Il blues degli spigoli | Indie Tales

È difficile dare tempo all’attesa, rispettare il silenzio, ascoltare il mondo che prova a parlarci sottovoce quando abbiamo la testa chissà dove.

Per rilassarmi sono salito in soffitta, ho tolto un po’ di polvere, mi sono acceso una sigaretta e ho messo un vinile di mio papà sul suo vecchio giradischi, oggetto ormai in disuso lasciato solo al suo triste destino. Oggi però ho bisogno di ripensare al passato, a quei giorni distesi al parco a fissare il cielo, scherzando sulla forma delle nuvole. Tu molto spesso riuscivi a vederci qualcosa che non esisteva, ridendo sempre più forte mentre inventavi figure o parole che non si trovavano mai nemmeno sul vocabolario. Io invece davo sfogo alle mie paranoie, vedevo mostri ovunque, ma per non farti preoccupare, facevo finta di nulla e anzi, era molto più facile dire che una mi sembrava un cane mentre l’altra la faccia di un bambino felice.

Ogni giorno sentivo qualcosa che mi divorava dentro, era una sensazione strana, intima e personale, così forte che non mi andava di condividere questi pensieri neanche con te, tu che facevi parte del mio mondo e con i tuoi baci avevi il potere di salvarmi da me stesso, almeno per qualche ora, quando in alto splendeva il sole e tutto era più azzurro.

Poi quando arrivava il momento dei saluti, ti stringevo forte, ti spostavo i capelli e ti sussurravo all’orecchio: “Grazie, la prossima volta ti canterò una canzone” e tu sorridevi, perché sapevi già che ti stavo raccontando una bugia.

Quando non c’eri calcolavo i chilometri che ci separavano, confrontavo la distanza tra i nostri cuori e sentivo il bisogno di raggiungerti, prendere la rincorsa e tuffarmi nel tuo mare. In realtà le onde un po’ mi spaventavano, non sopportavo di ritrovarmi la sabbia addosso e odiavo le urla dei bambini che correvano felici e spensierati sulla riva, giocando, senza sapere che quel momento non sarebbe potuto durare per sempre. Io intanto, annegavo, giorno dopo giorno, dentro la mia dipendenza. Ogni volta che pensavo di aver imparato a nuotare, la corrente cambiava diventando più forte, venivo sbattuto di qua e di la come un marinaio in tempesta a cui non resta più nessuna soluzione, se non quella di affidarsi alle preghiere, invocando un  Dio nel quale sa benissimo di non credere.

I momenti con te erano una benedizione, ma questo mio silenzio non poteva durare per sempre. Anche se facevi finta di nulla, forse per non farmi preoccupare o per proteggermi, in realtà, avevi già capito tutto, conoscevi il vento e ti eri accorta che stavo perdendo la rotta. Stavi provando a salvarmi, lo facevi ogni giorno, anche quando non eri con me, solo che io non me ne stavo accorgendo.  Pensa un po’. Ero impegnando a sbattere contro i miei spigoli, contro i miei vizi e difetti, ma quando ti vedevo cercavo di nascondere i lividi, coprire le cicatrici, camminando dietro di te, passo dopo passo.

Mi ricordo ancora quella sera d’estate, doveva essere un momento speciale, finalmente il tuo cantante preferito veniva a suonare in Italia. Erano mesi che mi avevi regalato i biglietti, io non conoscevo molto bene le parole delle sue canzoni, ne tantomeno capivo il significato, dato che l’inglese non è il mio forte. Tu però ti emozionavi, urlavi ad alta voce con tutto il tuo amore ad ogni ritornello, e probabilmente, qualche strofa parlava di me, di te e di noi.

Io quella sera però non c’ero. Ti avevo dato appuntamento e poi non mi sono neanche presentato. Non ce l’ho fatta. Mi dispiace, anche se ormai le scuse non servono più, sono come foglie trasportare via dal vento. Parole buttate da qualche parte, incastrate tra promesse e bugie. Non ho avuto nemmeno il coraggio di trascinarti nell’ultima danza, sono stato un codardo e mi sono nascosto dietro le mie incomprensioni. Per la prima volta nella mia vita, ho scelto, anche inconsapevolmente di nascondermi, scappando da te, sapendo benissimo che in realtà il problema ero io stesso.

Sembra assurdo rifiutare la tua cura e protezione, ma questa volta il dolore e la vergogna che provavo erano enormi, non c’era nessun’altra soluzione. E mi dispiace, lo giuro. Davvero.

Ho spento il cellulare, chiuso le finestre, mi sono disconnesso dal mondo esterno e sono salito in soffitta. Mi sono acceso una sigaretta e mi sono messo ad ascoltare in silenzio, un vecchio vinile di mio papà di musica blues.

RACCONTO LIBERAMENTE ISPIRATO AL BRANO “BLUES DEGLI SPIGOLI” DI DE RELITTI