Giulia Onda: “Sono in continuo movimento” | Intervista

Galeotti furono il mare, la poesia e un certo libro molto noto. Giulia Onda, classe 1997, è come l’oceano: ipnotica e in perenne movimento. Da bambina scriveva versi su qualsiasi superficie, oggi scrive e canta canzoni legate alla sfera psico-emotiva, un mondo che conosce bene visti gli studi di Psicologia.

Il suo primo inedito, uscito il 25 aprile, si chiama “Ama-mi” e affronta il tema dell’amore (per sé stessi e per gli altri) in modo del tutto innovativo, a partire dall’accettazione di sé. Come protagonisti del video, Giulia ha voluto più di 50 persone, con abitudini e personalità differenti tra loro. “Ama-mi” è una vera e propria celebrazione della diversità e dell’unicità di ognuno di noi, dei contrasti e dei disagi che viviamo e che ci contraddistinguono.

Intervistando Giulia Onda

Hai un nome bellissimo. È vero o è un nome d’arte?

Grazie! Mi chiamo Giulia e Onda è frutto d’ispirazione artistica; un nome breve ma ricco di significato, che ho scelto solo quando ho sentito che mi apparteneva. Una notte insonne come molte, sfogliando Oceano mare di Baricco, ho cominciato a riflettere sul potere delle onde, affascinanti nella loro sincronicità di movimento, piacevoli nel galleggiamento e al tempo stesso pericolose nei loro vortici. Nella mia adolescenza trascorsa a Sanremo, mi ritrovavo spesso a scrivere seduta sulla scogliera al tramonto. Per molto tempo ho osservato il mare e mi sono focalizzata sulla sua vastità, nella quale mi immergo, ma al tempo stesso mi angoscio. Questo rapporto dicotomico che ho con il mare si rispecchia in “Ama-mi” e nelle canzoni che sentirete nel mio prossimo EP. Il nome Giulia Onda si lega anche al tema energetico delle onde sonore, che superano i naturali ostacoli della comunicazione verbale.

Dal video di Ama-mi si evince la tua personalità artistica ed eclettica. Qual è stata la prima forma d’arte che hai sperimentato?

La scrittura è stata la prima forma d’arte che ho sperimentato. Da bambina scrivevo racconti e poesie ovunque. Quando finivo i fogli usavo i post-it, anche al ristorante chiedevo ai camerieri di portarmi una matita e qualcosa su cui scrivere, poi leggevo le storie ai miei genitori o a chi capitava di sentirle. Amavo rileggerle anche da sola e sentire la mia voce. Avevo la stessa età quando feci i miei primi incontri importanti con la musica. Mia nonna, appena sveglia, accendeva lo stereo e il disco di Ella Fitzgerald e Louis Armstrong iniziava a girare. In tutta la casa risuonava Dream a little dream of me mentre facevamo colazione insieme. Poi ci alzavamo da tavola e ballavamo cullate dalla musica jazz. Ogni volta che penso o racconto questi momenti della mia infanzia sorrido, come adesso.

“Amami, ho bisogno di una testa in più per vedere come vedi tu”. Cosa spinge a voler conoscere un punto di vista diverso dal proprio, secondo te? 

La curiosità e il desiderio di essere in sintonia con l’altro spingono a voler conoscere un punto di vista diverso dal proprio. È più facile imparare dall’esperienza vissuta e l’unico modo per farlo è prestare attenzione. Essere attenti a ciò che hai attorno trasmette conoscenza ed è sinonimo di maturità, poco importa se è qualcosa che ci serve o meno in quel momento; conoscere e apprendere continuamente è il mio modo per avere “una testa in più”. Così cerco di capire come si articola la mente di chi mi sta intorno, magari avvicinandomi alla sua posizione sul palcoscenico della vita, spesso inconsapevole di allontanarmi così tanto dal mio posto.

“Sono dipendente, sono bipolare, non posso starci male”. Ama-mi è quindi anche una canzone sull’accettazione e sull’amore per se stessi oltre che quello che vorremmo ricevere. 

Indubbiamente sì. È molto difficile amarsi in modo sano, proprio per questo ho voluto citare la dipendenza che ci ricorda quanto sia difficile essere liberi. Grazie a qualche espediente magari riusciamo ad accettarci, in fondo, non possiamo stare male quando c’è qualcuno o qualcosa che ci riempie la vita. Il bipolarismo è centrale nella sua accezione di alternanza tra stati di felicità e sofferenza in un percorso di ricerca dell’emancipazione dalla dipendenza che sovrasta la nostra identità.

Quanto influiscono gli studi di Psicologia nella tua musica? 

Moltissimo. È da anni che sono appassionata di Musicoterapia (oggetto della mia Tesi) e ho il piacere di praticarla in diverse occasioni lavorative. Credo nel potere che la musica sprigiona tramite la comunicazione vibrazionale. Vederla in un’ottica psicologica mi aiuta a esprimere in modo ancor più preciso le emozioni di cui mi faccio portavoce cantando. L’alleanza tra terapeuta e paziente è centrale negli studi di psicologia, come la relazione tra musicisti e pubblico è fondamentale per la musica. Esiste infatti uno scambio energetico, fisico ed emotivo, tra ascoltatori ed esecutori, che coinvolge non solo il singolo, ma anche il gruppo. L’accumulo di attenzione durante i concerti crea un intenso campo energetico che può esercitare una forte influenza sul corpo; in particolare su una ghiandola del cervello, l’amigdala, centro di tutte le nostre emozioni. Mi piace indagare le infinite sfaccettature dell’essere umano e sono felice di poter continuare il percorso di scoperta con i miei compagni di avventura, musicisti e psicologi.

 

Se fossi un genere musicale e una corrente artistica, quale saresti e perché?

Come genere musicale direi l’Indie-Soul, con un pizzico di musica elettronica. È difficile definirmi in un genere preciso perché come dice il mio nome, Onda, sono in continuo movimento e domani potrei identificarmi diversamente. Negli studi milanesi P37 e Purple Studio, assieme alla mia producer Angelica Console, giochiamo a mixare diversi generi e sono convinta che questo esercizio mi aiuti a crescere e consolidare la mia identità musicale. Credo che la mia ambizione sia di sembrare un po’ diversa in ogni pezzo, in ogni canzone inserire una parte inedita di me. Se fossi una corrente artistica sarei l’Impressionismo, perché amo cantare “en plein air” e sono convinta che, come pensavano gli impressionisti, la realtà debba essere rappresentata come viene percepita dall’occhio dell’artista nel momento in cui crea e non ricostruita a posteriori. Solo così, “in diretta”, si possono catturare le emozioni e imprimerle sulla tela. Le spettacolari contrapposizioni cromatiche che troviamo nelle Ninfee di Monet dai contorni sfumati, lasciano un’indiscutibile libertà emotiva, che apprezzo in tutte le declinazioni dell’Arte.

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