Così scappi da te | Indie Tales

Era notte tarda quando all’improvviso la porta sbattè forte contro il muro e dopo pochi secondi entrò una ragazza con il viso scavato dalle lacrime e la faccia stanca, ma aveva ancora voglia di divertirsi o forse bisogno di dimenticare. Urlò “Wei dammi una cazzo di birra! Non ne posso più, stasera mi ammazzo!”.

Il barista, senza dare troppo peso alla richiesta un tantino maleducata, fece finta di niente mentre continuava a mettere apposto dietro al bancone. Stava quasi per sorgere il sole e stava arrivando il momento di tornare a casa, per riposarsi dopo un sabato di festa. Luigi, proprietario del bar da più di 40 anni era sempre lì ad aiutare i figli, addirittura lasciandoli andare a casa un po’ prima, per  riuscire così a guadagnare qualche minuto in più a letto. Ah i giovani d’oggi non sono più quelli di una volta gli ripeteva lui prima di salutarli, ma in realtà loro obbedivano implicitamente ad una richiesta del padre, che amava sedersi a bere un ultimo sorso, ammirando le sedie vuote riposte tutte in ordine dopo la confusione e il gran vociare degli amici, che lì seduti avevano discusso sui misteri della vita, facendo tintinnare ritmicamente i boccali come se stessero celebrando un antico rituale.

“Vecchio, mi hai sentito? Ti dai una mossa! Ho seteeeeee!” ribatté lei sbiascicando.

Con tutta la tranquillità, il barista quasi sottovoce gli rispose: “Signorina, innanzitutto buonasera, ora starei chiudendo forse è meglio che se ne torni a casa anche lei”.

La giovane, scuotendo la testa, “Non posso, ho bisogno di bere e dimenticare”.

Luigi, aveva sempre avuto un debole per le storie, gli piaceva sentire i racconti degli altri e proprio per questo motivo aveva deciso di aprire il bar. Era un piccolo paesino di provincia, dove tutti sapevano tutto di tutti, ma quella ragazza, a pensarci bene non l’aveva mai vista, e incuriosito voleva saperne di più. Così gli propose un accordo.

“Io ti do una birra, ma tu mi racconti cosa ci fai qui”

“Uff che palle, voglio solo bere la mia birra. Non ho aperto la porta di uno psicologo, mi sembra che questo sia un bar o mi sbaglio?” Rispose lei con fare scontroso.

“Ok allora buonasera, sto per chiudere.” Disse Luigi prendendo le chiavi in mano e avvicinandosi verso la ragazza.

“Dai va bene”

Il barista accennò un mezzo sorriso dirigendosi  allora dall’altra parte, verso il bancone.

“È difficile spiegare quello che mi è successo. Sono uscita di casa per andare a ballare con le mie amiche poi però qualcosa mi ha fermato, facendomi cambiare idea. Invece di girare alla rotonda per andare verso la discoteca, sono andata dritta e ho seguito la strada per diversi chilometri, senza una meta precisa. Ad un certo punto ho fermato la macchina e sono scesa, iniziando a vagare. Sono alcuni giorni che mi sento strana, ma non so bene perché.  Forse mi…”

“Ti manca il tuo ragazzo?” suggerì l’uomo.

” No, è qualcosa di diverso” proseguì. “Mi sento persa, come se non avessi più nulla da dare a questo mondo. Si lo so sono giovane, ho ancora tutta la vita davanti però mi manca qualcosa. Mi manca un obiettivo e il futuro mi fa paura”

“Cara non ti preoccupare” disse Luigi.  “Anch’io alla tua età ho avuto un momento come il tuo, forse capita a tutti, ma poi all’improvviso, passando davanti a questo bar ormai abbandonato. Tutto in disordine, persino con i vetri rotti e i tavoli scheggiati, ho avuto un’idea. Ma sai che quasi quasi rimetto a posto questo macello e creo il mio pub? Così mi sono rimboccato le maniche e ho finito di scappare. Mi sono seduto dietro a questo bancone e qua ho trovato la mia pace. Ho costruito giorno dopo giorno la mia vita e adesso che potrei starmene tranquillamente a casa a riposare vengo qui lo stesso, per ringraziare questo luogo che mi ha dato la possibilità di essere Luigi, il barista del bar del paese. Si lo so ora i tempi sono cambiati, magari i tuoi sogni sono diversi, ma fermati un attimo, rallenta, guarda cosa c’è intorno, forse è proprio lì che si nasconde la tua felicità”.

RACCONTO  LIBERAMENTE ISPIRATO AL BRANO “COSÌ SCAPPI DA TE” DI ANGELO IANNELLI