Zoostat: Siamo qualcosa da superare | Recensione singolo “Geometrica”
Zoostat è un nuovo progetto musicale fondato da due autori di Genova che uniscono percorsi diversi. Da una parte l’approccio cantautorale e l’attività poetica, dall’altra anni di esperienza come produttore, musicista e autore. La caratteristica principale è la ricerca di sintesi fra stili e codici apparentemente distanti come la musica elettronica e la forma canzone, la musica italiana e le atmosfere nord europee, i sintetizzatori e il calore degli strumenti acustici. I testi in italiano sono ispirati dall’interesse e la passione dei due autori per la spiritualità e la psicologia.
Ma Zoostat non vuole presentarsi unicamente come un duo, vuole essere un percorso condiviso. Le collaborazioni con cantanti e musicisti sono il valore aggiunto di questo progetto.
Nel novembre 2020 i Zoostat esordiscono con il brano “Geometrica” che al primo ascolto mi ho lasciato positivamente e piacevolmente spiazzato. “Geometrica” infatti è più di una canzone, più di un insieme di parole e musica, dove l’uno funge da ossatura per l’altro. Fin dai primi secondi rimango colpito dal sound unico dei Zoostat: un sintetizzatore modulare pulsante ci introduce ad un mondo onirico, sottolineato dall’intervento del flauto traverso, che spezza le “catene” elettroniche. Reverberi, delay, rapidi cambi di suoni si alternano nelle cuffie, in una sorta di introduzione sofisticata alla materia/non materia.
Ripenso a quando a scuola si studiavano le prime scoperte scientifiche, a quando leggevo nei libri che “in passato la luce veniva considerata come pulviscolo, come un qualcosa di fisico, tangibile“. Ecco, questa è la prima “immagine” che mi viene in mente per definire “Geometrica“. Vedo luce tra gli alberi, ma non nella sua accezione “metafisica”, ma come qualcosa che puoi toccare, che puoi sentire, che taglia la nebbia di un bosco Scandinavo come un coltello che affonda nel burro. Le parole non tardano ad arrivare e, incredibilmente, si allacciano in modo del tutto naturale alla prima immagine che mi è venuta in mente.
“Il punto di vista del punto, che pensa di essere uno in mezzo ai punti e non si pensa linea” rivela una verità spesso invisibile agli occhi. Seppur unici, facciamo parte di qualcosa di più grande, qualcosa che ha senso soltanto nel suo insieme, ma che è strettamente legata al singolo. Quando noi cambiamo forma, cambiamo punto di vista, cambiamo emozioni tutto ciò che siamo cambia trasformando in modo biunivoco anche tutto ciò che ci circonda. Punto che diventa linea, che diventa piano, che diventa spazio. Spazio dove accade la vita. Evoluzione invisibile, ma ontologica. C’è, esiste, anche se spesso non ce ne rendiamo conto.
Geometrica dimostra, nella sua evoluzione compositiva e lirica, di essere ben più di un “memento esse“. I Zoostat sottolineano in modo poetico ed estremamente realistico il loro mantra “lasciarsi indietro, voltarsi ed accettare di essere qualcosa da superare” in un crescendo catartico. Non mi trovo più tra i fitti rami della foresta scandinava, ma seguendo la luce che filtra tra le fronde, sento di essere più vicino ad una radura.
Il brano, quasi sussurrato, comincia a vivere una climax emotiva in cui anche gli strumenti giocano un ruolo fondamentale. Il flauto traverso adesso non è più solo: sassofono baritono e fagotto prendono spazio, in un’atmosfera avvolgente orchestrale. I bassi sono più presenti, colpiscono la pancia e mi fanno sentire chiaramente il divenire fisico delle sensazioni metafisiche. Sembra un controsenso, detta così.
Ripenso, ancora, alla scuola; a quando mi hanno insegnato che metà tà physikà (in greco “oltre le cose sensibili) è qualcosa che viene dopo le cose fisiche, le cose sensibili. Cronologicamente metà tà physikà infatti è l’insieme delle opere aristoteliche collocate dopo i libri di fisica sulla natura delle cose.
Eppure Geometrica mi dimostra come non ci sia un ordine in tutto ciò: il punto (invisibile) diventa linea, che diventa piano, che diventa spazio.
La musica si fa sempre più incalzante, i sintetizzatori adesso non sono più pulsanti ma tengono le note, fisse, ampie, come il manto erboso delle radure scandinave, su cui correre liberamente senza aver paura. Il beat mi ricorda i passi, prima incerti, poi sempre più veloci in una corsa a perdifiato nel verde, fino a sentire l’aria ghiacciata che punge la faccia. Immagino il sole, non umanamente raggiungibile, eppure reale. E’ là che punto adesso. Non ho più limiti. E pensare che io, Vincent, essere umano, sono solo l’insieme di tanti invisibili puntini.
L’Arte ci salverà. Grazie Zoostat, grazie davvero.
Devi effettuare l'accesso per postare un commento.