SANPA: La Comunità di Recupero di San Patrignano secondo la docu-serie di Netflix | Recensione

Di Vernante Amarilla Pallotti

L’avreste mai detto che una docu-serie italiana sarebbe diventata uno degli argomenti più dibattuti sui social, alla vetta dei titoli stra-visti su Netflix? SanPa – Luci e tenebre di San Patrignano” è uscita il 30 Dicembre e da allora non ha più smesso di far parlare di sé, tra chi l’ha amata alla follia e chi la considera immorale per il racconto non obiettivo.

D’altronde come poteva non fare scalpore il ritorno di una storia che in passato ha già spaccato l’opinione pubblica? È anche il bello dei documentari, che riescano a far parlare, che provochino e propongano un punto di vista con i dovuti chiaroscuri (altrimenti in circolazione troveremmo solo mega spot stile “Chiara Ferragni – Unposted”, che in ogni caso, come guilty pleasure, tutti dovrebbero guardare).

Trama

Basta accedere a Netflix per essere accolti dalla scritta a caratteri cubitali “SANPA”, che sta per San Patrignano, la comunità di recupero per tossicodipendenti di Rimini fondata dall’imprenditore Vincenzo Muccioli nel 1978. Una sigla che ricorda molto quella di Narcos ci introduce a una visione che, ne siamo consapevoli, sarà molto dura riguardando un tema che evidentemente ancora oggi ci parla da vicino. Sanpa, sviluppata da Gianluca Neri con la regia di Cosima Spender, inizia il suo racconto alla fine degli anni ’70, quando la mafia ha inondato le strade italiane di droga a basso costo, in particolare eroina.

Queste sostanze hanno trovato terreno fertile nella generazione di ragazzi delusi dal crollo delle utopie politiche giovanili, che stavano scemando davanti ai loro occhi. In breve tempo il fenomeno è sfuggito di mano, riducendo i giovani a fantasmi, pronti a vendere qualsiasi cosa pur di avere un’altra dose. Lo stato italiano stesso è stato preso alla sprovvista dall’emergenza, fornendo solo risposte poco efficaci, ma in questo scenario disastroso qualcuno ha deciso di cambiare le carte in tavola.

L’imprenditore italiano Vincenzo Muccioli, per reagire alla gravità della situazione, ha fondato una comunità di recupero che in breve tempo si sarebbe riempita di coloro che erano stati ripudiati dalla società. La serie analizza un ventennio di storia, dalla nascita della comunità sul colle di San Patrignano alla morte di Vincenzo Muccioli, tracciando il percorso di quello che è diventato un vero e proprio impero e, come tale, ha conosciuto le fasi che danno il titolo agli episodi: nascita, crescita, fama, declino e caduta.

Luci

Gli irrecuperabili, i ragazzi con i quali persino le famiglie di origine avevano gettato la spugna, Vincenzo li accoglieva uno a uno, come in una grande famiglia. Le testimonianze di coloro che a San Patrignano ci sono stati ripercorrono nei primi episodi la bellezza di trovare finalmente un luogo da cui ripartire, una comunità della quale prendersi cura, e persino un padre nella figura di Vincenzo che era sempre in mezzo a loro. San Patrignano era una sorta di azienda agricola che gli ospiti stessi avevano il compito di gestire e migliorare, costruendo, coltivando, allevando, ognuno con la mansione più adatta alla propria indole. Sembrava un paradiso in confronto alla devastazione per le strade, ricostruita nel documentario grazie alle immagini di repertorio incredibili. Ma poteva non esserci un prezzo da pagare?

Ombre

Dopo i primi episodi in cui ci viene presentato un mondo idilliaco, la serie introduce le controversie legate alla comunità, che per decenni è stata al centro dell’attenzione per i metodi violenti volti a curare le dipendenze più gravi. Processi e indagini sono stati condotti intorno alla figura di Muccioli, in particolare per il ritrovamento di pazienti incatenati e rinchiusi nelle zone isolate di San Patrignano.

Una questione sfumata, impossibile da trattare in modo oggettivo poiché arriva a coinvolgere il concetto stesso di Bene e Male, così intimamente connessi e confinanti. La domanda davanti alla quale la serie ci pone è: “Quanto è giusto fare il Male per poter fare il Bene?”. Questo è ciò che viene messo in primo piano da Netflix, che ha portato i protagonisti di queste vicende a dividersi tra chi ha apprezzato la serie e chi la ha condannata come un racconto di parte. Tra gli arrabbiati troviamo gli ospiti e gli operatori di San Patrignano (che tutt’oggi è attiva) e personaggi vicini a Muccioli come il figlio di Paolo Villaggio o Red Ronnie, giornalista e critico musicale in prima linea negli anni di fuoco della comunità. Nonostante si sia prestato alle interviste degli autori, Red Ronnie è stato molto deluso dal montaggio finale, che secondo lui ha escluso volutamente le testimonianze di coloro che sono usciti bene dalla comunità, privilegiando i detrattori che hanno fornito materiale per la spettacolarizzazione.

Successo

La risposta degli autori è stata molto serena: la docu-serie è stata realizzata in 3 anni con 180 ore di interviste e 51 differenti archivi per ricostruire la storia in modo accurato. Gli autori avevano già messo in conto che ci sarebbero state delle polemiche, ma l’obiettivo era quello di raccontare in modo completo, senza preoccuparsi di compiacere una delle parti in causa. Il pubblico in qualche modo ha voluto premiare il loro lavoro, visti gli ascolti, specialmente tra i giovani. Per la generazione dei nostri nonni e dei nostri genitori, le “Luci e Ombre” del titolo della serie erano fatti di cronaca e quotidianità, ma noi giovani cosa c’entriamo in tutto questo? Perché la serie ci ha appassionato così tanto? È una domanda alla quale ognuno di noi dovrebbe trovare la sua risposta.