostre canzoni parlano di “cringe life”. Stando a tutto l’insieme di cringe situations che sono sorte durante la quarantena, passando dalla Barbara d’Urso che insegna a lavarsi le mani al motto “andrà tutto bene”, come comincerebbe una vostra ipotetica canzone post quarantena?

Hahaha hai gasato. Quando ci hanno detto di isolarci, l’abbiamo presa alla lettera e ci siamo letteralmente immersi nel nostro rock’n’roll interiore. Però se ci siamo perso del cringe forte fateci un bel succhino con cannuccia da portare via, che lo sorseggiamo piano piano. Un’ipotetica canzone post quarantena potrebbe iniziare così:“Vedrai, questo film finirà. E noi, tori di fuoco, bruceremo le stelle, coriandoli”.

Sempre a proposito di cringe situations, ammesso che siete degli artisti molto simpatici, quanto vi sentite dentro la definizione del premier Conte che gli artisti sono quelle persone “che ci fanno tanto appassionare e divertire”, motivo per cui necessitano anche loro un occhio di riguardo?

Grazie mille per il “simpatici”. La risposta breve è che sicuramente quella definizione in qualche modo ci tocca, ma speriamo che non si esaurisca lì. Sarà un pensiero impopolare, ma la definizione di Conte non ci offende. Certo, avrebbe potuto usare dei verbi più completi per descrivere il mestiere dell’artista, ma solo un certo snobismo novecentesco da “Arte Alta” può sentirsi offeso da questa frase. La cultura nasce anche dall’incontro tra forme basse e forme alte di intrattenimento. L’intrattenimento può avere sfumature leggere oppure entrare pesante nelle nostre vite emozionandoci e facendoci riflettere, senza necessariamente indossare una corona di intoccabilità, che, in tutta franchezza, sembra più sintomo di mancanza di umiltà in quello che si fa. E’ importante invece iniziare a riconoscere che esiste un’industria dello spettacolo e dell’intrattenimento che fa lavorare un insieme gigante di persone, spessissimo in nero e con condizioni di sicurezza per niente salvaguardate. Ecco quello che ci fa star male è la condizione di incertezza e la sensazione di abbandono che si respira nell’ambiente. Siamo quanto mai in un momento di frammentazione totale, paghiamo il prezzo di non avere una voce unita e ferma ed una rappresentanza ben strutturata che ci garantisca una presenza autorevole nei luoghi dove si prendono le decisioni. Mai come adesso ci sentiamo invisibili. Purtroppo da questa situazione temiamo che rimarranno schiacciati i più deboli, quelli che già prima andavano avanti solo con la forza della propria autodeterminazione. Probabilmente ne usciranno discretamente quelli che già prima di questa situazione, avevano i mezzi dalla loro parte, ma ci piacerebbe molto che la storia ci smentisse.