(c)lose radar 5:11

Musica per stare più (C)lose: il nuovo ep dei Radar 5:11 | Intervista

A radar, 5 antennas, and 11 clovers: are we just signals? sono, abbreviati i Radar 5:11, band della bassa emiliana che è uscita con il suo nuovo ep, (C)lose

La nascita della band risale alla bellezza di 6 anni fa e in questo periodo di tempo ha avuto modo di cambiare e di cambiarsi, di accettare delle cose, di capire meglio chi voleva essere e quale fosse il focus point della sua musica.

Tutte queste premesse per spiegare la nascita di “(C)lose”, un ep di 4 brani – “Wad”, “Growing Chains” (l’unico pezzo della band parlato), “Acab” e “Hopes Of Tomorrow” – scritti ed arrangiati in due anni e nati dalla voglia di dare un quaderno bianco all’ascoltatore in cui scrivere quello ciò che vuole, ciò che sente.

Un progetto che peraltro fa i conti con la direzione in cui sta andando il mondo, di cui l’industria musicale fa parte, e cerca di fare attivamente qualcosa. I Radar 5:11 hanno infatti preso una decisione “pragmaticamente ecologica” decidendo di non pubblicare l’ep su supporti fisici in modo da non sprecare plastica e anidride carbonica per la stampa del progetto, prendendo una strada coerente con la loro idea di musica e con la loro identità.

INTERVISTA A RADAR 5:11

Trovo che in (C)lose non solo ci si possa rivedere, ma ci si possano anche vedere molte cose. Parliamo della nascita, dell’idea alla sua base.

Credo che non ci sia un’idea intesa in senso stretto. O meglio: più che un’idea c’è un’intenzione che è la stessa a guidarci più o meno da sempre e cioè la voglia di suonare e di condividere. Crediamo nelle emozioni e nelle vibrazioni che la musica è in grado di suscitare, indipendentemente dall’idea sottostante. Abbiamo la fortuna di provenire da esperienze musicali molto diverse tra loro e crediamo che questo sia molto arricchente sia a livello umano che sonoro.

I brani di (C)lose sono nati uno dopo l’altro partendo da temi musicali pensati dai singoli componenti del gruppo, ma poi si sono sviluppati principalmente in sala prove grazie alle aggiunte degli altri, a volte per sottrazione. Ne è nata una narrazione organica che si è poi concretizzata ancora di più nel momento in cui abbiamo cristallizzato i suoni in sala, dove abbiamo registrato tutti assieme: infatti, sono proprio le interazioni tra di noi che generano buona parte dei suoni e delle progressioni dinamiche.

Possiamo dire a tutti gli effetti che il vostro nuovo album è ambientalista. No vinili, no cd: è una forte presa di posizione la vostra.

È una forte presa di posizione solo per la nostra musica e per questo preciso momento storico. Partiamo infatti dal presupposto che ci piacciono i vinili e i CD e le cassette, riteniamo che la produzione di qualcosa di fisico sia un valore aggiunto alla musica. Ma produrre qualcosa di fisico ha dei costi ambientali: se fossimo ricchi e avessimo la possibilità di acquistare mezzi per compensare la CO2 consumata ad esempio attraverso Treedom, se avessimo la certezza di poter vendere molte copie, magari con formati più “eco-friendly” rispetto al vinile in PVC… probabilmente avremmo optato per produrre anche copie fisiche della nostra musica. Purtroppo, siamo ben consci che, senza etichetta né distribuzione, pubblicare vinili o CD sarebbe stato un errore a livello ambientale. La nostra non è una posizione ideologica, è semplicemente logica.

I Radar 5:11 nascono nel 2017. Come si pone (C)lose rispetto all’inizio? Qual è la cosa che secondo voi è più è cambiata dagli esordi della vostra band, sia musicalmente che a livello personale, come gruppo?

Rispetto il 2017 è cambiato tutto o comunque molto. Non è questione solo di strumentazione, di interpretazione o di armonizzazione. Siamo proprio cambiati noi. Chi non lo è? In 6 anni si può cambiare davvero profondamente. A livello personale ci sono molte consapevolezze in più. Una su tutte è l’avere chiarito i nostri obiettivi come band. Ovviamente alla soglia dei 40 non si può pretendere di arrivare su grandi palchi ma siamo consapevoli delle nostre potenzialità e dei nostri punti deboli. Su alcuni ci stiamo lavorando su altri, per fortuna o purtroppo, non lo potremo fare. Musicalmente invece credo che l’acquisizione maggiore rispetto il 2017 sia la capacità di lavorare sui dettagli, armonici e ritmici, che compongono i nostri pezzi.

Come sperate che arrivi il vostro album al pubblico?

Innanzi tutto speriamo che arrivi. Non potendo contare su una agenzia di distribuzione già questo sarebbe un ottimo traguardo. Il vero risultato è essere compresi. La consapevolezza che ci possa essere qualcuno là fuori in grado di “vibrare” simpaticamente allo stesso modo in cui vibriamo noi quando suoniamo è esaltante. Qualcuno che si commuove quando e quanto ci commuoviamo noi, qualcuno che urla quando lo facciamo noi. O anche che trovi qualcosa nei nostri brani di inatteso che fa vibrare… Una forza empatica scaturita dalla musica. Ecco, credo che questo sia davvero un obiettivo molto importante per noi. Come speriamo che arrivi al pubblico? Il modo migliore è attraverso i live, per questo vorremmo poterne fare di più.

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