I Migliori Album #IndieItalia del 2022

Le evoluzioni della musica italiana diventano, di anno in anno, sempre più imprevedibili e sorprendenti. Quando tutti gridavano alla fine del periodo d’oro della musica indipendente iniziato con le epopee indie del 2017, eccoci qui, a celebrare delle vere e proprie perle di musica italiana tra generi diversi: dall’urban, al jazz, da nusoul alla musica partenopea passando per il rap, il rock e per il pop cantautorale.

Varietà, Originalità, Urgenza Creativa: sono queste le tre parole chiave che la redazione di Indie Italia Magazine ha tenuto in mente per la creazione di questa speciale selezione dei Migliori Album #IndieItalia del 2022.

Pront* a rivivere il vostro 2022 in musica? Iniziamo!

Godetevi questo regalo, realizzato dalla #Redaz per ringraziarvi del supporto che ci mostrate dal 2017 ad oggi.

*Questa non è una classifica.

 

Verdena – Volevo Magia 

Dopo 7 anni di attesa, i Verdena sono tornati. La migliore rock band italiana degli ultimi 20 anni ci abbaglia con “Volevo Magia”. 13 brani che aprono la strada per un nuovo percorso della band composta da Alberto Ferrari, Luca Ferrari e Roberta Sammarelli.

“Volevo Magia” è un album puramente rock contraddistinto da suoni duri, imponenti e travolgenti che straripano sull’ascoltatore, lasciandolo senza scampo.

Sentimenti che esplodono ed implodono in un campo di battaglia caotico: la band bergamasca non conosce le mezze misure.

I Verdena con questo nuovo incantesimo post-pandemico in formato power-rock, creano e distruggono generando vortici emozionali che si levano dal suolo per raggiungere nebulose sensoriali inesplorate: viaggi extracorporei contraddistinti da sfumature psichedeliche fatte di rabbia, amore, romanticismo, voglia rivalsa, sensibilità ma allo stesso tempo distacco nei confronti del mondo esterno e quindi brama di alienazione.

“Volevo Magia” è un album realizzato al massimo delle potenzialità. Tecnicamente ineccepibile, rispecchia perfettamente lo stile e l’intenzione artistica unica che questa band ha plasmato negli anni senza mai tradirsi per offrire le proprie virtù alla mercè della discografia.

Il pianeta Verdena è tornato a intercettare l’orbita terrestre e noi siamo pronti a farci un salto!

(Salvatore Giannavola)

 

Ada Oda – Un amore debole

From Bruxelles with love, gli Ada Oda entrano di prepotenza sulla scena musicale e si prendono il loro posto. “Un amore debole” non è un disco, è un viaggio nel tempo, un sogno distopico che sa di anni ottanta, di un pop-punk un po’ belga e un po’ italiano. Un progetto nuovo e originale che sfonda i confini della musica nazionale e segue il trend sviluppatosi negli ultimi anni di unione tra sonorità rockeggianti vecchio stampo e contemporaneità. La voce di Victoria, carismatica frontman dalle origini siciliane, ci canta l’amore come non siamo abituati a sentirlo, dalla bocca di chi non ha dubbi e non ha bisogno di chiedere, ma sa che, in questo casino, non è disposta a scendere a nessun tipo di compromesso. La musica si sposa alla perfezione con il tema e con la vocalità forte della cantante e ci trascina in un ipnotico viaggio musicale di cui non sapevamo ancora di aver bisogno.

(Benedetta Fedel)

 

Miglio – Manifesti e immaginari sensibili

Come per le foto, così per le canzoni gli album sono dei raccoglitori, degli archivi speciali, legati da un fil rouge semantico e temporale che tiene stretti e che sono bollati da un titolo.

“Manifesti e immaginari sensibili” è quello di Miglio, il titolo del suo nuovo EP che, come un grosso contenitore, ha messo insieme le canzoni che conoscevamo già insieme a quelle che non avevamo ascoltato ancora. E non solo. A queste, come anticipa il titolo del disco, si aggiungono tutte le foto, le immagini che diventano per Miglio, i manifesti per cui scrivere e comporre, come solo lei sa fare. Miglio con questo album entra di diritto nel pantheon dei cantautori e delle cantautrici emergenti più promettenti del panorama musicale italiano odierno. I suoi brani sono racconti vividi di esistenza alla soglia dei 30 anni, tra sfumature grigie di malinconia e flash psichedelici che ci fanno sognare e spaziare con il cuore e con la mente.

(Ilaria Rapa)

 

Oratio – Tropico del mare

Un disco estivo, quello di Oratio, che in “Tropico del mare” ci propone sound pop con contaminazioni elettroniche e jazz, individuiamo persino spruzzi di bossa nova, e, a distanza di dieci anni dal suo ultimo progetto, ci dedica dieci tracce dreamy per rimpiangere tutti i nostri amori estivi. “Ripartiremo da zero, ci dormiremo un po’ su, ci proveremo di nuovo o non ci proveremo più” (FirenzeMare) malinconia e ricordi sono le parole chiave di questo disco delicatissimo ma allo stesso tempo ricercato, che ci proietta dentro il mondo di Oratio, che troviamo maturo e consapevole del percorso che vuole intraprendere. “Tanto io non cambio mai” (Io tu e i miei amici) ci racconta il cantautore, ma sappiamo bene quello che intende: a volte cambiare fa bene, ma ritorneremo sempre dove siamo stati felici. “Tropico del mare” è proprio ciò che le nostre orecchie necessitavano, per superare queste uggiose giornate autunnali, in cui l’estate ci sembra quasi che non sia esistita mai.

(Margherita Ciandrini)

 

Bnkr44 – Farsi male a noi va bene 2.0

 

Il collettivo toscano rivelazione di questi ultimi anni ci ha stregato tutti con l’album “Farsi male a noi va bene” nel 2021, arricchito con altri inediti in “Farsi male a noi va bene 2.0” che raccoglie le esperienze, le paure, la voglia di crescere dei componenti del collettivo: Fares, Erin, Caph, JxN, Faster, Piccolo, Ghera e con i 20 brani che compongono l’album impariamo a conoscerli ed amarli. Non ci stanchiamo mai di ascoltarli, con la loro voglia di sperimentare e di farci entrare in mondi che non sapevamo neanche esistessero, ma sono sempre stati dentro di noi e proprio come in “Girasole” giriamo intorno ai discorsi per poi finire a farci del male.
Due sono le collaborazioni dell’album, con Tredici Pietro e Ariete, nomi importanti della scena indie italiana e giovanissimi come loro, capaci di descrivere quindi questa generazione Z che sembra essere quella più emotiva e piena di ansie e paure. “E ora dove vai, se la notte si ferma e non hai mai sonno?” (“Mai sonno”) la notte è teatro di tanti brani dei Bnkr44, momento preferito per riflettere sulla vita e sul futuro, guardando fuori dalla finestra i palazzi e le macchine che passano, mentre ci sembra di fuggire dalla realtà e precipitiamo giù nel baratro del bilico ma risaliremo di nuovo, con le nostre forze e con l’aiuto delle persone che ci stanno accanto.
Alla fine, farsi male a noi va bene, proprio come raccontano i Bnkr44 ci sono dei momenti in cui il dolore è l’unica sensazione che ti fa capire di riuscire a provare ancora qualcosa, quando anche l’ultima luce ci sembra spenta, capiamo che se stiamo male, abbiamo ancora qualcosa per cui lottare e allora “tutto normale, se ci stai male, corriamo leggeri quando dici di sì” (“Raggio mortale”).
(Margherita Ciandrini)

 

Ibisco – NOWHERE EMILIA

NOWHERE EMILIA è una favola dark urlata a denti stretti, sdraiati a testa in giu nei campi di provincia, in una di quelle notti dove la luce delle stelle si copre con il fumo del fabbriche.

Guardare in alto diventa inutile, anzi addirittura dannoso per chi ha la consapevolezza che non potrà mai andarsene via da certi posti, anche se sta vivendo la sua vita controvoglia, ma come se fosse vittima di una maledizione è obbligato a rimane incastrato dentro immensi spazi aperti come se vivesse sotto a una cupola invisibile dalla quale nessuno può sfuggire.

Chi non può fare una rivoluzione preferisce accontentarsi di vivere tra noia e rabbia, disegnandosi sul volto un sorriso amaro, come se in realtà non fosse un tipo di espressione, ma una cicatrice indelebile.

(Nicolò Granone)

 

Giallorenzo – Super soft reset 

La band bresciano-bergamasca torna con un album dalle sonorità propria del gruppo rock-pop, a tratti sperimentale ed alternativo, come si può ben evincere dalla fine di Corolla, dove troviamo un suono ”sporco”, come se fosse successo qualcosa in sala registrazioni ma che risulta essere assolutamente affascinante.

I temi trattati sono molteplici, il fil rouge che li guida è una sorta di angoscia soffocante (“mi sento come Gerry Scotti chiuso in una botola”) che si manifesta in quel passaggio dai spensierati venti all’età adulta. La sensazione di sentirsi persi, come quando si spara a caso una risposta sul cruciverbone perché metaforicamente si ignora la giusta via da prendere, che ci porta ad aggrapparci ai nostri porti sicuri, e infatti ‘’quando cala la sera avrei bisogno di te”, di quella persona che in qualche modo ci rassicura.

Undici tracce in cui perdersi nel sentimento di malinconia, facendoci soffrire bene. Effetto collaterale del disco: lacrime che bagnano un viso segnato da un sorriso consapevole che le situazioni cantate, se non le ha ancora vissute, prima o poi incroceranno inevitabilmente il suo percorso.

Forse il desiderio della band era proprio quello di chiederci di arrestarci un attimo, ripensare ai momenti difficili e turbolenti, tormentarci il giusto, poi prender fiato e schiacciare quel maledetto tasto reset per ripartire.

“Sicuro di niente riparto da qui”. Grazie Giallorenzo.

 

Edoardo Elia – Pianeta Acquario

Edoardo Elia crea il suo personale pianeta ideale, mettendoci dentro tutto ciò che lo fa stare bene. Un posto in cui il suo romanticismo è libero di esprimersi e di andare dove vuole. Ogni brano sembra quasi far parte di un’altra dimensione, come “Norvegia” che ci riporta ad un posto da sogno, idealizzato, che non ci tiene ad essere descritto ma che basta solo dirne “terra di una meglio gioventù”, “Santiago” un viaggio onirico in cui la fantasia si mescola ai ricordi o “Piccola città” in cui tutto al suo interno è fermo nel tempo, mentre al di fuori tutto cambia.
I brani all’interno del disco sono tanti piccoli pianeti con una propria identità musicale, ma che se presi nell’insieme rappresentano un percorso ben definito, che trova una sua coerenza nel suo essere estraneo alla realtà. Il Pianeta Acquario di Edoardo Elia è sicuramente un posto da visitare.

(Filippo Micalizzi)

 

GINEVRA – DIAMANTI

“Immaginate di meditare e di riuscire a raggiungere la parte più segreta che vive dentro di voi. Lì troverete una pietra preziosa: la consapevolezza che ognuno di noi brilla come un diamante”.

È così che GINEVRA ci racconta il suo disco d’esordio “DIAMANTI”, un viaggio nel paese delle meraviglie della cantante.

Atmosfere tra Aurora, Elisa Toffoli, Mahmood. Ma anche un pizzico di anni 90, Massive Attack, Autechre, follia. Il tutto tenuto insieme da una voce da creatura magica.

Poco pop e tanta creatività per uno dei progetti più interessanti in circolazione. Pezzi preferiti: OCEANO, ASTEROIDI, TORINO. Ascoltateli.

(Vernante Pallotti)

Matteo Alieno – Alieni

Sono andata a cercare sul dizionario la parola “genuino” e stranamente ci ho trovato una foto. Rappresentava un ragazzo con un improbabile caschetto seduto nella sala di un cinema in mezzo a gente con gli occhiali 3D.

Ho scoperto che era la copertina di un album appena uscito, “Alieni”, e me lo sono ascoltato d’un fiato per capire la definizione di “musica genuina”. 11 tracce autentiche come una risata o una lacrima che non riesci a trattenere. Una notizia che senti al telegiornale e che ti sembra vera.

Matteo Alieno è genuino e per questo vuoi la sua musica nella tua vita. Le insicurezze e le emozioni che contiene il nuovo album sono le nostre: i vent’anni senza filtri o forzature. Dedicato a tutti quelli che si sentono alieni sulla terra.

(Vernante Pallotti)

 

Mangrovia Twang – Giorni che esplodono

Prendendo in prestito un verso di “Giorni che esplodono”, brano di apertura del disco possiamo affermare che: questo è un album che esplode! I brani contenuti nel disco di esordio della brand, sono vere e proprie detonazioni di sound che illuminano il buio dell’ascoltatore che si propagano nell’aria.

Nusoul, RnB, Nujazz: un mosaico di stili che traccia dopo traccia, grazie anche alle vocalità soavi ed eleganti di Lauryyn e Dalila Spagnolo, come edera indomabile, si disvela in 6 storie,  accomunate da un elemento emozionale condiviso: la nostalgia di un sentimento che sta appassendo lasciando dietro di sè un vuoto da colmare.

Il sottofondo sonoro di queste narrazioni in musica accompagna perfettamente gli stati emotivi delle tracce di questa raccolta di brani e sembrano avere un intento: quello di alleviare i graffi e le ferite che l’amore ha inflitto sulle ali dei protagonisti della storia d’amore che come una fiamma sferzata dal vento cerca di sopravvivere alle avversità.

“Giorni che esplodono” è indubbiamente uno dei migliori album del 2022 e non possiamo che aspettare con trepidazione le nuove creazioni di questo trio composto dai tarantini Mattia Locapo, Roberto Sticchi e Manuel Rossi.

(Salvatore Giannavola)

 

Rosita Brucoli – Camminare e Correre

“Come si scrive io, come si scrive tu, come si scrive specchio, mi viene voglia di coprirlo adesso”.

È questa la frase che alcuni anni fa ci fece innamorare dell’impronta artistica di Rosita Brucoli. Da quando ascoltammo la versione live, pubblicata sulle piattaforme digitali soltanto venerdì scorso, non abbiamo più smesso di seguire le evoluzioni del percorso di Rosita che finalmente ci regala il suo primo album dal titolo “Camminare e Correre”.

Una raccolta di 7 brani tra inediti e singoli già presenti sulle piattaforme, attraverso cui Rosita si presenta ufficialmente al pubblico.

Un album introspettivo caratterizzato da due elementi: la demonizzazione di un passato personale e familiare che non vuole rinnegare. Una linea di eventi da tenere a mente e da interrompere per vivere il presente con spensierate e il futuro con positività. E poi, la voglia di continuare a crescere, sbagliare, sperimentare il bello che la vita ha da offrire.

Rosita vuole essere protagonista di una storia inedita e ci trasmette questa sua intenzione con proprietà canore eleganti e raffinate e con liriche che portano l’ascoltatore a riflettere anche sul proprio percorso di vita e sul rapporto famiglia, educazione e autodeterminazione.

(Salvatore Giannavola)

 

Tripolare – Acne 

L’acne è un fastidioso simbolo che identifica il periodo dell’adolescenza, Tripolare usa questo concetto per raccontare i disagi della sua generazione.

L’incertezza è il filo conduttore di questo disco intimo e a tratti ribelle, tutto rimane in bilico come un giovane che vuole diventare grande, ma non sa come affrontare tutte le conseguenze.

“Ho paura di fare un orgia voluta da me” quando è difficile assumersi le proprie responsabilità davanti ad una scelta?

Ovviamente in questo processo interiore fa la sua parte anche l’amore che può essere uno stimolo per gettarsi in folli imprese o una pesante ancora che trascina sul fondo.

(Nicolò Granone)

 

Visconti – DPCM

DPCM è il titolo del nuovo album di Valerio Visconti uscito per Dischi Sotterranei e prodotto da Giulio Ragno Favero del Teatro degli Orrori.

DPCM è “un inno che nasce durante il lockdown per scalciare l’incertezza”, come ci anticipano nel post che annuncia l’uscita dell’album, e già ad un primo ascolto non possiamo che trovarne conferma. Visconti non ha la minima incertezza, infatti, nel presentarci un lavoro che ricorda (finalmente) “il buon vecchio indie”, deciso e decadente, a tratti punk, a tratti più classico.

Con DPCM Visconti ha dimostrato come, nonostante questi ultimi anni difficili in cui anche la musica indie ha inevitabilmente subìto cambiamenti importanti, sia ancora possibile omaggiare i grandi classici e allo stesso tempo creare qualcosa di innovativo. Era forse proprio ciò di cui avevamo bisogno.

 

Gazebo Penguins – Quanto

A 5 anni di distanza dal precedente disco i Gazebo Penguins tornano finalmente con 7 nuovi brani che danno forma a “Quanto”, il loro ultimo lavoro.
“Quanto” è un disco caratterizzato dalla solita violenza a cui i Gazebo già in passato ci avevano abituati, ma che risulta innovativo sotto altri aspetti. La band ha infatti deciso di spingersi oltre andando a sperimentare il più possibile, come ad esempio in “Nubifaggio” nel cui finale la musica si destruttura in una fantastica jam session che culmina in un uragano di suoni.
Nel viaggio che i Gazebo Penguins hanno deciso di intraprendere non c’è spazio per la realtà, in questi 7 brani, punti fermi come lo spazio ed il tempo vengono distorti per plasmare un mondo ideale lontano dalla deludente realtà. Il risultato è un una rabbia che esplode direttamente nelle orecchie di chi ascolta, che ci riporta finalmente al caos dei Gazebo Penguins che da anni ci mancava ascoltare.

(Filippo Micalizzi)

Elephant Brian – Canzoni da odiare

Ascoltando il secondo album della rock band perugina non capisci bene se ti sta investendo una malinconia potente oppure una potenza malinconica. Quella degli Elephant Brain è però una forza solo apparentemente scomposta, perché è la cura del dettaglio che rende “Canzoni da odiare” un album veramente bello da ascoltare. Note, melodie, parole sono studiate al dettaglio e si soppesano così bene da non sembrarlo, creando un senso di “equilibrio squilibrato”, quasi fossero lì perché non c’era nessun altro posto in cui si poteva stare. Il risultato è un album sincero, spontaneo e nudo, ma pensato a fondo, sia nella musica che nei testi. In una delle canzoni-manifesto dell’album, “Mi sbaglierò”, gli Elephant Brain cantano: “stringeremo ancora una chitarra in mano per altre mille notti”. Ed è proprio quello che ci auguriamo.

(Benedetta Fedel)

 

Emma Nolde – Dormi

Con Emma Nolde a due anni di distanza da “Toccaterra” ci ritroviamo a viaggiare nel mondo onirico e forse nemmeno troppo di “Dormi”, il suo nuovo album in uscita questo venerdì. La giovane cantautrice toscana getta un ponte tra noi e il suo mondo più intimo e personale: il disco, infatti, seppure faccia riferimento al mondo del dormire, ci ispira invece ad essere il più svegli che mai. “Dormi” parla di risvegli, di giorni nuovi fatti di sperimentazioni partendo dal quotidiano, è l’invito a recuperare tutta la forza che ci hanno sottratto negli ultimi due anni e con essa iniziare a ricostruire noi stessi. Che sia un manifesto generazionale oppure no, lo sapremo dire quando anche noi saremo più grandi.

(Ilaria Rapa)

 

Edda – Illusion

“Illusion” è uno dei capolavori di questo crepuscolo 2022 che volge al crepuscolo. Ciò che lo rende tale è lo spirito con cui si inserisce all’interno di una scena musicale che vede il disco, più che come un unico organismo, l’insieme delle parti. Con l’ultimo lavoro di Edda ci troviamo invece davanti ad una forma disco più complessa, In cui ogni brano è legato a quello successivo in modo indissolubile. Illusion trova una sua origine in “Mio capitano”, un canto intimo e dolcemente triste che nel suo crescendo prepara l’ascoltatore al viaggio che dovrà intraprendere. “Alibaba” mette subito in chiaro che la delicatezza può essere anche potenza, con un’esplosione musicale che in un certo senso ti culla nelle sue armonie.

La musica ben curata è infatti opera di Gianni Maroccolo, fuoriclasse del panorama musicale (CCCP, Litfiba, Marlen Kuntz), che con quest’ultimo lavoro ha saputo perfettamente fondere la voce di Edda con la musica, esaltandola senza mai sovrastarla. La dolcezza delle chitarre e dei cori che fino a metà disco ci hanno trasportato in lungo flusso di coscienza, lasciano il posto ai suoni martellanti di “Carlo Magno”, in cui la voce rassicurante di Edda si carica di spirito e arriva dritta al punto senza troppi giri di parole. Ci si sofferma poi su Lia, in un certo senso l’anima del disco, in cui ogni fragilità viene fuori attraverso il racconto di una madre narrato con chitarre dream e sorrisi nostalgici. Edda con Illusion ci ha donato un pezzo della sua anima, e l’unico compito che è stato lasciato a noi, è quello di prenderlo, farlo nostro e cullarlo nell’intimità.

(Filippo Micalizzi)

 

Post Nebbia – Entropia Padrepio 

Come spiegare i Post Nebbia? Forse il modo più adatto per descriverli è attraverso il titolo che hanno scelto per quest’ultimo disco. Un disordine tale da raggiungere un proprio equilibrio e una creativa che riesce a trascendere e diventare qualcosa di completamente nuovo e lontano dal concetto di terreno.

“Entropia Padrepio” è un punto altissimo per la musica italiana. La band ci pone davanti un conflitto tra il materiale e il divino, attraverso suoni oscuri che si distorcono ma che al tempo stesso risultano epici.

L’ambiente sonoro è di vitale importanza, ogni brano ha una propria narrazione e un proprio stile, tanto che risulta difficile anche contare tutte le varie contaminazioni. Il disco si muove tra il terreno e il divino, prendendo a cuore temi come la morte, il sacrificio, l’esistenza stessa, utilizzando una religiosa sacralità come punto di partenza.

(Filippo Micalizzi)

Bais – Diviso due 

La delicatezza e la capacità di Bais di esprimere con la musica sensazioni ed emozioni ci colpisce in “Diviso due”, prima parte del nuovo disco dell’artista. “Che ne sarà di noi”? (“Un attimo”) Bais ci racconta storie, relazioni e la sensazione di sentirsi sempre come diviso a metà, fisicamente diviso tra due città e psicologicamente diviso tra la percezione che le persone hanno di lui e come lui si percepisce.

Suoni indie pop con accenni elettronici e sperimentali aumentano il nostro coinvolgimento fino a farci perdere il filo della realtà, soprattutto quando arriviamo al pezzo “Diviso due” che taglia l’album e che ci trasporta in una radura per farci raggiungere “Repubblica” in cui Bais ci confessa “non faccio l’amore da due anni luce” e questa affermazione ci fa pensare: quand’è l’ultima volta che abbiamo davvero fatto l’amore? Non ci resta che accogliere la preghiera dell’artista “trovami una cura, dai” (“Trovami una cura”) mentre torniamo “indietro nel tempo con lo sguardo fisso” (“Che fine mi fai”) e facciamo ripartire in loop l’album.

(Margherita Ciandrini)

 

Delicatoni – Delicatoni 

Quant’è bello stupirsi perdendosi nei meandri di New Music Friday? L’incontro artistico con la band Delicatoni è la testimonianza del fatto che in Italia ci sono ancora giovani artisti che sono disposti a correre il rischio di sperimentare e di proporsi al pubblico senza scendere a compromessi. Delicatoni è una band che affonda le proprie radici nel jazz, nell’elettronica, nel soul, e nello psych-pop: generi che nello scenario musicale di oggi non possono essere annoverati di certo nell’area del mainstream.

Il loro nuovo album che ha come titolo il nome della band, è uno statement artistico attraverso cui la band vicentina ha creato un non luogo musicale che non è ancora tracciato sulle mappe ma che una volta scoperto dagli ascoltatori, potrebbe diventare una tappa obbligata per gli amanti della musica italiana di qualità. Alcuni brani ricordano le sonorità delle prime produzioni di Venerus e questo non può essere che un punto a favore il collettivo veneto.

Perdersi nel mondo di “Delicatoni” è d’obbligo: un coacervo di basi strumentali e di sperimentazioni sonore da scoprire e da respirare a pieni polmoni.

(Salvatore Giannavola)

 

ceneri – Nello spazio che resta

Anticipato dai singoli Notturno, Fiato Corto e Ladro, la giovane ventunenne Irene Ciol esce con il suo primo album prodotto tra l’altro dal duo B-CROMA. Lo spazio che resta è il suo unico posto sicuro, la musica, che permette di rifugiare la propria vulnerabilità ‘’scusa se sono fragile, come se fosse facile, nel mio presente instabile’’.

La consapevolezza della giovane età e di tutte le difficoltà, incertezze e cambiamenti che si porta è infatti ben presente nella testa dell’autrice: ‘’Ed ho iniziato ad amare le cose che mi facevano paura anche se forse è normale’’. Una miscela di pensieri, ricordi e riflessioni sui vent’anni, che chi si trova in quella fase non potrà far altro che rivedersi, chi invece l’ha già superata potrà invece fare un bel  tuffo nel passato.

Altro tema presente nell’EP è la provincia che inizia a star stretta a chi ha sogni troppo grandi per quel contenitore, che purtroppo fatica a renderli possibili: ‘’questo mondo mi fa il fiato corto, e mi sento rarefatta, come l’aria in una serra, e a volte ci penso e poi mi pento’’.

Il sound leggero, dolce ma contornato da  un velo di nostalgia  allo stesso tempo ci accompagna per tutta la durata del disco, rimanendo fedele a sé stesso e tracciando così  un percorso ben delineato e preciso. Consigliato da ascoltare in un viaggio di ritorno in treno, lasciandosi travolgere dalle sensazioni che questa piccola perla vi può lasciare.

 

Meg – Vesuvia

Torna Meg e lo fa con un album di dodici tracce molto personali, con un forte ancoraggio alla sua identità partenopea. “Vesuvia” è uno sguardo particolare sul mondo, rappresenta la minaccia che tutto possa svanire, ma anche la possibilità di creare qualcosa di nuovo, che faccia danzare. Un ballo legato alle varie identità: quella femminile, la sorellanza, rappresentata dalla traccia “Aquila”, in collaborazione con Emma e Elisa; ma anche la forza della napoletanità dei brani “Napolide” e “Arco e frecce”, rispettivamente con NZIRIA e il collettivo Thru Collected.

Il disco ha un forte sound elettronico, caratterizzato dalla collaborazione con Frenetik. Partecipano a rendere unico anche Orang3 e i fratelli Fugazza, tra gli altri. Un album che è un inno alla terra e ai suoi quattro elementi, alla danza, all’elettronica e che oscilla magistralmente tra dolore e gioia.

(Lorenzo Ottanelli)

 

Tana Combinaguai – Hai mai corso una maratona lunga 16 anni? 

Dopo il singolo “Funerale”, il cantante genovese Stefano Giacomazzi torna con un suo primo EP in chiave più pop ma pur sempre delineata da un’impronta punk-emo. L’atmosfera rimane sempre molto intima, l’autore lascia sempre abbastanza spazio ad una parte strumentale che ci da modo di entrare direttamente nella sfera intima più recondita dell’artista. Il filo conduttore è l’adolescenza, la maratona di sedici anni di cui fa riferimento il titolo, vissuta con tutte le fatiche che spesso quell’età di passaggio così delicata porta. Ciò che incuriosisce è come Giacomazzi si racconti riuscendo a mettersi totalmente a nudo: non ha infatti timore a rivelare che ha sempre cercato di nascondersi invece che di scappare, preferisce rimanere a guardare anche se ciò gli provoca ulteriore dolore e senso di inadeguatezza.

“E nasconderò le pare come fossi dentro un film
Mentre fingo di annegare, nella notte le vetrine”

L’EP è composto da sei brani di cui soltanto due posseggono la lunghezza standard della musica leggera, Giganti e Graffio. Nell’intro troviamo solo l’arrangiamento di una chitarra acustica accompagnata da voci lontane indistinte da cui possiamo cogliere da spettatori distanti una situazione problematica di abbandono mentre l’outro è un pezzo parlato che prende quasi la forma di una poesia.

 

Serena Brancale – Je so accussì

Album autobiografico e concettuale quello di Serena Brancale che con “Je so accussì” si riconferma una fra le autrici più di spicco nel jazz e r ‘n b nel panorama italiano. Il suo nuovo lavoro infatti attraversa, canzone dopo canzone, più generi (tra cui appunto oltre al jazz e l’ r ‘n b, anche il soul e il blues). I brani vedono un intrecciarsi di cover, tra cui “Je so pazz” di Pino Daniele, a brani inediti dell’artista.

Oltre alla bravura dell’autrice, ciò che conferisce particolare fascino al disco è la commistioni di lingue e culture: si passa dal barese al napoletano, toccando la musica africana e quella americana.

Non mancano inoltre collaborazioni tra cui Ghemon e Davide Shorty, e ancora Margherita Vicario e Fabrizio Moro.

Insomma un potpourri di anime che concorrono tutte allo scopo unico di perpetuare la bellezza della musica.

(Ilaria Rapa)

 

TONNO – Miracolosamente illesi

Il nuovo disco dei Tonno nasce dal bisogno di salvarsi dal caos degli eventi incontrollabili della vita. Tra pandemie, traslochi e relazioni che finiscono ad oggi non esiste nessun punto fermo su cui appoggiarsi anche solo per breve un minuto di respiro. I Tonno il loro punto fermo, la loro costante, se la son costruita da soli, trasformando tutte quelle incertezze in frequenze sonore stabili e suonate con rabbia. Il risultato sono 8 tracce ognuna con una propria libertà musicale, ma che nell’insieme rappresentano un unico flusso di coscienza.
Fra Jam session, distorsioni, assoli e domande esistenziali i Tonno ne sono usciti “Miracolosamente illesi”.

(Filippo Micalizzi)

 

Loren – Uniti

Dopo quattro anni dal loro album d’esordio i Loren ritornano con prepotenza con “UNITI”, un disco in cui già il titolo rappresenta di per sé una dichiarazione d’intenti. La band fiorentina con quest’ultimo lavoro si concentra sul ruolo che la musica ha come veicolo di unione, risaltando la potenza che la condivisione riesce a dare a quelle singole voci che da sole non riescono a farsi sentire.

Un valore – quello dell’unione – che si percepisce non solo ascoltando il disco, ma anche nella sua costruzione artistica fatta di diverse collaborazioni, a partire da quelle con Nicola Manzan (Bologna Violenta), con il coro Gospel Vocal Blue Trains e con la Galantara Marching Band.

Il risultato è una molteplicità di generi che si contaminano tra loro e una scrittura profonda che rende “UNITI” uno dei dischi più importanti usciti al momento.

(Filippo Micalizzi)

 

Mammaliturchi – Marsa

Mammaliturchi esordisce portandoci a fare un viaggio che parte dal suo stesso nome-manifesto. “Mamma li turchi” era infatti un grido di allarme quando in lontananza dalla costa si vedevano arrivare gli stranieri: un momento di scontro, certo, ma anche di scambio e di commistione. Ed è proprio di questo che ci vuole parlare il cantautore (all’anagrafe Alfredo De Luca) che, cosmopolita dalla nascita e dopo due anni vissuti in Cile, sa bene di cosa parla. Il 23 settembre esce il suo primo album per Vetrodischi, “Marsa”, un termine che richiama l’idea del mare e del porto, di posti in cui arrivare, ma anche da cui ripartire in fretta.

Quelli da chiamare casa, ma mai per troppo tempo. I riferimenti musicali in Mammaliturchi sono molti: toccano lo psych-rock, il folk siciliano, il rock argentino, ma talvolta anche Battisti in pezzi come “Sì, Viaggiare” e le ricerche di Battiato. Tutte queste storie raccontate su suoni psichedelici e synth onnipresenti non creano contrasto, paradossalmente. Creano contesto. Sono lo sfondo perfetto per tutto quello che ha da dire. Un primo album che non possiamo che definire ottimo e che ci lascia la voglia di vedere con che altro Mammaliturchi saprà stupirci.

(Benedetta Fedel)

 

Claver Gold – Questo non è un cane 

Claver Gold torna con un album maturo, dalle tinte scure e con un forte ancoraggio al luogo in cui si è formato. Tanti i riferimenti alle Marche e precisamente a Tofare, dove è nato e cresciuto, ma anche a Bologna e al suo forte legame con la città che lo ha accolto artisticamente. I temi sociali si legano al periodo che stiamo vivendo, alla pandemia, che ha caratterizzato i mesi della scrittura dei brani e che rendono l’ascolto ancora più vivido.

Claver Gold dice già tutto in “Intro” e le tematiche si dipanano nei pezzi che seguono, in un conscious rap che appassiona e fa riflettere. Si sente anche l’influenza di Murubutu, con cui ha collaborato in “Infernvm”. “Questo non è un cane” è un album autobiografico che parla della gente e alla gente e che tratta temi (purtroppo) poco affrontati nel rap italiano con riferimenti alla filosofia e all’arte, in una rappresentazione intima del mondo in cui viviamo.

(Lorenzo Ottanelli)

 

Wism – Pazienza

Fermi tutti. Aprite youtube. Cercate “WISM – PAZIENZA (Taglio Corto)”. Sì, proprio quello, cliccate la miniatura del tizio che sventola la bandiera. Per 9 minuti immergetevi nel mondo di WISM, che con questo corto musicale crea una mega sintesi del suo primo album, stabilendone l’immaginario.

Un flusso di coscienza tra prati, macerie, fili di lana, luci e ombre. Non avete 9 minuti di tempo da dedicargli? Vi sbagliate, perché la musica di WISM è una bomba di creatività. Comunque bastano 3 secondi per aver ben chiaro chi è: musica chill, sonorità vintage campionate, beat old school e indie.

Il tutto riassunto sotto un titolo che sdrammatizza ogni problema. Invece che farci travolgere dall’ansia quotidiana, ogni tanto, ascoltiamoci WISM e diciamoci: mi è andata male? Pazienza.

(Vernante Pallotti)

 

I le lucertole – I RAGAZZI CON I GOMITI SUI TAVOLI

L’ultimo disco de I Le Lucertole è dedicato ad una gioventù bruciata di cui il gruppo riminese ne fa orgogliosamente parte, “I RAGAZZI COI GOMITI SUI TAVOLI” è il manifesto di una generazione che non ha più voglia di abbassare la testa, rinunciando, in partenza, al diritto di esprimere le proprie opinioni.

Prima i millennials, poi è arrivato il momento della “Gen Z”. Altre etichette, altre definizioni. Livellare, standardizzare, trasformare vite, cuori, cervelli in una plurarità confusa e indefinita da incastrare in qualche modo tra una generazione e l’altra all’interno della società civile.

Per capire, imparare e crescere bisogna avere la forza e il coraggio di sbagliare, altrimenti i consigli degli altri volano via alla prima difficoltà, con la sensazione che sia sempre più facile colpevolizzare una generazione che si trova spesso a lottare contro i mulini a vento, costruiti dai propri genitori.

(Nicolò Granone)

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