Illeciti giochi letterari
Inoltrarsi nella lettura di un buon libro significa lasciarsi travolgere, senza cercare troppe protezioni, dalle onde altissime di un mare in burrasca. Solo una volta divenuti naufraghi è possibile fermarsi e ricapitolare il tutto. Parola dopo parola la nostra mente e la nostra sensibilità subiscono colpi inattesi o carezze lievi. Ci si avvicina ad analisi e descrizioni troppo simili a quelle del mondo in cui realmente viviamo.
D’altronde sono storie, scritte ma prima ancora vissute o sognate ardentemente; talvolta sono solo frutto dell’immaginazione dell’autore. In questo continuo oscillare del lettore spesso nasce spontanea la riflessione o il confronto con altre storie già conosciute. Allora diventa un gioco e non una ricerca affannata; nulla da considerarsi degno degli scritti di grandi critici letterari.
Ciò che leggerete, se avrete la pazienza e la voglia di perdervi fra queste righe, è dunque frutto delle mie riflessioni, delle emozioni scaturite da due letture a me care. Nessun giudizio di valore. È solo un gioco letterario, probabilmente illecito. Non aspettatevi nulla di più.
Da una parte Anna Karénina, dall’altra L’insostenibile leggerezza dell’essere.
Da una parte Lev Tolstòj, dall’altra Milan Kundera.
Un volo su un aliante molto resistente che ci porta prima nella Russia di fine Ottocento e poi a Praga un secolo dopo.
No, tu non te ne andrai da noi, e non sarai diverso, ma resterai tale e quale a com’eri: con i tuoi dubbi, la tua eterna insoddisfazione, i vani tentativi di correggerti, le cadute e l’eterna attesa della felicità, che non ti è data e per te è impossibile>>. Questo dicevano le sue cose, ma un’altra voce gli diceva in cuor suo che non bisogna rassegnarsi al proprio passato, e che di se stessi era possibile fare tutto.Lev Tolstòj -Anna Karénina (1877), Oscar Mondadori 2015 [1 ed., 1971]; pag. 117
L’ alta società descritta da Tolstòj è quella bigotta, ipocrita e viziosa che una donna dolce, bella, disarmante e passionale come Anna decide di sfidare. In realtà tutti i personaggi dovranno scontrarsi con questi dogmi sociali, uscendone più o meno cambiati. Persino Levin, uomo apparentemente equilibrato, le cui riflessioni sono riportate nell’estratto del testo che trovate sopra, con difficoltà trova il suo spazio in tanta appariscente pochezza.
È una società in cui soprattutto lo spazio concesso all’universo femminile risulta ristretto, ben delimitato entro canoni e leggi non scritte che oggi sembrano apparentemente davvero arretrate; forse lo sono per noi che viviamo nella libertà del mondo occidentale. Eppure sembra che qualcosa sia rimasto, forse in qualche terra vicina a noi o addirittura proprio tra noi, magari in qualche famiglia meno fortunata. Sì, di certo qualcosa è rimasto anche tra di noi: il tentativo di mantenere un grado di rispettabilità sociale necessario per la sopravvivenza, sebbene ciò significhi sacrificare il proprio essere, i propri desideri e la propria passionalità.
Così Anna, l’eroe o antieroe di questo romanzo a seconda dei punti di vista, si erge titanicamente su queste malate logiche sociali, salvo poi rimanere schiacciata inesorabilmente. È vittima delle proprie passioni secondo alcuni; di questa società cinica e ipocrita secondo altri.
<<Einmal ist keinmal>>. Quello che avviene solo una volta è come se non fosse mai accaduto. La storia dei ciechi non si ripeterà una seconda volta, la storia dell’Europa neppure. La storia dei ciechi e la storia dell’Europa sono due schizzi tracciati dalla fatale inesperienza dell’umanità. La storia è leggera al pari delle singole vite umane, insostenibilmente leggera, leggera come una piuma, come la polvere che turbina nell’aria, come qualcosa che domani non ci sarà più.
Milan Kundera – L’insostenibile leggerezza dell’essere (1982), Adelphi, 2013 [1. ed., 1989]; pag. 241
Kundera lascia che i suoi personaggi si destreggino invece negli anni tormentati della Primavera di Praga, nel tentativo di ritrovare una libertà individuale e collettiva ormai perdute. Sullo sfondo ci sono dunque dolorose partenze, ritorni e un ritrovarsi continuo che non è mai cura. Anche qui dunque una ricerca di libertà, tanto agognata, che un secolo dopo appare ancora lontana per ragioni socio-politiche. Le figure di Tomáš, Tereza, Sabina e Franz danzano in maniera ribelle sulle note dell’ultimo quartetto di Beethoven citato dall’autore: <<Muss es sein? Es muss sein!>>. Così tra le pagine trova spazio la riflessione dell’autore sulla pesantezza e la leggerezza, sulla loro insostenibilità tanto nelle vicende umane, quanto nell’essenza più profonda dell’essere individuale. È un affollarsi di esperienze, amori, vicinanza e distacco, che davvero sembrano dipingere la difficoltà e la bellezza che tutti noi viviamo nella costruzione dei rapporti.
Perché accostare dunque Anna a Tereza? O Vrónskij a Tomáš?
Sono amori diversi, vissuti in epoche differenti, descritti da autori lontani fra loro. Ma c’è qualcosa che, almeno ai miei occhi, li lega.
Anna ama follemente Vrónskij, tanto da decidere, pur essendo già spostata con un altro uomo, di gettare la propria vita nelle mani del fato e dell’instabilità; Tereza invece si innamora goffamente di Tomáš e rimane intrappolata in questo legame pur conoscendone gli aspetti più devastanti. L’amore passionale che non concede riposo, in cui i due amanti sembrano essere l’uno causa dell’infelicità dell’altro. Tanto Anna quanto Tereza sono morbosamente gelose dei loro compagni, ma con una differenza: Anna lo è in maniera ingiustificata, forse a causa delle proprie paure e dell’incombente insoddisfazione sentimentale; Tereza ama un uomo assolutamente infedele e cerca in ogni modo di sopravvivere a questa verità, neanche troppo taciuta. Due facce diverse della gelosia dunque. Sia Anna che Tereza sono donne fragili e al tempo stesso così forti da scegliere consapevolmente la propria strada, pur conoscendone le difficoltà. Altre somiglianze riguardano l’epilogo dei due romanzi ma di questo non parlerò, affidando le riflessioni ai lettori che conoscono i due testi, per evitare di rivelare tutto a coloro che invece non li conoscono ancora.
Una differenza evidente fra le due opere consiste invece nello stile: nel primo testo abbondano le descrizioni perspicue della società, delle campagne russe, della situazione sociale ed economica, dei personaggi e dei loro inconfessabili pensieri; nel secondo testo capita invece di perdersi tra riflessioni filosofiche, vivaci e profonde, leggere e pesanti al tempo stesso.
Credo che il mio illecito gioco letterario si sia concretizzato, trovando questa forma, grazie anche ad un indizio lasciato da Kundera fra le pagine del suo romanzo: l’autore sceglie per il cagnolino, tanto amato e accudito da Tereza, il nome di Karenin. Che sia un caso? A voi il giudizio.
Carla Giammusso