Andando alla “The Riva”: nuovo album dell’artista | Intervista

Dopo “Anthropogus”, The Riva torna con un ep che prende il nome dallo stesso cantante. Abbiamo capito che le parole per il cantautore canavesano sono importanti, tanto che tutto l’album, composto da sei tracce, è frutto di frasi incastonate e cucite a musiche tra l’elettronico (come in pezzi come “aMare” o “Naturalhomonduscranei”), il lo-fi e la musica alternativa.

E forse il modo migliore di descrivere non solo questo album, ma anche l’intero mondo di The Riva lo possiamo ricavare da una sua canzone: “viviamo di pioggia d’aria, di un fiume che scorre respiro leggero, di pensieri dirompenti che invadono ogni secondo il nostro vivere”.

INTERVISTA A THE RIVA

Ciao The Riva! Questo è il tuo primo ep d’esordio e porta il tuo stesso nome d’arte. È proprio da qui che vorrei partire. Come nasce questo nome?

Da un fiore di ciliegio: si staccò e si posò sulla superficie di un lago. Quel fiore poi andò molto lentamente verso il centro del lago. Quell’immagine mi è tornata in mente molto tempo dopo.

Una volta finito il progetto mi sono reso conto di quanto l’arte della musica, l’arte del cantautore, l’arte delle parole, siano come un fluido che trasporta tutto ciò che è abbastanza leggero da farsi trasportare. Arte, parole, musica, portano alla deriva, lontano da tutto ciò che è strutturato e ci fanno sentire come quel fiore di ciliegio: un momento di autenticità pura disperso nell’oltre di ogni cosa. Credo che per far sì che ciò accada sia fondamentale emulare quel fiore: avere il coraggio di staccarsi dalle proprie radici, dalle proprie strutture, e compiere l’atto di immergersi nell’agio del lasciarsi andare. Ed ascoltare…

Dunque ho pensato ad un nome che potesse esprimere la riva e allo stesso tempo il concetto di “deriva” che assunse quel momento particolare.

“The Riva” è un progetto che hai completamente autoprodotto. E, a partire dal 2009, quando hai deciso di dare una svolta alla tua vita, il tema dell’autoproduzione/autosussistenza è più che ricorrente, direi. Parliamone.

Sì, nei miei progetti è sempre fondamentale esprimere il più possibile ciò che la mia anima rappresenta nel profondo; è lo scopo più importante. Per fare questo però è necessario affidarsi a se stessi completamente, studiare ogni minimo particolare: i significati etimologici di ogni parola per la stesura di un libro o un testo, lo studio e la costruzione maniacale dell’acustica del mio attuale punto di ascolto, la ricerca approfondita dei suoni, dei reverberi, il lasciare decantare progetti, brani, per mesi, per poi riascoltarli/rileggerli dopo un po’.

È necessario autoprodursi, auto regolarsi, per cercare di avvicinarsi il più possibile all’autenticità. Mi produco parte del cibo da solo, amo coltivare: aver cura delle piante e vederle lentamente crescere è un allenamento essenziale per capire questo tipo di concetto. Lo si trasferisce anche all’arte ed ecco spuntare finalmente questo intimo progetto.

So che hai scritto molto nella tua vita, raggiungendo importanti traguardi, vincendo premi e scrivendo libri e, coerentemente, in “The Riva” la componente di spoken word è molto importante. Come si legano, all’interno del progetto, le parole e la musica?

È stato un percorso inevitabile: di fatto la musica, assieme alle parole, è il miglior “materiale” per poter tentare di palesare un’emozione che vive, fino all’istante prima della composizione, solo dentro di me. “The Riva” rappresenta lo scosceso percorso delle mie parole: da una poesia sorgente si formano note di torrenti, ritmi di fiumi e poi sogni, in mare aperto. Il rapporto che ho quando ho di fronte la tastiera è rimarcare quel percorso. Tutto nasce da un esigenza profonda: concentrarsi e quindi amare, raccogliere ogni istante di ciò che vivo in emozione e palesarlo.

A volte nasce prima una poesia, come in “Naturalhomonduscranei”, poi però le note modificano parte della poesia che a sua volta influenza e modifica il proseguo della composizione musicale. Dunque è un continuo scambio di influenze tra musica e testo che dona il risultato finale. Per questo vedo poi, alla fine di ogni canzone, una vera e propria “traccia”: il percorso di quel fluido che è sceso impreciso e casuale a valle, compiendo la sua distinta creazione, compiendo i suoi tratti imprecisi e i suoi testi adagiati sopra, come riflessi sull’acqua. È tutto fluido e confluenza autentica, con la consapevolezza di pagare tutto questo con qualche imprecisione o “stranezza”. Perché quando lasci andare tutto, in totale libertà, ascoltando il tuo essere, lasciando che testo e musica si influenzino a vicenda e lasciando stare tutti i tipi di cliché cantautoriali,  accadono anche delle “stranezze”, inattese dall’ascoltatore medio, ma autentiche per l’espressione pura senza barriere. E quindi se qualcosa di queste stranezze in quel momento di registrazione mi piace so che è giusto tenerlo, accettarlo e renderlo opera. Cercare di legare queste due tipi di arti comporta anche a questo.

C’è un brano all’interno dell’ep a cui ti senti particolarmente legato o che ha un particolare significato sugli altri?

Sono abbastanza orgoglioso di tutti i brani perché ognuno rappresenta un distinto percorso con il quale mi sono imbattuto nell’atto di amare ciò che vivo. A loro modo riflettono tutte una determinata rappresentazione di ciò che sono in maniera autentica.

Abbiamo parlato di poesia, natura e sogno: i tre ingredienti magici del progetto. Quanto sono importanti per te?

In queste tracce il tempo, lo spazio, l’universo, l’essere, il sentimento dell’amore, la malinconia, il sogno, la natura, coesistono in un’unica percezione. Ogni traccia a suo modo trova il senso di unirle mescolandole tutte quante assieme in un unico vasto senso che permette di trovare così una particolare via verso la poesia. E questo pensandoci bene sono proprio io: effettivamente mi trovo spesso a dover convivere con tutti questi tipi di sentimenti tutti assieme. Quindi sì, più che importanti, sono proprio tratti caratteristici del mio essere.

Cosa è per te questo ep e cosa speri sia per chi lo ascolta?

Quando lo riascolto mi capita spesso di chiedermi: ”chissà quel giorno cosa avevo in testa per dire o fare quella cosa in quella maniera”. È l’essere. Dobbiamo riappropriarci del nostro essere puro: i difetti possono diventare caratteristiche. Seguire, spesso inconsciamente, clichè, porta all’arte dell’omologazione e del commerciale. Questo tipo di arte invece è una sorta di nudo, di intimità profonda che sgorga pura dall’inconscio.

Il progetto ovviamente è fruibile e a disposizione per l’ascolto in tutte le piattaforme audio digitali ma il suo atto artistico è completo soltanto con un terzo componente sensoriale: la vista. Questo progetto infatti nasce con un chiaro intento “a trois” artistico finale: musica-testo-immagini. Il più comunemente detto videoclip in questo caso non ha il solo scopo di accompagnare la musica ma bensì di esserne parte integrante e fondamentale tanto quanto lo è la musica ed il testo. In Anthropogus questo è palese: senza il video l’esperienza non può avvenire del tutto. Così sarà anche per Istanti, Naturalhomonduscranei e aMare.

Questo progetto è per pochi forse pochissimi, e se quei pochissimi sperimenteranno emozioni intense il suo compito sarà compiuto.  Ne basterà anche soltanto uno, non importano la quantità dei numeri ma la qualità del sogno.