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“Distante” è il viaggio intimo di Alice Isnardi | Intervista

Quando si pianifica un viaggio si ha una meta da raggiungere e un punto di partenza che indica dove inizierà il percorso. Possono esserci molti chilometri, strade piene di curve o lunghi rettilinei da percorrere tranquillamente senza prestare eccessiva attenzione.

Se però due persone si allontanano, evitando di dichiarare quale destinazione sta prendendo la loro vita, sarà molto difficile riavvicinarsi o almeno sapere quanto è grande questo vuoto di lontananza.

Certe volte può capitare anche di sentire l’esigenza di allontanarsi dalle proprie convinzioni o perché no, anche paure, rimaste chiuse chissà per quanto tempo dentro i nostri pensieri.

Alice Isnardi con il suo nuovo brano dal titolo “Distante” racconta una scoperta e un cammino verso una diversa consapevolezza dell’esistenza, ma anche un rifiuto verso un mondo che cambia, diventando spesso asettico e libero da legami umani. Nella ricerca di verità o benessere s’incontrano altri tragitti, si ci confronta con altre realtà che hanno la capacità di modificare, anche inconsapevolmente ma drasticamente, il nostro tragitto verso il domani.

INTERVISTANDO ALICE ISNARDI

Ogni distanza emotiva è lontana più chilometri del previsto?

Io preferirei che non esistesse un “previsto”, mi spiego: credo esistano più livelli di distanza emotiva (che può conseguentemente divenire anche mentale e fisica), e che siano comunque tutti riconducibili al passato e alla scintilla che ne ha dato adito. Il fatto che esista uno standard di distanza o vicinanza emotiva è legato anche ai ruoli che due persone possono avere l’una nei confronti dell’altra, e già questa categoria mentale può provocarci l’illusione di essere entità più separate di quanto siamo. 

L’aspettativa mentalizza e di fatto uccide la natura per cui la vita si chiama vita, e la distanza emotiva può essere, secondo me, una diretta conseguenza di questo. 

È il dilemma più grande che sta occupando la mia testa negli ultimi mesi: sarebbe bello se ogni forma di distanza emotiva fosse abbattuta, anche tra sconosciuti, e credo che, in tal modo, anche molti problemi sociali troverebbero un terreno fertile di risoluzione. Siamo tutti collegati, che lo vogliamo o no, nelle fortune e nelle disgrazie, da un filo rosso di cui ognuno di noi pensa di essere pioniere ma che con la nostra, indubbia, unicità individuale non ha niente a che vedere. E così non ci guardiamo negli occhi quando parliamo con qualcuno, a meno di un rapporto stretto, e anche in tal caso, una volta finita la magia iniziale, ci dimentichiamo l’uno dell’altro inzuppandoci di orgoglio. 

Credo che ogni distanza emotiva sia sintomo di una negligenza, una mancanza di cura iniziale o consecutiva, e questo mi porta ogni giorno a interrogarmi su come raccogliere il coraggio necessario a fare il primo passo per ricollegarmi emotivamente con le persone che mi circondano, su come non far mai appassire il fiore della relazione. 

Ben vengano le nuove forme di relazione e l’apertura mentale di questi ultimi decenni su cosa definisca o no una relazione, ma mai dimenticarsi che l’insidia della distanza emotiva è sempre dietro l’angolo e che possiamo essere in due, cinque o sette, ma il risvolto premiante della relazione si trova solo “a fine mese”, proprio come i nostri cari lavori a tempo pieno. 

PH: Carlotta Anguilano

Ci sono storie alle quali ti senti più legata?

Le storie a cui mi sento legata sono le storie non romanzate, le storie di esperienze limite. Penso ci sia un bisogno comprensibile e innato nell’essere umano di decorare l’esistenza di inesistente, ma sono spesso, purtroppo, le esperienze più o meno limite a farci “uscire dalla Matrix”, e probabilmente neanche la persona più consapevole può evitare che questo succeda, perché ci sono sempre nuove lezioni da imparare, fino all’ultimo.

Mi interessano molto, ad esempio, i vissuti dei prigionieri di guerra, degli abitanti di paesi dove il livello di welfare è di molto inferiore al nostro, o i vissuti di familiari di malati mentali o fisici, insomma, di gente che con il limite ha a che fare sempre. E sono situazioni in cui, forse, qualità e difetti delle persone vengono amplificati, poiché viene scremata tutta una parte solo legata alla mente, che risulta inutile in una vita così “di emergenza”, dove ogni giorno non è uguale all’altro, per lasciare spazio all’essenziale. Non so se leggo queste storie per sentirmi meglio, per appagare un bisogno di compatire o semplicemente per conoscere un po’ di più l’umano, sta di fatto che i social di queste storie non parlano, per motivi diversi a seconda della storia, il che, a mio parere, non fa altro che far avanzare un rumore di fondo fittizio, fatto di brillantini e sogni d’oro.

Cosa vorresti chiedere alla tua anima?

Vorrei chiederle se le cose per cui mi sto tanto preoccupando adesso avranno veramente senso in un futuro. Vorrei chiederle se c’è un piano divino più grande, e se davvero non siamo soli, come mai al mondo c’è così poca giustizia, o se in realtà siamo solo corpi. Credo nell’anima come nella reincarnazione, ma non sono ancora riuscita a crearmi la mia “bolla spirituale” tale per cui io non debba per forza vivere nella materia a scapito dell’anima, ma integrando l’una con l’altra. Vorrei anche chiederle un modo per smettere di legare un’esperienza presente a una visione generale della mia vita, poiché la mia mente sembra essere impostata su una continua definizione.

PH: Ufficio Stampa

Perché cuore e mente spesso si trovano in disaccordo?

Perché i nostri genitori ci hanno abituati così, molto spesso. Ci sono tante scuole di pensiero: la mia, al momento, è che il cuore abbia tendenzialmente ragione e la mente sia un potente strumento a suo servizio, che, quando parte per la tangente, inizia a creare problemi. Tanto facile a dirsi, quanto difficile a farsi: se non fosse così facile per la mente distaccarsi dalla propria fonte (spegnendo pian piano la voce del cuore in quanto ormai troppo assoggettata da strade alternative, come il potere o il denaro, che non possiamo, realisticamente, fare niente da soli per contrastare), perché tanto più abbiamo, tanto meno siamo felici?

I nostri genitori sono anche figli, e in quanto tali condividono con noi uno schema più grande e rappresentativo della società odierna. 

Con che occhi guardi al futuro?

Un tempo guardavo al futuro tutti i giorni, oggi cerco di farlo il meno possibile perché il presente mi parla di più. Guardo al futuro con rispetto, perché ciò che ci sembra futuro potrebbe in realtà già essere presente e viceversa.

Le maree assomigliano a certi sentimenti?

Le maree sono l’elemento naturale che, a mio avviso, meglio rappresentano l’andamento di tutti i sentimenti. C’è un legame dell’anima che mi lega all’acqua, ma non ho ancora imparato a riconoscerne i movimenti dentro di me. 

Vent’anni… Come descrivi questo momento della vita?

Iniziato con l’inizio dell’università, un po’ come una nuova vita, sta proseguendo in modo più arduo del previsto perché diciamo che mi sto “accollando” ora tutti i problemi di dubbia provenienza che per una vita ho sotterrato. È l’età in cui ho scoperto la psicoterapia, e che finché ne avrò le possibilità non smetterò, e in cui ho capito che non mi è mai bastato finora seguire il flusso degli eventi per sviluppare un’autocoscienza, ma è necessario, come nelle relazioni, costruirmela tutti i giorni.

È un tipo di percorso nel quale a volte mi sembra di fare un passo avanti e tre indietro, ma che per quanto sento che non mi stia portando da nessuna parte, in realtà, sul lungo termine, è l’unico cammino possibile per progredire. Ci sono giorni felicissimi e alcuni disperatissimi, altri che non sanno di niente, e il mio obiettivo è anche, attraverso ciò che scrivo, in musica o non, di diffondere a chi mi ascolta un messaggio di normalizzazione di dinamiche che, a differenza di altre, pensiamo di essere i soli a vivere. Anche se non sembra, il mio vuole essere un forte messaggio di speranza e di senso collettivo. 

PH: Valentina Audino