I social network hanno modificato il linguaggio, oggi la comunicazione è facile e sdoganata, forse però si dimentica che le parole non solo hanno un senso, ma anche un peso specifico. Quante volte abbiamo dato, o subito giudizi, senza pensare a tutto quello che sarebbe successo o potuto succedere dopo.
After Verecondia di Marta Tenaglia è un disco che riflette molto sul senso del pudore, specialmente come blocco mentale che vive dentro ogni individuo, magari addirittura limitando creatività e coraggio.
Ecco il dopo e il prima, l’inizio e la fine sono azioni e momenti collegati, talvolta però non seguono un senso logico e si vanno a mischiare in situazioni complesse, rese ancora più confuse da sentimenti e ragioni.
Nella confusione dell’esistenza, Marta Tenaglia si spoglia di pregiudizi, stereotipi e sensi di colpa, trasformando in musica l’istante di un momento, solo all’apparenza cristallizzato dato che tutto è in movimento è chissà, a volte certi dopo in realtà nascono prima nel passato, diventato realtà solamente al giusto momento.
Spero tanti bei palchi, tanto scrivere e tanta ricerca.
La creazione artistica per me rimane un mistero, quindi dopo aver scritto qualcosa in primo luogo provo una sensazione simile allo stupore. Di After Verecondia sono particolarmente fiera, non tanto per il risultato, ma per la possibilità che mi sono data di essere fedele a me stessa. Pubblicarlo è stato anche spaventoso, ma la sensazione più forte è la gratitudine per tutte le persone che mi hanno permesso e mi permettono di fare musica in questo modo.
Chissà, non saprei dire con certezza ma sospetto di sì. Alla fine vediamo e comprendiamo la realtà che ci circonda attraverso i nostri filtri mentali, quello che pensiamo di noi stess* lo proiettiamo sulle altre persone.
Credo che le parole possano ferire come qualunque altra cosa che mi collega a un’altra persona. Che ci sia la volontà di ferire o meno il dolore fa parte dell’esperienza umana, che è essenzialmente relazionale. Nascere, crescere, vivere, cercare di farsi capire, cercare di comunicare: tutto è faticoso, doloroso a volte.
Penso di sì, ogni cambiamento è un salto nel vuoto. Non ho mai capito fino in fondo perché ci spaventi così tanto in realtà, è sotto gli occhi di tutt* che cambiare ed evolversi siano parti fondamentali della vita. Non so perché non riusciamo ad imparare dai serpenti che cambiano pelle, dai bruchi che diventano farfalle; loro sanno che quando è tempo è tempo. Perché noi facciamo così fatica?
Sempre, tutta la vita, continuamente. Sto cercando di smettere.
Per me sì, è la mia comfort zone: far girare la testa a duemila per trovare soluzioni, far funzionare tutto, cercare spiegazioni. A me dà l’illusione di poter controllare quello che mi succede, di potermi proteggere. Invece la maggior parte delle volte è solo uno spreco di tempo e di energie che magari potrei investire per fare qualcosa di utile. Come scrivere un pezzo, ad esempio.
Qui bisogna filosofeggiare. Dipende dal contesto in cui ti proietti, se ti percepisci all’interno di un cerchio i concetti di fine/inizio/metà scivolano via, se per te invece vivere è una linea retta ecco che già forse hai qualche possibilità in più di spezzarla e stabilire una fine, ma mi sembra comunque una cosa un po’ arbitraria. Adesso senza che io vada a scomodare qualche principio di metafisica trascendentale di cui ignoro il significato nella maniera più assoluta, nella pratica: per me la fine è una fase di qualcosa.
Un album, per esempio. Quando inizia? Quanta vita deve accumularsi prima che ne venga scritta la prima nota? E quando finisce? Quando viene pubblicato o quando finisce la riproduzione dell’ultima canzone? E i viaggi nelle vite di chi lo ascolta dove e quando finiscono? Non lo so, il concetto di fine non mi convince, secondo me non esiste
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