Forelock affronta una nuova sfida con l’EP solista “Follow Me” | Intervista
“Follow Me” è il nuovo EP di Forelock, composto da 5 brani: Turnover, Drive Fast, Sing About Love, Follow Me e Dumpling.
Le sonorità dei brani si discostano dalle precedenti produzioni di Forelock. Rispetto al precedente mondo roots reggae, in “Follow Me” risuona la voglia di esplorare senza badare a contesti e stereotipi di genere.
Tutti i brani di “Follow Me“, nati prima come provini poi sviluppati (per la parte strumentale) da ULTRANOIZE (Federico Mazzolo, beat maker friulano), sono stati mixati dal guru del Dub italiano: Paolo Baldini.
Il sound vuole essere di stampo moderno, fresco così da far risultare l’EP un lavoro intimo e personale. “Follow Me” è il primo EP pubblicato da Forelock come artista solista, per la prima volta sostenuto da una produzione quasi interamente digitale. La stesura dei brani è iniziata durante il primo lockdown, periodo che ha senza dubbio impresso voglia di confrontarsi, misurarsi e lasciarsi contaminare da altri mondi musicali.
L’inglese, Patois Giamaicano molto caro a Forelock e melodie vocali intense sono uniti da un solido sapore Urban.
INTERVISTA A FORELOCK
Raccontaci di più su “Follow Me”: il contesto in cui nasce, la scintilla che ha dato il via alla scrittura, il bisogno di mettersi in gioco come solista…insomma, facci immergere totalmente nel tuo nuovo lavoro!
Che sia cambiato qualcosa in me e nel mio modo di vivere la musica negli ultimi anni l’ho realizzato più o meno subito. Follow Me accompagna un po’ questo momento in cui ho voglia di confrontarmi solo con me e con come mi fa sentire ciò che canto. Ho iniziato a scrivere durante il primo lockdown; una fase in cui per forza di cose si è dovuto fare veramente i conti con se stessi.
Ascolto tanta musica da sempre, senza troppi schemi e pregiudizi anche quando mi arriva alle orecchie la roba più lontana da me e da quello che negli anni è diventato il mio mondo musicale. Mi sento (e mi sono sentito sempre) libero di fare e provare quello che volevo ma, un po’ per rispetto nei confronti del resto della mia band, mettevo da parte una certa porzione di creatività per concentrarmi più sullo stile reggae roots che ha caratterizzato tutte le produzioni Arawak.
E’ stato veramente bello lavorare a questo nuovo mio disco che ha alimentato in maniera pazzesca la voglia di salire e portarlo sul palco. Dentro Follow Me racconto alcune mie storie e faccio un giro tondo tra i vari stati d’animo che hanno caratterizzato la vita negli ultimi 2 anni. In realtà, questo lavoro e la modalità con cui è nato, altro non sono che l’inizio di una cosa estremamente bella che mi rende ogni giorno consapevole di quanto non potrò più farne a meno.
Scavando “passato” di Forelock ci ha colpiti il tuo legame familiare e personale con la musica classica. Essa influenza ancora i tuoi gusti durante l’arrangiamento dei brani? Se si, raccontaci di più!
Il fatto di essere nato da una famiglia di musicisti (di musica classica), ha ovviamente fatto si che il mio primo approccio alla musica fosse di tipo accademico. Dopo tanti anni in conservatorio, crescendo ho lasciato entrare nel mio immaginario anche altri contesti musicali con tutte le loro varie sonorità.
Mi sono innamorato della musica africana e di tutti i suoi strumenti etnici da adolescente. Un maestro Senegalese con cui feci una masterclass mi portò in giro con lui e il suo ensemble quando avevo 16 anni. Scoprire la forza della poliritmia e di quante cose ci fossero al di là della musica colta ha fatto maturare il mio sguardo nei confronti delle musiche che arrivavano dal mondo.
Un giorno per caso, ascoltai una cassetta di un gruppo giamaicano storico (The Gladiators) e ne fui completamente rapito. La ripetizione mantrica delle ritmiche in levare, i cori a tre voci di stampo soul e la voce che spara note direttamente dal cuore, penso siano le cose che rendono la musica reggae così bella.
Ho goduto della restrizione di possibilità che questo genere impone con i suoi stilemi e per anni mi ci sono dedicato completamente. Ho studiato la lingua patois perchè sentivo che il suo suono e il suo approccio linguistico fossero unici e desideravo farli miei.
Sono più le volte che devo semplificare le cose che scrivo perchè magari troppo complesse, piuttosto che il contrario. Questo deriva ovviamente dall’approccio classico. E’ bellissimo poter scegliere la chiave di lettura di un brano. La musica classica ti insegna ad entrare nel dettaglio più profondo dell’architettura di un brano a volte facendoti però distrarre da ciò che poi conta di più quando scrivi.
Ancora oggi quando tiro giù delle idee con il pianoforte tendo a creare degli accompagnamenti molto pianistici ma che poi in realtà, durante la produzione vera, danno spunti cruciali e vengono trasformati. Questo è precisamente quello che è successo con la scrittura di Follow Me.
Cresciuto nell’era della musica “suonata” e consacrato insieme agli Arawak, com’è stato approcciarsi ad una produzione quasi interamente digitale?
Devo dire che nel mio zainetto di formazione in conservatorio c’è una triennale in nuovi linguaggi musicali e musica elettronica (tra l’altro, parallelamente alla scrittura di Follow Me ho iniziato a frequentare il biennio specialistico che concluderà tra pochi mesi).
Questo percorso mi ha reso cosciente della possibilità che il digitale garantisce alla creatività. E’ chiaro che stare ore in sala prove con altri 6 o 7 musicisti che combattono per trovare la loro solidità sonora è un’esperienza che non ha pari. Io ho iniziato come tastierista con gli Arawak. Dopo qualche tempo ho provato a fare qualche coro al microfono sino a quando poi non ho iniziato a scrivere per chi ai tempi faceva il frontman. Ma la crescita del volersi mettere in gioco è arrivata a farmi diventare il frontman della band con cui davvero ho calcato palchi bellissimi e girato il mondo.
E’ chiaro che nello scegliere come portare in giro i brani di Follow Me non ho avuto alcun dubbio sul rivisitare alcuni brani in modalità organica e infatti sul palco “suoneranno” vivi. Oggi Forelock gira con dei musicisti speciali che mi assecondano e sostengono. La musica suonata farà comunque sempre da protagonista.
Come descriveresti il tuo rapporto con Paolo Baldini, la spinta del progetto DubFiles fino ad arrivare a Follow Me?
Paolo è stato un mentore, una forza che mi ha fatto credere tanto in ciò che facevo e che faccio. Ho ricevuto da lui sempre tanto apprezzamento (a volte forse anche troppo). Dopo essere stato tanti anni dentro il panorama reggae italiano, lui ha sicuramente acquisito una visione più limpida di ciò che in Italia può catturare l’attenzione di un pubblico underground ed io mi ci sono affidato completamente coi primi lavori.
Con lui e il progetto DubFiles siamo stati ovunque, ricevendo sempre un calore immenso dai vari pubblici compreso quello di Kingston in Giamaica. L’esperienza più forte è stata sicuramente il Kingston Dub Club, olimpo del dub roots giamaicano, dove 5 bianchi si son trovati a cantare le loro storie su strumentali prodotte in Italia. Durante il live però tutti pensavano di sentire dei Giamaicani. La missione compiuta più bella di sempre che mi ha insegnato quanto la musica sia libera, inclusiva e capace di connettere i mondi più diversi.
Non nego che comunicare a Paolo che avevo l’esigenza di dedicarmi alla stesura di questo EP da solo, abbia fatto tremare il pavimento sotto ai miei piedi. Ma quando poi abbiamo sentito insieme le pre produzioni per poi mixarle da lui in studio credo abbia capito che la mia era tutto meno che una questione di ego mania ma piuttosto esigenza profonda e ricerca di un confronto con ciò che ho costruito nel tempo.
Hai all’attivo tantissima esperienza live e discografica, quindi è il momento di condividere: cosa consiglierebbe Forelock ad un ragazzo che vuole fare della musica il suo futuro?
Valutare e capire quanto la musica sia importante per te è fondamentale. Se è una cosa di cui non puoi fare a meno allora ti ritroverai circondato di persone che condividono passione per la musica. Parti da loro, fai capire loro quanto sia importante per te e impara a gestire nel piccolo e subito il fatto che non esiste piacere a tutti.
Ma soprattutto preparati alla cosa che fa più male per chi scrive (secondo me) che è l’indifferenza di chi ascolta e sente solo la superficie di ciò che fai. La musica è anche questo: contorno, colore, ecc. Impara a fare i conti con il fatto che per noi la musica abbia un valore molto più grande rispetto a tanti ascoltatori.
Questa consapevolezza ti fa volare in alto quando pian piano dopo tanto impegno vedi arrivare sempre più persone che invece hanno colto, hanno interpretato anche in maniera diversa ma sempre con un “sentire” profondo, ciò che tu gli hai proposto. Questi contageranno (grazie a dinamiche di gruppo che conosciamo bene) anche alcuni che magari prima non ti hanno mai considerato ma per questo i loro feedback non sono meno importanti.
Soprattutto fare musica significa prendersi la responsabilità di creare e lavorare con la cosa più bella del mondo, pertanto bisogna rispettarla e non considerarla un modo per diventare “famosi”. Tanto oggi si diventa famosi soprattutto per tante altre cose… Ma la musica è un’altra cosa e rimarrà sempre il tesoro più grande.
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