Ambergris: “La bellezza non ha etichette” | Intervista
Nicolò Ricci, sassofonista del gruppo Ambergris, insieme ai suoi compagni di squadra Emanuele Pellegrini (Piano/synth) Alessandro Fongaro (Contrabbasso) e Sun Mi Hong (Batteria) ha partecipato e vinto il Keep an Eye Jazz Award Contest. Ambitissimo tra i giovani talenti musicali in terra olandese, il premio ha consentito a Ricci e soci, di registrare il nuovo album, “Bellisimə”, presentato alla Bimhuis di Amsterdam il 26 gennaio 2023.
Questo disco è una ricerca di bellezza che può variare a seconda della prospettiva. Tutto è in movimento, ogni cosa cambia valore e posizione a seconda di chi la percepisce. Se ci pensiamo anche la musica ha questo effetto, a maggior ragione se rimane libera da parole, ma si affida la comunicazione attraverso una combinazione di note.
Ognuna delle canzoni del disco è un viaggio sonoro che da spunto a favole e storie che l’ascoltatore ha la fortuna d’immaginare, immergendosi completamento al loro interno in un vero e proprio viaggio onirico.
INTERVISTANDO GLI AMBERGRIS
La vostra definizione di bellezza?
È difficile definire la bellezza. È qualcosa in costante mutazione, qualcosa di fluido, che varia nella percezione di ogni persona e quindi in ognuno di noi, e che ovviamente è legato al momento storico, sociale e all’esperienza personale. Questo rende ancora più interessante il processo di creazione musicale di un gruppo, che è un percorso di influenza reciproca.. È meraviglioso scoprire quali sono i punti di contatto delle nostre concezioni di “bello”, quali sono le differenze e osservarne il lento e progressivo cambiamento. È importante rimanere aperti e ricettivi di fronte alla bellezza, lasciarsi suggestionare, cercarla in ogni cosa, cercando di non cedere al pregiudizio.
Come descrivereste la vostra arte associandola ad un elemento naturale?
Altra domanda difficile! Non saprei sceglierne uno ma se mi fermo un attimo a pensare la prima risposta che mi viene in mente è che vorrei che nella nostra musica ci fosse un po’ di ogni elemento. Per sua natura la musica non può essere statica, è fluida, scorre, cambia direzione, accade nel momento e, se non registrata, non lascia alcuna traccia tangibile. Queste sono caratteristiche dell’acqua, dell’aria immagino. Il tipo di musica che noi suoniamo poi ha il proprio fondamento nell’espressione ritmica, in un’idea quasi tattile del tempo, nel groove, e questo mi suggerisce la terra come elemento. Inoltre la musica, ma questa forse è più una mia personale osservazione, ha valore quando tocca, quando strugge, quando fa sentire vivo e rievoca emozioni sopite, difficili da descrivere con le parole. Fuoco?
Come nasce l’ultimo disco?
Bellissimə nasce inaspettatamente e di fretta. Poco dopo aver pubblicato il nostro primo album, Ambergris, abbiamo deciso di partecipare ad una competizione che si chiama The Records, promossa da una grossa associazione, molto attiva in terra Olandese nel supporto dei giovani musicisti di jazz. “Giovani”, io ho quasi 36 anni e tutti nella band abbiamo superato i 30. L’associazione si chiama Keep an Eye. Abbiamo vinto assieme ad altre due band, ÖNDER di Jort Terwijn e Nefertiti di Pedro Ivo Ferreira, e quindi ricevuto il supporto finanziario per registrare un nuovo disco, una cosa a dir poco straordinaria. Le tempistiche però erano molto strette, quindi in pochi mesi abbiamo dovuto scrivere la musica, provarla e registrarla. Il processo compositivo, la ricerca di idee e ispirazione, probabilmente è stata la parte più difficile e quindi anche eccitante ed educativa. Il risultato, la musica di Bellissimə, è intenso e onesto, e noi non potremmo essere più felici.
In alcune circostanze sentiamo la necessità di affidarci ad etichette per capire cosa ci sta succedendo?
Direi di sì, utilizzare parole o concetti per descrivere e categorizzare cose o situazioni può essere utile, aiutarci ad organizzare le informazioni in modo più comprensibile. Le etichette però difficilmente sono accurate, semplificano la reale complessità delle cose e portano spesso a pregiudizi, stereotipi, quindi bisognerebbe sempre farne un uso critico, riflettendo sul loro significato e sulle loro implicazioni. Ancora meglio semplicemente considerare ogni caso in modo individuale, specialmente quando si parla di persone. In musica e nell’arte in generale se ne fa grande impiego. Servono a far avvicinare il pubblico o a crearne uno, a far sì che chi deve fruire dell’opera d’arte si identifichi con essa, la possa trovare e scegliere velocemente. Io questo lo capisco, ne comprendo il senso ma penso anche che non rispecchi la realtà delle cose, la natura dell’espressione creativa che è più complessa e libera.
Una canzone può essere crudele quando ci ricorda chi non c’è più?
Penso di sì, può essere crudele quando ricorda una persona scomparsa o un evento doloroso, un amore finito, quando ravviva ricordi allo stesso tempo teneri e strazianti. Quest’ultimo forse è il caso della nostra “Canzone Crudele”. L’idea per il titolo viene dai Racconti Crudeli di Auguste Villiers de L’Isle-Adam. La melodia del pezzo è molto dolce e drammatica ma non avevo in mente nulla di specifico quando l’ho scritta, solo una sensazione. È un pezzo di cui sono contento, ha un potere evocativo su di me quando lo suono e spero abbia lo stesso effetto su chi ascolta.
Cosa succede in un attimo?
Spesso nulla, ma a volte un attimo è abbastanza tempo perché succeda qualcosa di importante. Durante un concerto capita che ce ne siano alcuni magici di attimi, magari uno solo che però vale l’intera performance.
L’attesa vi agita o crea curiosità?
È una domanda molto personale e mi è quindi difficile rispondere a nome di tutti. Una mia pratica quotidiana degli ultimi anni è concentrarsi sul momento presente per liberarsi da ansia, rabbia e aspettative. È una cosa che ho sentito dire a tante persone che considero sagge e quindi ho deciso di provare anche io. Per ora ho fallito miserabilmente ma non demordo!
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