Catopter: “L’esperienza di viaggio dentro Lost Places” | Intervista

PH: Dario Martorana

Catopter: “L’esperienza di viaggio dentro Lost Places” | Intervista

Il progetto Catopter non è solo un esperimento sonoro, ma anche un’indagine sulla relazione tra spazio, suono e forma. Ogni traccia è frutto di sessioni in studio, concerti e esibizioni dal vivo, che si mescolano in un linguaggio musicale fluido e in continua ricerca.

Nato dall’incontro e dall’esperienza di Mattia Loris Siboni e Giulio Stermieri, Catoper è un duo sperimentale che vuole esplorare le potenzialità della musica prendendo strade alternative verso luoghi sconosciuti e abbandonati, mescolandosi tra natura e desolazione umana dovuta a guerre e distruzione.

Il nome scelto deriva dal greco “katoptron”, che significa specchio, e rappresenta una riflessione sul gioco di prospettive, sul doppio e sulla percezione. Ogni traccia diventa lo spunto per viaggiare con la mente e con le sensazioni, creando ad ogni ascolto un percorso che può variare a seconda dei pensieri del momento.

Le scelte fatte dagli artisti permettono di sviluppare tracce musicali imprevedibili e curiose, tracce che si ergono oltre  dettami classici. Si percepisce che il tutto non è mai improvvisato ma deriva dalla forza delle idee e da un lavoro profondo di ricerca e tecnica.

INTERVISTANDO CATOPTER

Qual è stato il ponte sospeso che ha fatto unire le vostre due visioni e dare vita a Catopter I?

Giulio: Ci siamo conosciuti all’interno di una residenza artistica presso il Centro Musica di Modena nel 2021, nell’ambito della sonorizzazione di alcuni film muti. All’interno di un passaggio in particolare di questa sonorizzazione, è stato previsto un momento di duo tra me e Mattia: più si sviluppava suonandolo nelle varie repliche, più siamo rimasti colpiti da certi avvenimenti sonori, certe dinamiche dell’improvvisazione e dal rapporto musicale tra i nostri strumenti. Ci siamo quindi resi conto di quanto fosse interessante per noi portare oltre questo discorso anche al di fuori di quel contesto per vedere che cosa sarebbe successo.

 Mattia: Esattamente! Ci siamo trovati d’accordo su tanti punti e paradigmi che controllano l’improvvisazione elettroacustica, in particolar modo abbiamo accolto e condiviso la stessa idea di ruoli e spazio: nel progetto Catopter, non c’è uno strumento in primo piano con un’elettronica di contorno o viceversa, bensì un gioco alla pari, senza ruoli subordinati. Si lavora tanto con questa idea di prospettiva e spazio, i ruoli sono intercambiabili in un dialogo musicale continuo dove tutto può essere messo in discussione.

Il suono più strano che avete inserito dentro questo disco?

Mattia: Un suono ritenuto strano potrebbe essere quello della radio, che utilizzo in tutti i miei set di improvvisazione. Credo che improvvisare tirando in ballo una vera radio sia interessante perché imprevedibile. Nel disco, per scelta formale, non sono presenti frammenti in cui ciò accade, ma dal vivo la suono spesso.

Giulio: Nel mio caso potrebbe essere l’uso non convenzionale del mio stesso strumento, ovvero il piano elettrico “preparato”:  percuoto alcune lamelle di metallo, il cui suono viene catturato da una serie di pick-up ed amplificato. Se si “apre la scatola” si può agire al suo interno con diversi oggetti e strumenti per ottenere suoni particolari come ronzii, disturbi, eventi sonori non comuni.

Fino a che punto vi siete presi la libertà di sperimentare?

Mattia: Completamente!

Giulio: Da subito il nostro interesse si è rivolto al lavoro sul movimento delle sorgenti sonore nello spazio: per questo nelle sessioni in studio ci siamo concentrati sul costruire una drammaturgia sonora, spostando i suoni da destra a sinistra, dal primo piano fino allo sfondo del panorama sonoro. Dal vivo invece si è creato in poco tempo un codice condiviso, ci siamo focalizzati su certi stilemi che funzionavano bene, mantenendo però la rotta su un’improvvisazione totalmente libera, tenendo spalancata la possibilità di sperimentare nuovi suoni e nuove dinamiche.

PH: rene.mt2

C’è un luogo che vi ha affascinato più di altri?

Giulio: La riflessione sui luoghi e quindi sui “Lost Places” è nata dal momento in cui Mattia mi ha raccontato di un aneddoto capitato alla sua famiglia poco tempo prima. Nella casa di campagna da cui proviene era presente un piccolo laghetto, una vasca di cemento usata per l’irrigazione dei campi limitrofi. All’interno di questa vasca si era creato un piccolo ecosistema in perfetto equilibrio tra flora e fauna. Per un piccolo incidente di manutenzione questo equilibrio si è distrutto, innescando un meccanismo a catena che ha comportato la distruzione dell’ecosistema. Questo racconto ha risuonato in me rispetto a ciò che sta avvenendo dal punto di vista ambientale. La qualità evocativa di ciò che suoniamo riflette un certo grado di nostalgia, anche collegato al racconto di questo episodio: tutto insieme è diventato la chiave nella scelta dei titoli.

Mattia: Ci è capitato poi di suonare in posti che hanno confermato questa indole del progetto, e che ci hanno stimolati ancor di più verso queste scelte evocative. È il caso ad esempio del live presso l’ex acquedotto di Spinadello, a Forlimpopoli.

L’associazione Spazi Indecisi ci ha invitati a suonare in questo luogo molto suggestivo, immerso nel verde delle sponde del fiume Ronco, nella zona di Selbagnone. La nostra improvvisazione è stata condotta in buona parte proprio dagli stimoli sonori che ci sono stati offerti. Il finale del live è stato un lento decrescendo che ha lasciato spazio al gracidare delle rane in lontananza.

 Le città sono una prigione o il posto migliore dove vivere?

Giulio: Per me la città è un luogo importante, un’occasione di incontro con amici, colleghi, musicisti, ma per scelta personale ho scelto di vivere in campagna, in una dimensione più meditativa, nella natura e nel silenzio.

Mattia: Vengo dalla campagna ma purtroppo per esigenze personali al momento vivo in città: ho comunque scelto un luogo il più possibile vicino ad ampi parchi e zone verdi. Vedere gli alberi dalla finestra di casa e non alti condomini è assolutamente importante. La posizione del duo rispetto alla domanda credo sia dunque chiarissima!

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Il tempo e lo spazio come sono legati secondo voi?

Mattia: Al netto della fisica e delle leggi che più o meno conosciamo, credo che questi dal punto di vista musicale siano parametri con cui ci rapportiamo e che dobbiamo tenere in considerazione.

Giulio: Non so come siano legati tra di loro, ma sicuramente sono interconnessi nel momento in cui suoniamo: nel momento in cui si suona la percezione del tempo cambia, per noi musicisti come per gli ascoltatori. Allo stesso modo lo spazio influisce nel rapporto tra noi due e con il pubblico, come nel caso del live a Spinadello.

La guerra è un rumore di sottofondo nella società di oggi che spaventa sempre meno perché tocca ad altre persone morire e combattere?

Giulio No, non è rumore di sottofondo. Sebbene il nostro piccolo ruolo in questa società sia quello di giocare con i suoni, sapere di essere testimoni di un genocidio, di una catastrofe climatica e di forme di ingiustizia sociale e civile in ogni parte del mondo, ci tocca. Ci tocca da vicino e influisce quindi nel nostro modo di essere, di esprimerci e di conseguenza anche nel nostro modo di fare musica.

Per questo abbiamo scelto di dedicare alcune tracce a città scomparse, città simbolo di atrocità inumane.

Mattia: Condivido, non credo ci sia altro da aggiungere.

Come si fa a scegliere il titolo per una canzone senza testo?

Giulio: La musica ha un potere comunicativo che non sempre necessita di parole, l’ambiguità e la possibilità di interpretazione che un suono porta con sé può essere ancora più potente della parola stessa.

Bisogna poi rapportarsi con la vita oltre la musica, e quindi sforzarsi di fare un collegamento tra il suono e quello che c’è fuori, tra il suono e l’ascoltatore.

Mattia: Il titolo può essere una semplice chiave di lettura, uno strumento dato per poter accendere in chi ascolta una visione, un’impressione, un ricordo, un valore extra-musicale che veicoli l’ascolto.

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