Orchidea | Indie Tales

Rido di gusto pensando al dolore, non sai quanto male mi sono fatto cercando di capire te, ma soprattutto noi. Ci siamo conosciuti in riva al mare in una sera d’estate, rimanendo zitti a guardare il panorama, senza trovare il coraggio di dire neanche una parola. Io aspettavo di ascoltare la tua voce, mentre tu non trovavi nessuna scusa per aprire la bocca.

Il silenzio ha creato un momento speciale, impossibile da dimenticare, ma allo stesso un equilibrio così fragile che poteva essere rotto semplicemente da un soffio di vento o da un leggero sussulto.

Entrambi eravamo spaventati dai demoni che portavano dentro, avevamo imparato a convivere con le crisi interiori più assurde, fino ad arrivare al punto di amare tutta la sofferenza che sapevamo di aver avuto il piacere di provare. Ci sentivamo animali, gelosi, feriti, pronti ad azzannarci da un momento all’altro, come a dimostrare che eravamo più bravi ad attaccare piuttosto che difenderci, mostrare i denti alla vita per proteggere il cuore.

Assorbiti dal buio avevamo paura di poter cercare un po’ di bellezza, anche se sapevamo benissimo che il nemico dell’altro era solo se stesso. Addirittura guardandoci negli occhi avremmo potuto buttarci nell’oceano dell’altro e uscirne cambiati e più forti. Io penso ancora a te quando sento il rumore delle onde e confesso al mare i miei sentimenti, ma non sono mai riuscito a dirti quello che pensavo o ad ascoltare la tua richiesta d’aiuto.

Ho un dolore che mi dicono incurabile che vive nel mio petto, ma non ho intenzione di strapparlo via. Ho paura a coltivare la felicità perché non so cosa aspettarmi, però ho la sensazione che appena farò germogliare i miei fiori, qualcuno arriverà a strapparli via, recidendone il fusto con violenza,  e ci sarà un gran boato quando qualche petalo cadrà per la strada.

Io da bambino amavo correre nei campi mentre adesso di quei momenti rimpiango solamente le ginocchia sbucciate e il sangue che saltava fuori all’improvviso colorando le mie gambe di un rosso che aveva il colore denso del vino.  Crescendo ho iniziato ad avere il vizio di attaccarmi agli altri, anche con le unghie in modo da non cadere, perché il mondo di oggi mi ha insegnato che non posso chiedere aiuto troppe volte, mostrare fragilità o avere il lusso di piangere, soprattutto se qualcuno potrebbe sbirciami magari dalla finestra di fianco mentre fuma l’ultima sigaretta prima di andare al lavoro o andare a dormire.

Così ho iniziato a fare finta di nulla, nascondermi dentro la mia totale incoerenza, vestirmi di nero e uscire solo la sera, come se avessi la convinzione che senza la luce del sole, tutto mi faceva meno paura. Tutte le mie aspettative non riescono mai a dormire, così le brucio nascondendomi nei vicoli sotto casa, facendo finta di ingoiare un veleno che aveva il gusto delle parole di mio padre, ingegnere sempre elegante, ma mai puntuale che ha salutato la vita troppo presto, senza neanche avere il tempo di sgridarmi per l’ultima volta.

Il mio mondo avrebbe bisogno di una luce nuova, di un davanzale pieno di orchidee e io vorrei pungermi con la spina di una rosa, solo per il gusto di poter sentire qualcosa. Tornare a provare emozioni. Sentire il dolore come quando i bambini più grandi mi prendevano a pugni nelle costole e poi, io, correvo a lungo per scappare non da loro, ma dalle mie insicurezze rese ancora più taglienti dai tuoi occhi verdi che scrutano il mare.

Siamo qui ad osservare un momento, cercando di trovare il confine tra noi, le nostre vite così ordinarie e l’orizzonte pieno di possibilità, che rimane sempre lì, calmo, immobile ad aspettare due marinai coraggiosi pronti a viaggiare verso una nuova meta.

Io e te preferiamo rimanere aggrappati agli scogli, nascondere il cuore sotto la sabbia e farci una guerra silenziosa, per evitare di far affogare l’orgoglio dentro un oceano di felicità.

Sappiamo entrambi che abbiamo la possibilità di cambiare le cose, di andarcene via di qui mano nella mano, però nessuno dei due ha il coraggio di dare una possibilità al cambiamento. Pessimisti, incazzati e delusi, abbiamo smesso di credere nella speranza, preferendo rimane in silenzio, ancora una volta, aspettando invano un nuovo giorno che tarda ad arrivare.

RACCONTO LIBERAMENTE IPSIRATO AL BRANO “ORCHIDEA” DI CALEYDO