Goliardo: “Ho più cose da dire di quante pensi” | Intervista
15 è la nascita dell’espressione artistica di Goliardo, una gioventù che vuole ottenere indipendenza, vivendo allo stesso tempo con la paura di rimpianti e scontri con il futuro, certe volte il mantra è dovevi farlo, solo allora sarà possibile assumersi le proprie responsabilità.
Con questo brano sfrontato senza troppi se e ma, iniziamo a conoscere Goliardo. La canzone infatti tira fuori rabbia giovanile e una certa consapevolezza di essere artefici del proprio destino, senza dimenticare l’importanza del sudore e del sacrificio.
Chi fa musica può scegliere d’ispirarsi ad artisti più affermati oppure tentare di creare qualcosa di nuovo, dando un impronta del proprio essere. Nella società moderna ci sono mille scelte, ma anche mille illusioni quindi non sempre è facile riuscire a percorrere la giusta direzione.
INTERVISTANDO GOLIARDO
Possiamo definire “15” un manifesto dei giovani?
Mah no, in primis perché non mi ergerei mai a chissà chi manco se fossi un artista affermato sinceramente.
Dopodiché possiamo discutere sulla parola “manifesto” e direi che, oltre ad essere storicamente una parola abbastanza importante, in questo caso “scaricherebbe” un po’ di soggettività.
Un’espressione artistica non è pensata con fine divulgativo, oratorio, promozionale o raggirante (almeno nel mio caso), quella è campagna elettorale (e appunto non è più, soprattutto, espressione artistica).
“15” è più di tutto lo sfogo di un’immagine, oltre al linguaggio del ricordo che cambia da quando è stato vissuto a quando arriva alla catarsi; in generale definire un brano non è una cosa che mi piace tanto fare, con le canzoni sostanzialmente si gioca e/o contenutisticamente ci si riconosce.
Come mai molti sogni al mattino non esistono neanche come ricordo? Ci puoi vedere una qualche metafora in questo processo?
Mi piace sta domanda.
Volendola romanticizzare nel modo più assoluto, ci posso vedere tipo una metafora dell’equazione della bellezza, e cioè:
bellezza : irraggiungibilità=esseri umani : conquista.
Nel senso che sul momento è possibile vivere la bellezza (di notte mentre si sogna), ma è figlia del caso quindi di per sé irraggiungibile (ed ecco che non esistono più la mattina dopo): ovviamente di fronte a questa cosa l’uomo si chiede “com’è possibile?, perché l’essere umano di natura si masturba il cervello col concetto di conquista, potere e possesso, e la prima reazione che ha alla vista e alla percezione della bellezza è quella di volerla conquistare.
Di volerla avere, per sempre.
Ma in realtà la conquista secondo me è come la felicità: solo breve momento di dimenticanza in cui l’ego si scorda perché mettersi in dubbio.
Un auto-abbaglio.
È un estremizzazione romantica, ovviamente.
Ma il fatto che l’essere umano davanti alla bellezza e al beneficio, abbia come primo impulso quello di volerlo possedere per sempre, ancor più che viverlo sul momento, questo lo penso da un po’ di tempo.
Poi sto ragionamento vale per i sogni belli ovviamente. Per quelli brutti c’è il Vesuvio.
Gli errori di gioventù aiutano a crescere?
Non sono un sociologo ma posso limitarmi a dire sì, fanno bene alla salute. Credo.
So solo che da piccolo e ancora ora in realtà, in qualsiasi sport, mi ha sempre gasato stare sotto e dover recuperare.
Quanta ribellione c’è dentro Goliardo?
Sicuramente dentro di me ci sono un sacco di pan di stelle.
C’è la ribellione normale delle persone normali, non sono portavoce di niente e nessuno al massimo spero di diventarlo a detta degli altri.
Poi non mi piace pensare alla ribellione come unica reazione ad una condizione poco piacevole: sicuramente in tutt’altro contesto, tipo storico/politico, disperato, è la reazione più efficace ed istintiva, è logico.
Ma in ambito personale e quotidiano odierno, come “ribellione” io parlerei anche di ironia, sabotaggio dell’ipocrisia da dentro, di goliardia, di analisi, di anti-velocità e anti-frenesia, di amatorialità.
Quali sono i doveri più assurdi della tua generazione?
Questa pure è una bella domanda perché individua un dettaglio, un “invisibile sociale” a cui tutti adempiamo continuamente quasi ci sentissimo in difetto a non farlo, infatti in risposta a questo ti dico la coincidenza sempre più fitta tra emozione ed estetica, di cui almeno secondo me siamo continuamente tutti partecipi quotidianamente, inconsciamente.
Banalmente, con l’aumento dell’importanza dell’estetica, della vetrina e dell’aspetto (dove più dove meno, ma ormai è un automatismo), si ha, ovviamente secondo me, un’inflazione dell’emozione, una svalutazione e una vendita a buon mercato di questa come fosse merce, oltre che di un impacchettamento dello stesso aspetto emotivo, castrato nel suo potenziale e nella sua varietà che invece esiste dal vivo, una “feticizzazione” vera e propria, cosa di cui già si parla da un po’ di tempo a questa parte, ed io mi trovo in una delle città, Napoli, che più ha subito (e sta ancora subendo) questo processo
È difficile trovare il coraggio di dire quello che si pensa?
È difficile trovare il coraggio di dire quello che si pensa nel momento in cui si hanno i propri buoni motivi di temere l’accoglienza e l’ascolto del proprio pensiero.
Mai come adesso mi suona così attuale.
Le censure (a cui stiamo assistendo ultimamente soprattutto) in realtà sono intimidazioni: l’obiettivo è certo oscurare un determinato testo, ma soprattutto mettere pressione e timore all’autore per il futuro, che sarà costretto a guardarsi bene di ciò che scrive per non finire nel buio totale, per non finire a “non esistere più” (perché a qualcuno da fastidio).
A parte la parentesi politico-sociale, anche a livello personale non è sempre una cosa facile, perché i modi contano, e una persona può stare a ragionare più di un altra sul “come” dire qualcosa. Non è solo questo ovviamente ma per ora dico questo.
L’arte è un mezzo o uno strumento?
È un apecar.
Finché tende allo sfogo, alla verità, alla necessità e all’ironia può essere tutto quello che la si vuole far essere: poi ognuno la declina a proprio piacimento, ma il mattone quello è.
Anche storicamente parlando, dal mio modestissimo punto di vista, è un periodo in cui sarebbe più opportuno parlare di “come” che non di “cosa”: c’è tutto e il contrario di tutto a livello artistico così come musicale anche, e ben venga fin quando può essere il momento in cui una persona si è fermata a pensare su qualcosa, o anche il momento in cui una persona ha delirato collettivamente, ad esempio.
Mal venga nel momento in cui è roba fatta a tavolino e non sincera, di plastica.
Si può dire mal venga?
Come dicevo, il fattore divulgativo o addirittura peggio ancora didattico non lo applicherei all’espressione artistica assolutamente.
Con che vibes entri nella scena musicale?
Ma dipende quale.
Se è quella dei finti gangster e rapperini di quartiere spero di non entrarci mai.
Mi ricollego a prima e oltre a quello divulgativo e didattico ci aggiungo il fattore estetico, che anzi credo sia il peggiore di tutti: anziché fare musica per “posing” piuttosto faccio lo stalliere a vita (che comunque ho fatto quindi con tutto rispetto per gli stallieri).
E non parlo del “posing” consapevole (Tony Effe ad es.), che alla fine va bene tutto sommato, ci sta, ma io ce l’ho con quello che diventa proprio mitomania, autoreferenzialità, convinzione, cambio del modo di parlare per assomigliare a qualcun altro: tutto ok?
Più che magari tendere o aderire ad una scena musicale in particolare spero di essere, ma questo proprio personalmente per la mia vita, una persona con qualcosa da dire. Niente più niente meno.
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