PH: Matteo Guariso

Riccardo Morandini: “Abbiamo la vista offuscata, ma non ce ne accorgiamo” | Intervista

I social network e i mass media hanno esasperato la nostra realtà sovraccaricandola di imput visivi che il nostro cervello, a volte fatica a ricevere e comprendere, dato che viene costantemente bombardato da nuove immagini. Questo diventa un filtro attraverso il quale vediamo il mondo di oggi, e senza accorgercene abbiamo una visione offuscata e non sempre reale di quello che sta succedendo.

“Immagine“, nuovo brano di Riccardo Morandini, è il punto di vista critico di un cantautore che sente il bisogno di spogliarsi della vista per osservare attraverso gli occhi dell’anima.

Bisognerebbe trovare il coraggio di tornare a giudicare quello che vediamo liberandoci da inutili preconcetti che ci sono stati autoimposti nel corso degli anni, con ognuno di noi che deve prendere posizione, giudicando autonomamente ciò che per lui è giusto e sbagliato, bello o brutto.

Morandini è un artista che non ha paura di usare la musica come strumento di denuncia riflettendo su temi complicati e interessanti, attraverso il quale diventa fondamentale  però prendere posizioni, smettendola di subire tutto in maniera passiva.

INTERVISTANDO RICCARDO MORANDINI

Attraverso la musica cerchi una nuova visione della realtà?

A livello testuale più che altro condivido alcuni miei punti di vista sulla realtà, o riflessioni con cui sono entrato in contatto e che mi hanno colpito. Ma quello che cerco nella musica è soprattutto il piacere del processo di scrittura. Ovviamente spero anche in un riscontro del pubblico, e il fatto che qualcuno possa rispecchiarsi in un mio brano è il massimo coronamento del percorso. 

Ci sono differenze tra Riccardo Morandini uomo e Riccardo Morandini artista?

I miei testi non sono altro che le riflessioni a cui tengo di più e su cui mi soffermo nella mia quotidianità, quindi mi ritengo piuttosto trasparente e privo di maschere. Tuttavia un brano o un disco riflettono solo un frammento della personalità di chi scrive. Mi viene da pensare ad “Immagine” che è un brano dai toni abbastanza cupi: ciò non significa che a livello umano io non abbia lati ironici e goliardici. Il cliché di Tenco che usciva quando era felice ha una sua validità. Spesso uno trova lo sfogo di una situazione conflittuale mettendola in musica, o predilige tematiche “impegnate” e per questo trasmette un’immagine di sé più tetra e seriosa di quello che è nella realtà. 

PH: Matteo Guariso

Perché Santa Lucia ha scelto di privarsi della vista?

In verità la vicenda del martirio è diversa, ma essendo patrona della vista, spesso viene rappresentata mentre reca i propri occhi su un piatto. Il fatto di privarsi della vista “sensibile” per avere una più chiara visione spirituale è una metafora utilizzata spesso, ma mi sembra un concetto ancora più potente in riferimento all’attualità, che ci vede bombardati quotidianamente da migliaia di immagini. L’occhio è la nostra principale porta sul mondo, e il fatto di stimolarlo senza tregua fa sì che anche l’interiorità sia in continuo subbuglio, senza un attimo di pace, di buio, di silenzio. In questo senso l’invito a “privarsi della vista” è un invito a una sorta di pulizia spirituale. 

La società di oggi sta diventando sempre più egocentrica?

Direi che è evidente. Da anni le narrazioni collettive sono tramontate e l’unica prospettiva è quella della realizzazione lavorativa, nell’ottica dell’individualismo di stampo neo-liberista. 

Il filo conduttore del mio nuovo disco è proprio questo e la maggior parte dei brani trattano di piccoli stratagemmi che possano sollevarci dal peso enorme dell’individualità nell’epoca contemporanea. E allora l’immersione nella natura, l’amicizia e la solidarietà, un’attività artistico/artigianale in cui perdersi, l’amore, l’ebbrezza (in senso spirituale e non) diventano dei farmaci quotidiani in cui trovare conforto. “Immagine” è l’apertura del disco e in un certo senso funge da preludio, presentando il vortice egotico in cui siamo trascinati e dal quale gli altri brani possono aiutarci a risalire.  

Ti fanno paura le tenebre dell’io?

Direi di no, dato che ci sono quotidianamente immerso e penso sia un’ombra diffusa.

Con il termine tenebre dell’Io  intendo l’essere costantemente ottenebrati da una prospettiva individualistica il cui mantra ossessivo è la produttività, la competizione, la prevaricazione sull’altro. Rare sono le illuminazioni in cui ci si rende conto che siamo un tutt’uno organico fatto di relazioni e che l’io è molto meno solido e adamantino di quanto ci sembri nell’auto-narrazione quotidiana. 

Avere fede significa?

A prescindere dal fatto che sia una fede religiosa o un’ideologia, penso sia importante sentire di far parte di qualcosa di più grande di noi. Ci salva dalla solitudine e ci solleva dal peso eccessivo di un’individualità totalizzante, oltre alla quale sembra che non ci sia nessun orizzonte.  

Com’è cambiato il rapporto uomo e immagine con lo sviluppo dei social network?

In primo luogo siamo immersi in un flusso continuo di immagini, cosa che a mio avviso atrofizza l’immaginazione. Vale per ogni ambito artistico nell’era di internet: c’è una grande quantità di informazione più o meno standardizzata alla quale abbiamo accesso infinito, che impedisce l’emergere di peculiarità “territoriali” e scene innovative. In secondo luogo, gli individui sono diventati dei brand, si vendono e si auto-promuovono quotidianamente spacciando un’immagine fittizia di sé stessi, spesso pericolosamente distaccata dalla realtà. 

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